SCUOLA

Riordino delle superiori:
l’educazione ridotta al modello Ikea

Antonella Paolillo, il Sussidiario 12.2.2010

Riordino dei licei, eccoci al dunque. Dai documenti usciti nei mesi scorsi credevamo di aver capito che per raggiungere il fine di un razionale utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili e per una maggiore efficacia ed efficienza del sistema scolastico, stava per arrivare una cura dimagrante di quelle toste. La scuola a quanto pare è diventata come uno di quegli appartamenti un po’ vecchiotti che, con l’andar del tempo, sono stati modificati e allargati secondo le esigenze della famiglia: un bagno in più, un soppalco, una cameretta, tutte superfetazioni che col tempo hanno nascosto la struttura originaria. È venuta l’ora di fare una bella pulizia: i vecchi appartamenti saranno sostituiti da mini appartamenti, piccoli ma ordinati, arredati stile IKEA: tutto quello che ti serve in trentacinque metri quadri.

Ma queste provvisorie certezze sono crollate quando, a funestare le vacanze di Natale, è arrivata la Nota 9537- Indicazioni per il Programma annuale delle istituzioni scolastiche per l’anno 2010 e allora abbiamo definitivamente capito che appartamenti fatiscenti che siano o minilocali stile IKEA, per la scuola in realtà non solo non c’è nessuna novità sostanziale in vista, ma non c’è nemmeno prospettiva di qualche cambiamento in un prossimo futuro. Condannati a sprofondare nella palude.

Fatti due rapidi conti, ci si è accorti che la dotazione annuale assegnata agli istituti scolastici è così esigua che non basterà a coprire le spese per le supplenze brevi, né per il funzionamento didattico. La spesa per i contratti di pulizie è stata decurtata del 25 per cento. Le somme che il MIUR da anni deve alle scuole vanno congelate nell’aggregato “Z” (un nome, un programma) in attesa, con ogni probabilità, di essere radiate, ma siccome questi residui attivi nel frattempo sono stati spesi per coprire le assenze del personale con quanto le scuole avevano in cassa, è chiaro che ci troviamo di fronte ad una condanna al dissesto economico.

Le ricadute sulla quantità e qualità del servizio sono arrivate immediatamente: le aule vengono pulite a giorni alterni; tutti i progetti con enti e associazioni del territorio, dall’Università alle associazioni culturali o di volontariato sono stati cancellati. Niente laboratori di educazione alla lettura, niente laboratori sulla cittadinanza attiva. Quel che non è stato cancellato, sarà pagato dalle famiglie. Quanto ai viaggi di istruzione, la legge impone di corrispondere ai docenti la cosiddetta “indennità di missione” (una cifra modestissima, in verità), ma le scuole non hanno i fondi per pagarla. Quindi le possibilità sono due: o far saltare i viaggi o far pagare l’indennità di missione alle famiglie. O far saltare tutti i progetti già avviati, o farli pagare alle famiglie.

L’intero sistema si regge sulla precarietà e in questo senso possiamo dire che la scuola è veramente al passo coi tempi: da anni vive, ma è più esatto dire “sopravvive”, grazie alle cosiddette “tasse di iscrizione” che in realtà sono contributi volontari. Sarebbe come dire somme probabili, ma non certe. Con questi contributi si acquistano le biro, i gessi e i registri; si pagano fotocopie (poche) e toner; si fanno funzionare i laboratori. L’organizzazione didattica poi si regge precariamente sulla disponibilità dei docenti a prestare ore aggiuntive rispetto al proprio orario di servizio, dato che da tempo non esistono più ore a disposizione per le sostituzioni. Così è sufficiente che si ammali un collega in più e l’equilibrio salta.

In questa situazione non si può dunque parlare di nuovi licei perché le novità contenute nel riordino che partirà col prossimo anno, non vanno a modificare aspetti sostanziali.

Ci saranno meno indirizzi e con una fisionomia più spiccata, il che comporterà per i ragazzi la necessità di operare scelte nette e rinunciare alla pratica del “ma anche” tanto cara alle famiglie: il liceo classico, ma anche una buona preparazione nelle materie scientifiche, lo scientifico, ma con due lingue. In questa situazione si può fare grosso modo la scuola del dopoguerra: lezioni frontali con classi sovraffollate e ragazzini che invece di venire a scuola con il pezzetto di legna per la stufa, portano sottobraccio la risma di carta per le fotocopie.

Assistiamo alla replica di uno spettacolo già visto: da una parte si continua a proclamare non senza enfasi che il Paese ha bisogno di una scuola genericamente “più moderna”. Dall’altra, sul piano delle scelte concrete, la si penalizza nelle risorse e si colpevolizza chi ci lavora. L’esito è una scuola ridotta all’osso, rigida e vecchia., inadeguata a rispondere a quell’emergenza educativa di cui molti parlano ma che pochi pare siano disponibili ad affrontare davvero.

Nel frattempo la scuola va avanti nonostante tutto. Efficace o inefficiente, nuova o vecchia, amichevole o arcigna, tutte le mattine noi siamo lì con quelle faccette giovani davanti e a quel punto non ci resta che accettare la sfida e cercare di fare, come sempre, del nostro meglio.