Riordino dei licei, eccoci al dunque.
Dai documenti usciti nei mesi scorsi credevamo di aver capito che
per raggiungere il fine di un razionale utilizzo delle risorse umane
e strumentali disponibili e per una maggiore efficacia ed efficienza
del sistema scolastico, stava per arrivare una cura dimagrante di
quelle toste. La scuola a quanto pare è diventata come uno di quegli
appartamenti un po’ vecchiotti che, con l’andar del tempo, sono
stati modificati e allargati secondo le esigenze della famiglia: un
bagno in più, un soppalco, una cameretta, tutte superfetazioni che
col tempo hanno nascosto la struttura originaria. È venuta l’ora di
fare una bella pulizia: i vecchi appartamenti saranno sostituiti da
mini appartamenti, piccoli ma ordinati, arredati stile IKEA: tutto
quello che ti serve in trentacinque metri quadri.
Ma queste provvisorie certezze sono crollate quando, a funestare le
vacanze di Natale, è arrivata la Nota 9537- Indicazioni per il
Programma annuale delle istituzioni scolastiche per l’anno 2010 e
allora abbiamo definitivamente capito che appartamenti fatiscenti
che siano o minilocali stile IKEA, per la scuola in realtà non solo
non c’è nessuna novità sostanziale in vista, ma non c’è nemmeno
prospettiva di qualche cambiamento in un prossimo futuro. Condannati
a sprofondare nella palude.
Fatti due rapidi conti, ci si è accorti che la dotazione annuale
assegnata agli istituti scolastici è così esigua che non basterà a
coprire le spese per le supplenze brevi, né per il funzionamento
didattico. La spesa per i contratti di pulizie è stata decurtata del
25 per cento. Le somme che il MIUR da anni deve alle scuole vanno
congelate nell’aggregato “Z” (un nome, un programma) in attesa, con
ogni probabilità, di essere radiate, ma siccome questi residui
attivi nel frattempo sono stati spesi per coprire le assenze del
personale con quanto le scuole avevano in cassa, è chiaro che ci
troviamo di fronte ad una condanna al dissesto economico.
Le ricadute sulla quantità e qualità del servizio sono arrivate
immediatamente: le aule vengono pulite a giorni alterni; tutti i
progetti con enti e associazioni del territorio, dall’Università
alle associazioni culturali o di volontariato sono stati cancellati.
Niente laboratori di educazione alla lettura, niente laboratori
sulla cittadinanza attiva. Quel che non è stato cancellato, sarà
pagato dalle famiglie. Quanto ai viaggi di istruzione, la legge
impone di corrispondere ai docenti la cosiddetta “indennità di
missione” (una cifra modestissima, in verità), ma le scuole non
hanno i fondi per pagarla. Quindi le possibilità sono due: o far
saltare i viaggi o far pagare l’indennità di missione alle famiglie.
O far saltare tutti i progetti già avviati, o farli pagare alle
famiglie.
L’intero sistema si regge sulla
precarietà e in questo senso possiamo dire che la scuola è veramente
al passo coi tempi: da anni vive, ma è più esatto dire “sopravvive”,
grazie alle cosiddette “tasse di iscrizione” che in realtà sono
contributi volontari. Sarebbe come dire somme probabili, ma non
certe. Con questi contributi si acquistano le biro, i gessi e i
registri; si pagano fotocopie (poche) e toner; si fanno funzionare i
laboratori. L’organizzazione didattica poi si regge precariamente
sulla disponibilità dei docenti a prestare ore aggiuntive rispetto
al proprio orario di servizio, dato che da tempo non esistono più
ore a disposizione per le sostituzioni. Così è sufficiente che si
ammali un collega in più e l’equilibrio salta.
In questa situazione non si può dunque parlare di nuovi licei perché
le novità contenute nel riordino che partirà col prossimo anno, non
vanno a modificare aspetti sostanziali.
Ci saranno meno indirizzi e con una fisionomia più spiccata, il che
comporterà per i ragazzi la necessità di operare scelte nette e
rinunciare alla pratica del “ma anche” tanto cara alle famiglie: il
liceo classico, ma anche una buona preparazione nelle materie
scientifiche, lo scientifico, ma con due lingue. In questa
situazione si può fare grosso modo la scuola del dopoguerra: lezioni
frontali con classi sovraffollate e ragazzini che invece di venire a
scuola con il pezzetto di legna per la stufa, portano sottobraccio
la risma di carta per le fotocopie.
Assistiamo alla replica di uno
spettacolo già visto: da una parte si continua a proclamare non
senza enfasi che il Paese ha bisogno di una scuola genericamente
“più moderna”. Dall’altra, sul piano delle scelte concrete, la si
penalizza nelle risorse e si colpevolizza chi ci lavora. L’esito è
una scuola ridotta all’osso, rigida e vecchia., inadeguata a
rispondere a quell’emergenza educativa di cui molti parlano ma che
pochi pare siano disponibili ad affrontare davvero.
Nel frattempo la scuola va avanti nonostante tutto. Efficace o
inefficiente, nuova o vecchia, amichevole o arcigna, tutte le
mattine noi siamo lì con quelle faccette giovani davanti e a quel
punto non ci resta che accettare la sfida e cercare di fare, come
sempre, del nostro meglio.