Un primo commento sulla riforma dei licei dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità 9.2.2010. La razionalizzazione degli istituti tecnici
Della riforma delle superiori, la
parte veramente “gelminiana” è soprattutto quella dei licei, perché
la riorganizzazione delle scuole tecniche e professionali è in buona
sostanza frutto dei due anni di lavoro della commissione De Toni
insediata dal ministro Fioroni. La direttiva politica fondamentale
che ne era alla base era stata quella di collocare in via definitiva
gli istituti professionali fra le scuole di competenza statale
accanto agli istituti tecnici, invece di affidarli, come la
Costituzione voleva e come il buon senso consiglierebbe, ai governi
regionali, in modo da sintonizzarne meglio la funzione con le
esigenze dell’economia locale. In precedenza si era presto sgonfiato
il tentativo morattiano - secondo le indicazioni della commissione
Bertagna - di creare un doppio canale “istruzione-formazione” (allo
Stato i licei, alle Regioni i tecnici ed i professionali). Il
riordino dell’istruzione tecnica e professionale ha puntato a
limitare la frammentazione in tanti indirizzi, a ridurre a 32 le ore
di lezione, a rafforzare le aree scientifiche e tecniche ed infine a
potenziare tramite stage il rapporto con il mondo del lavoro. Una
razionalizzazione e semplificazione dell’attuale giungla di
indirizzi era senz’altro necessaria.
Sbagliata è invece, a nostro avviso,
la scelta sostanzialmente bipartisan di caratterizzare ancora di più
gli istituti professionali come parenti stretti dei tecnici,
penalizzando proprio le materie tecnico-pratiche, invece di andare
nella direzione esattamente opposta: quella cioè di preparare i
giovani ad una cultura del “fare”, assorbendo gradualmente al
proprio interno la stessa formazione professionale. Possiamo solo
auspicare che l’intervento delle regioni, come è previsto dal Titolo
quinto della costituzione e come è già avvenuto in Trentino e in
Lombardia, possa correggere in positivo questa impostazione. E
questo anche per rispondere in modo appropriato al gran numero di
insuccessi scolastici, che proprio negli istituti professionali
fanno registrare i maggiori picchi.
Venendo ai Licei, il merito maggiore
della riforma sta non solo nel taglio drastico delle sperimentazioni
(oltre 450) e in una riduzione oraria che specie in certi indirizzi
era indispensabile, ma anche nell’aver delimitato gli ambiti
disciplinari dei sei licei proposti, ognuno con una sua specifica
identità culturale e formativa, e avendo a comune il potenziamento
di alcune materie (scienze, lingua straniera, matematica).
Quanto al coinvolgimento della scuola
nel processo riformatore c’è stato indubbiamente un apprezzabile
sforzo sul piano del metodo, con l’organizzazione di seminari
nazionali, la nomina di referenti regionali incaricati di spiegare
la riforma, l’apertura di tre siti web e la presenza di insegnanti e
dirigenti scolastici in servizio nella Cabina di regia incaricata di
perfezionare la riforma dei licei. Insomma, una partecipazione della
“base” c’è stata, certo assai più che nel famoso comitato dei
quaranta di berlingueriana memoria, tra i cui membri non si trovava
neanche un docente.
Servono prima di tutto dei programmi
finalmente liberati dalle ipoteche pedagogistiche e dagli
interminabili elenchi di competenze; programmi che definiscano con
trasparenza e concretezza gli obbiettivi didattici fondamentali.
Come chiedono Giorgio Israel e Paola Mastrocola e come ha dichiarato
di voler fare il Presidente della Cabina di regia Max Bruschi (si
vedano due suoi interventi e quello di Giorgio Israel a commento
della nostra
nota del 5 gennaio). Sui programmi, un unico, ma pesante
interrogativo: ci sarà tempo per un lavoro seriamente meditato? Ci
pare piuttosto difficile.
E poi, indubbiamente, più mezzi. Se il
valore di una scuola sta in buona parte nella capacità degli
insegnanti di svolgere seriamente il loro lavoro, oltre che nella
trasparenza e concretezza dei suoi programmi, è anche vero che certe
forme di opposizione centrate in maniera monocorde sui “tagli” hanno
avuto buon gioco. Tanto la reintroduzione del maestro prevalente,
quanto il riordino dei licei sono apparsi troppo meccanicamente
necessitati dalla scure tremontiana. E molte scuole, davvero, non
hanno più il classico becco di un quattrino.
Detto questo, è doveroso aggiungere
che le critiche dell’opposizione, in certi momenti apparsa
disponibile a lavorare costruttivamente, sono state spesso fuori
misura e che non di rado si è mescolata piuttosto grossolanamente la
questione delle minori risorse con le problematiche relative ai
contenuti culturali e didattici, perdendo l’ennesima occasione di
fare proposte costruttive per approvare in maniera almeno in parte
condivisa riforme così cruciali nell’interesse di tutti gli
italiani.
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