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Stranieri in classe: "e se applicassimo
il tetto anche con gli alunni disabili?"

Più che una provocazione, una riflessione alla luce della normativa vigente. Salvatore Nocera, vice-presidente Fish, prende la circolare Gelmini che prevede un tetto in classe per gli alunni stranieri e prova ad applicarla agli studenti disabili.

di Salvatore Nocera, Superabile 12.2.2010

La circolare del ministro Gelmini (n. 2 del 8/1/10)  che fissa un tetto in classe per gli alunni stranieri, può esser letta da diverse angolature; in senso negativo  come generica ed orientata a discriminare gli stranieri; in senso positivo come una prima risposta più organizzativa che pedagogico-didattica, per provare a risolvere un problema reale e cioè che l'eccessiva presenza nella stessa classe di alunni con diverse difficoltà di apprendimento, dovute a cause non solo linguistiche ma anche di disagio familiare e personale, crei difficoltà  per loro oltre che per i compagni non svantaggiati.

Il mio parere su questa prima soluzione che fissa "di norma" un tetto massimo del 30% di alunni stranieri per classe, escludendo quelli nati in Italia e che quindi conoscono la lingua italiana, è positiva. Se poi leggiamo attentamente il primo paragrafo  della circolare, trovo molte più ragioni a sostegno della richiesta avanzata da moltissime associazioni di persone con disabilità e loro familiari quando chiedono di fissare un tetto massimo anche al numero di alunni con disabilità nella stessa classe, tetto improvvidamente abrogato troppo frettolosamente col dpr n. 81/09. Ma ecco cosa recita il primo paragrafo della circolare ministeriale in questione:

 "Come risulta dalle rilevazioni nazionali e locali e da indicazioni provenienti dagli uffici dell'Amministrazione scolastica, ci troviamo di fronte ad un fenomeno generalizzato e complesso con aspetti problematici e criticità di non facile gestione e soluzione, che incidono negativamente sull'efficacia dei servizi scolastici e sugli esiti formativi.

In effetti l'elevata concentrazione nelle scuole e nelle classi di alunni con culture, condizioni, vissuti familiari e scolastici, situazioni di scolarizzazione e di apprendimento fortemente differenziati, impone il superamento di modelli e tecniche educative e formative tradizionali e l'adozione di metodologie, strumenti e contributi professionali adeguati alle nuove e diverse esigenze. Tale stato di cose, nonostante ogni costruttivo e lodevole impegno degli operatori scolastici e, in particolare, del personale docente, costituisce una delle più rilevanti cause di criticità da cui conseguono insuccessi scolastici, abbandoni, ritardi nei percorsi di studio.

Ecco perché tra gli interventi di programmazione e le misure gestionali e organizzative volte a garantire un equilibrato e funzionale assetto della realtà scolastica ed effettive condizioni di parità e di generalizzata e piena fruizione del diritto allo studio, assumono particolare importanza il corretto ed esauriente orientamento dei flussi delle iscrizioni tra le varie istituzioni scolastiche dei contesti interessati e l'equilibrata ripartizione degli alunni tra le classi.

Sono questi i presupposti e i requisiti irrinunciabili che consentono di coniugare efficacemente l'obiettivo della massima inclusione con quello di una offerta formativa qualitativamente valida, che tenga conto delle situazioni di partenza e delle necessità di ciascun alunno".

Queste riflessioni ben possono riferirsi pure all'inclusione degli alunni con disabilità. Certo, con riguardo a tali alunni, necessita di chiarimento l'espressione del testo : "(...) elevata concentrazione (...)  Nelle classi di alunni con (...) situazioni di scolarizzazione e di apprendimento fortemente differenziati, impone il superamento di modelli e tecniche educative e formative tradizionali e l'adozione di metodologie, strumenti e contributi professionali adeguati alle nuove e diverse esigenze".

L'espressione è  vaga e può prestarsi ad una interpretazione  "inclusiva" se venisse esplicitato il riferimento alla pedagogia cooperativa  e all'individualizzazione dei percorsi didattici ferma restando la presenza ed il collegamento con la classe degli alunni con disabilità. Pensando sempre all'inclusione degli alunni con disabilità, suscitano  invece  preoccupazione parole, scritte più oltre nel testo, come "percorsi differenziati e  scuole-polo", che invece possono prospettarsi come strumenti utili per una maggiore formazione linguistica degli stranieri e di una loro migliore distribuzione  scolastica.

 

Percorsi differenziati e Scuole-polo

Queste due espressioni nel testo hanno una valenza collettiva:  la prima "percorsi differenziati", nel senso di creare gruppi di alunni con percorsi differenziati  per facilitare il loro apprendimento linguistico, che però si  propongono a partire dalla scuola dell'infanzia, dove gli alunni imparano spontaneamente la lingua gli uni dagli altri mentre andrebbero prospettati per alunni che arrivano in Italia in età da scuola secondaria; la seconda "scuole-polo" nel senso che dovrebbero coordinare l'apprendimento linguistico ad esempio distribuendo gli alunni stranieri  in diverse scuole a seconda del loro livello di padronanza della nostra lingua (non sarebbero accettabili altri criteri selettivi).

Per l'inclusione degli alunni con disabilità, tali espressioni hanno invece significati individuali e non possono assumere il significato collettivo di cui sopra, pena lo snaturamento della cultura e la prassi dell'inclusione in Italia. Infatti i "percorsi differenziati" sono previsti dall'articolo 15 dell'ordinanza ministeriale n. 90/01  per l'esercizio del diritto allo studio nelle scuole superiori di  singoli alunni con gravissime disabilità intellettive che non possono svolgere i normali programmi e che quindi al termine di un percorso differenziato  rispetto ai programmi, ma comunque rientrante nel contesto del lavoro della classe, conseguono non il diploma ma un attestato, comprovante i crediti formativi maturati.

La seconda espressione "scuole-polo", introdotta dall'intesa Stato-Regioni del 20 marzo 2008 sulla qualità dell'inclusione scolastica  degli alunni con disabilità, si riferisce a scuole che divengono sede di titolarità formale di docenti già specializzati per il sostegno e che promuovono un aggiornamento permanente differenziato per le didattiche specifiche richieste da alunni con particolari disabilità (ciechi, sordi, autistici, ecc.), in modo che tali docenti si possano spostare nelle scuole, di uno stesso ambito territoriale ristretto, dove tali alunni si iscrivono di anno in anno, garantendo loro una continuità di sostegno ed una maggiore esperienza didattica.

Qualora queste due espressioni venissero intese in senso "collettivo" anche per l'inclusione degli alunni con disabilità, esse sarebbero inaccettabili non solo sotto il profilo della pedagogia dell'inclusione, ma anche sotto quello normativo, dal momento che le linee-guida sull'inclusione scolastica di tali alunni, emanate dal Ministero con una nota nell'agosto scorso vietano espressamente raggruppamenti di soli alunni con disabilità, "neppure per periodi brevi", giacchè si ricreerebbero di fatto le classi differenziali e speciali che la legge-quadro n.104/92 ha abrogato.

Pienamente condivisibili, anche per gli alunni con disabilità, sono  invece gli inviti della circolare alla stipula di "intese" con enti pubblici e privati che consentano una presa in carico collegiale dei problemi dell'inclusione scolastica sia degli  alunni stranieri che di quelli con disabilità.