Parlar per numeri?
Soltanto un mezzuccio per ciarlatani

dal blog di Giorgio Israel, 22.2.2010

In Italia esiste una passione molto speciale per le statistiche. La ragione c’è. La statistica ha avuto un gran “patron”: il Duce. Mussolini era ossessionato dai numeri, in particolare da quelli che riguardavano la popolazione. L’Istituto Nazionale di Statistica fu la sua creatura prediletta e il suo presidente, il potentissimo Corrado Gini, aveva con lui un appuntamento fisso periodico per portargli e illustrargli tabelle su tabelle.

Oggi questa storica propensione è esaltata dalla tendenza mondiale a misurare tutto. Sembra che qualsiasi cosa sia più vera, più “oggettiva” se proposta in numeri. Non è così. La statistica è una scienza incerta, per qualcuno non è neppure una scienza ma un insieme di tecniche empiriche. Comunque i suoi risultati sono da prendere con cautela. Fino a che qualcuno spara che c’è il 48% di probabilità che entro 32 anni i ghiacciai si riducano del 97% si può riderci sopra, a condizione che non vengano assunte decisioni su simili basi. Ma quando si dice che nella tale città muoiono 7323 persone l’anno “a causa” dello smog, il sorriso si spegne e viene voglia di togliere la laurea, se ce l’ha, a chi parla così. Se poi si passa a stimare, sempre con precisione risibile, la probabilità di contrarre un dato tumore in presenza di una data anomalia genetica, e magari, su queste basi, si suggerisce a chi ha quell’anomalia l’asportazione della ghiandola mammaria, allora l’unica reazione possibile è l’indignazione. Perché un uso siffatto dei numeri è irresponsabile e persino criminale.

Oggi dilaga la parola “valutazione”. Si scrivono libri intitolati “la misurazione delle qualità”, si parla di misurare “in modo oggettivo” competenze, capacità, abilità e quant’altro, si progettano giganteschi istituti di valutazione “scientifica”. Disse il filosofo della scienza Georges Canguilhem: «non vi è scienza di un oggetto se questo oggetto non ammette la misura. Ogni scienza tende alla determinazione metrica attraverso la definizione di costanti o invarianti». Ebbene, l’unità di misura di qualità come la “competenza”, l’“abilità”, la “felicità” o il “dolore” semplicemente non esiste. Occorrerebbe quindi consigliare a chi ha il coraggio di parlare di “misurazione oggettiva delle qualità” di tacere definitivamente, se non altro per evitare di fare la figura del ciarlatano.

In un recente documento la International Mathematical Union e l’Institute of Mathematical Statistics – chi si intende di numeri più di costoro? – hanno denunciato l’«abuso» del ricorso ai numeri nella valutazione della ricerca scientifica. Hanno sostenuto che la credenza che il ricorso alla statistica sia più oggettivo dei giudizi verbali complessi è «infondata», che la pretesa oggettività dei numeri è «illusoria» e altamente intrisa di elementi soggettivi, per concludere: «I numeri non sono intrinsecamente superiori ai giudizi accurati».

A queste obiezioni si fanno orecchie da mercante perché questa numerologia è diventata un gigantesco affare attorno a cui brulica una legione di “esperti”, la cui unica competenza è quella di dare cifre, e poiché si trasmette come dogma di fede l’asserto che le cifre sono indiscutibili, questi “esperti” si collocano al disopra di ogni valutazione (numerica o no che sia). Per fortuna la crisi economica rende difficile espandere i carrozzoni con cui la corporazione degli “esperti” vorrebbe regolamentare la società ed estendere il proprio dominio dal campo dell’economia a quelli della salute, dell’istruzione, dell’ambiente, e anche della psicologia delle persone.


(Avvenire, 21 febbraio 2010)