Fondazione Agnelli: di A.G. La Tecnica della Scuola, 24.2.2010 Si allarga il divario nord-sud. Sia per le chance in più che le famiglie benestanti riescono a dare a figli, che frequentano istituti di qualità, sia per gli investimenti squilibrati delle Regioni. Così un 15enne del meridione ha la preparazione di un 13enne che studia sopra il Po. Ma col federalismo scolastico non si pensi di centrare molti più risparmi di quelli realizzati negli ultimi anni. L’istruzione italiana diventa sempre più a due velocità: è quanto sostiene la Fondazione Giovanni Agnelli, che il 24 febbraio ha presentato a Roma il “Rapporto sulla scuola in Italia 2010”. La ricerca annuale, intitolata "Dimmi in che scuola vai e ti dirò quanto ne sai", ha fatto emergere che quasi sempre per un buon esito dell’istruzione è fondamentale appartenere ad un ceto sociale medio-alto. La ricerca ha anche evidenziato come la diversità di istituti scolastici frequentati dai nostri giovani sia sempre più fondamentale ai fini del successo in ambito formativo e, di conseguenza, per le affermazioni di vita professionale: “le famiglie più abbienti e colte – si legge nelle conclusioni del Rapporto - mandano i figli al liceo, mentre gli studenti con un retroterra meno favorevole – inclusi quelli di origine straniera - sono più soggetti alla dispersione e tendono a concentrarsi in alcuni indirizzi scolastici, come i professionali”.
Si conferma sempre
più larga, inoltre, la forbice tra settentrione e meridione. “Essere
uno studente del Sud – spiega la Fondazione Agnelli - significa
partire con uno svantaggio di 68 punti nelle competenze misurate da
OCSE-PISA – l’equivalente di circa un anno e mezzo di ritardo
scolastico - rispetto a uno studente del Nord, indipendentemente
dalla caratteristiche individuali e della scuola che si frequenta”. Sebbene il divario dipenda da diversi fattori, non necessariamente scolastici, non può passare inosservata la disparità di investimento a livello di “spesa per la scuola italiana così come oggi si articola a livello regionale”: nel 2007 è stata “poco meno di 60 miliardi di euro, di cui 43 a carico dello Stato (in massima parte per le retribuzioni del personale), 10 degli enti territoriali (di cui 6 dai Comuni) e 5,5 per affitti figurativi del patrimonio edilizio”. Se la media è di 6.600 euro all’anno per studente, le differenze tra le diverse Regioni rimangono profonde: “si va dai 9.900 euro del Trentino Alto Adige ai 5.800 della Puglia”. Tre i fattori che determinano la sensibile differenza: “le dimensioni dei plessi e delle classi, che rispecchiano morfologia e demografia del territorio; la diffusione del tempo pieno e del tempo prolungato; la presenza di allievi disabili e di insegnanti di sostegno”. Dal Rapporto emerge un’evidenza in parte inattesa: i risparmi stimati dall’entrata in vigore del federalismo fiscale sono già stati realizzati con l’attuazione del “piano programmatico del ministro Gelmini, in particolare attraverso una riduzione degli organici (che nel Sud sarà più accentuata per via della forte contrazione della popolazione studentesca. La Fondazione ha messo a confronto i due modelli e scoperto che “nello scenario del federalismo scolastico i risparmi di spesa per personale sarebbero di 3,2 miliardi di euro all’anno, soltanto 600 milioni in più rispetto al piano del ministro Gelmini”. La conclusione dei curatori del Rapporto annuale è che occorre provvedere al più presto a centrare due obiettivi: il primo è “migliorare i livelli di apprendimento degli studenti in tutto il Paese, in particolare, di coloro che oggi si situano sotto la soglia minima delle competenze definita a livello internazionale (in alcune regioni del Sud superano il 30%)”; il secondo è “contrastare il fenomeno dell’abbandono scolastico (il 20% non raggiunge un diploma di secondaria superiore)”.Entrambi possono essere raggiunti solo reinvestendo nella scuola stessa, puntando alla qualità , tutti i “risparmi che si stanno ottenendo nell’opera di razionalizzazione”. |