La scuola reale che la politica ignora

di Anna Maria Palmieri* da l'Unità, 16.2.2010

A volte si è stanchi di ascoltare il «pensiero unico semplificato» sulla riforma epocale del sistema scolastico, sulla qualità delle odierne pratiche di razionalizzazione, sull’importanza di una «sana» competizione tra le scuole... A volte si è stanchi di spiegare ai soliti amici, fulminati dalla fede neoliberal, che il riassetto scolastico voluto da questo governo ha un abito demagogico e un’essenza socialmente pericolosa. A volte vorresti il miracolo. E cioè che milioni di italiani si fermassero come te davanti alla tv per un paio d’ore, e non perché sta giocando l’Inter, ma perché attratti dalla bella inchiesta di Riccardo Iacona su La scuola fallita, e si trovassero all’improvviso a ragionare sui fatti e non sulle parole d’ordine.

Quando le notizie erano notizie, quando il medium televisivo era «realmente» un mezzo di comunicazione, quando possedere un’opinione politica non costituiva reato, una trasmissione come Presadiretta avrebbe suscitato un intenso dibattito politico nel paese. Ci si sarebbe fermati onestamente a pensare: cosa sta succedendo? Quale/i verità ci sfuggono?

Perché l’inchiesta trasmessa domenica aveva il pregio di disvelare almeno tre verità, ineludibili anche per chi non rinuncia al filtro dell’opinione: primo, che non esiste alcun progetto di qualità dietro i tagli al finanziamento e al personale della scuola pubblica; secondo, che la competizione tra pubblico e privato, in un settore delicato come quello dell’istruzione, si sta traducendo nella ratifica di una società di ineguali, che premia i forti e punisce i deboli; terzo, che in Italia in questo momento non c’è una politica scolastica, a livello nazionale e locale, degna di un paese civile. In sintesi: che la scuola della Repubblica italiana , la scuola fondata sull’ art. 3 comma 2 della Costituzione è in dismissione.

A chi non vive quotidianamente in un’aula scolastica umida e carceraria, come capita a molti di noi, docenti della scuola pubblica, a chi non riflette sul fatto che le condizioni in cui versano i luoghi dell’istruzione sono una rappresentazione, non solo simbolica, del valore attribuito all’istruzione stessa, a chi ancora crede che i tagli al welfare siano necessari per mettersi al passo con la Finlandia, le immagini di Iacona avranno insegnato qualcosa?

Sarà deformazione professionale, ma mi piacerebbe vedere realizzati almeno alcuni «apprendimenti minimi»: e proverò a sintetizzarli:

1.L’atteggiamento prevalente evidenziato dalla nostra classe politica nei confronti della scuola è una sorta di neocinismo contemporaneo (per citare Pasolini).

2.Il potere politico neocinico non dialoga: nessun organismo dei genitori, nessuna associazione professionale, nessuna rappresentanza del mondo della scuola è stata seriamente ascoltata prima di inventarsi certe scelte e certe razionalizzazioni. Lo sguardo smarrito del genitore del bambino disabile privato del sostegno, la rabbia del precario estromesso dal lavoro, il dolore imbarazzato del collega di ruolo più «fortunato», la malinconica ironia del dirigente scolastico, il sorriso della madre di classe privilegiata e la rassegnazione di quella proletaria: ringraziamo Iacona per queste immagini del paese «reale», a cui nessuna riforma scolastica guarda.

3.Questo potere non riconosce l’importanza di quello di cui si occupa: non sa nulla della cultura non utilitaristica, non conosce i fondamenti del sapere: mette in piedi un riassetto che non ha basi pedagogiche, che non riconosce il disagio o la differenza tra vocazioni e abilità, che affida tutto alle famiglie e ai loro disvalori, proprio mentre monumentali trattati di sociologia denunciano la crisi irreversibile dell’istituto familiare. Quale legami deve esserci tra chi apprende e chi insegna? Amore e curiosità, calore e relazione: i disperati del corridoio, docenti e studenti costretti a correre da una sede all’altra, da una classe all’altra, senza banchi e senza finestre, possono amare la scuola come gli altri?

4.Infine. Gelmini proclama una qualità che prescinde dalla quantità, e così giustifica i tagli alla scuola pubblica: ma senza infrastrutture, senza formazione, senza risorse umane, senza neanche le sedie, quale qualità è possibile, onorevole ministro? Una qualità che rende felici nasce dal desiderio, non dal mercato: e l’unica competizione che rende felice un giovane è figlia della passione, come la passione matematica degli allievi di Massa Carrara e del loro professore. Ringrazio Presadiretta per averlo ricordato a qualche milione di italiani.

 

* Insegnante di lettere al liceo Umberto I di Napoli