In bottega a 15 anni:
lavoro grigio o lavoro vero?

Gli studenti-apprendisti piacciono alla maggioranza e lasciano perplessi professori e presidi, ma convincono le aziende che però non vogliono trasformarsi in "parcheggi" per i fannulloni e temono di doversi trasformare in "maestre": «Noi possiamo dare formazione, ma l'istruzione è compito della scuola»

  da blitz, 22.1.2010

C’è chi lo elogia e chi storce il naso, chi apre le porte e chi leva gli scudi . La mossa della Commissione Lavoro della Camera dell’apprendistato per i quindicenni come ultimo anno di scuola dell’obbligo convince a metà.

Dal ministero del Welfare, il consulente di Maurizio Sacconi, Michele Tiraboschi si appassiona perché con questa formula si può ottenere una qualifica piuttosto che tenere un esercito di studenti svogliati, almeno sui libri, a scaldare i banchi. Andare in azienda a 15 anni «per il diritto-dovere di istruzione e formazione» per lui è la formula da potenziare per «favorire l’inserimento dei giovani. Con questo apprendistato si può ottenere una qualifica. I 350 mila apprendisti che oggi hanno solo la licenza media potrebbero acquisire un titolo di studio. In provincia di Bolzano si fa già, proprio come in Germania. Ora si tratta di estendere l’esperienza al resto del Paese».

L’opposizione è contro l’emendamento collegato alla Finanziaria: «Questo abbassamento dell’obbligo scolastico ha dell’incredibile - l’ex ministro del Lavoro Tiziano Treu-. Anche noi sappiamo bene che ci sono 120 mila ragazzi che abbandonano la scuola prima del tempo. Ma mandarli a lavorare non vuol dire risolvere il problema. È una resa piuttosto. Avrebbe più senso cercare per loro delle alternative accettabili dentro la scuola, valorizzando il triennio di istituti tecnici e le scuole professionali».

Il mondo della scuola e delle istituzioni locali dice un no secco, accusando il governo di riportare l’Italia indietro, anche se molti professori beneficeranno dell’iniziativa togliendosi gli studenti meno interessati dalle classi. In Piemonte «le Province hanno rilevato i fabbisogni formativi delle imprese di 19 settori produttivi – spiega Umberto D’Ottavio, assessore all’Istruzione della Provincia di Torino – ed è emerso il bisogno di più istruzione: più competenze in italiano, matematica, inglese, informatica e in tutto ciò che viene considerato la base per entrare in qualunque settore produttivo. In Piemonte in cinque anni siamo passati dal 65% al 77% nei ragazzi ventenni».

Sulla stessa linea anche Flc Cgil: «Di che lavoro vaneggiano il ministro Sacconi ed il ministro Gelmini che, parlando di inserimento rapido nel mondo del lavoro, lo confondono con l’inserimento precoce: sicuramente di quello povero, di quel lavoro che, in un’idea regressiva di sviluppo economico, condanna il paese ad una competitività fondata sui costi e non sulla qualità, mentre il resto del mondo si muove verso l’innovazione. In questa partita a perderci saranno sicuramente i più deboli, ma anche il futuro del nostro paese, sempre più piegato dalle visioni miopi di una classe politica che non riesce a progettare un futuro di progresso per un paese che ha bisogno, come gli altri, di investire in sapere e ricerca per uscire dalla grave crisi internazionale».

Anche fra i diretti interessati, cioè le imprese, i pareri sono discordanti. Favorevole la Confindustria, la Confapi (Confederazione italiana della piccola e media industria privata) invita a fare un distinguo con l’apprendistato canonico, le associazioni di categoria temono di trasformarsi in maestrini, costretti a improvvisarsi professori in cattedra.

«L’idea è buona, ma non chiamiamolo apprendistato. Meglio “anno sabbatico”. Un quindicenne oggi sa a malapena leggere o scrivere. Non possiamo farci carico noi di quello che dovrebbe fare la scuola. E, in più, pagare pure uno stipendio», spiega Paolo Galassi, presidente di Confapi.

«Bella idea, ma bando alla burocrazia. Abbiamo già tanti problemi, non possiamo metterci a tenere registri e dare voti», afferma Marco Accornero, il segretario generale degli artigiani milanesi aderenti alla Claai.

Ad avanzare qualche dubbio e a chiedere qualche modifica è Enrico Amadei, direttore divisione economica di Cna (Confederazione nazionale artigianato) che sugli apprendisti-studenti in bottega mette le mani avanti: «Non è che il mondo produttivo possa risolvere da solo il problema dell’abbandono scolastico. Noi possiamo dare formazione, ma l’istruzione è compito della scuola».