INVALSI

La globalizzazione manda in soffitta
lo "Stato educatore" a vantaggio delle famiglie

Giovanni Cominelli, il Sussidiario 9.2.2010

Donde viene l’ostilità, bypartisanamente diffusa nell’opinione pubblica, nell’opinione “pubblicata”, nella politica e nella cultura - a volte viscerale, a volte dissimulata, a volte silenziosa, sempre ostinata e ideologicamente catafratta - alle scuole paritarie, alla libertà di scelta e di educazione, al ruolo delle famiglie, quali committenti del servizio educativo? Donde l’imputazione della richiesta di libertà di educazione a querule lamentazioni di lobby religiose o comunque private, alle quali non interesserebbe la res pubblica, il bene comune, ma solo il proprio particulare? E donde la riduzione del ruolo delle scuole paritarie alla sola ragione che fanno - come è vero - risparmiare 5 miliardi di euro allo Stato?

A queste domande occorre dare risposte culturali, che non siano ideologiche e ritorsive, andando a fondo delle ragioni, che vengono dagli ultimi secoli di storia europea continentale.

L’ostilità nasce da una convinzione impercettibile, ma pervasiva e definitiva come l’aria che respiriamo: che solo lo Stato sia la dimensione pubblica. Tutto il resto - le persone, la famiglia, i gruppi sociali ecc... - è consegnato irreversibilmente alla dimensione privata. Il che è come dire che solo lo Stato può produrre res publica, bonun commune, fondare la convivenza civile e pacifica, inverare la relazionalità originaria delle persone. Solo lo Stato è capace di tensione al verum et bonum. Insomma: lo Stato è la verità della società, è Dio. A questa posizione si è arrivati attraverso un intreccio di cause storico-politiche e filosofiche, che oggi, dopo cinque secoli, hanno consumato le proprie ragioni.

La prima causa sono le guerre di religione, che hanno insanguinato l’Europa - dalla Germania, alla Francia, all’Inghilterra - a partire dalla Riforma protestante. Nazioni già costituite come la Francia o il Sacro Romano Impero multinazionale furono attraversate da un vento di desolazione e di follia distruttrice. L’alternativa posta davanti alle classi dirigenti del tempo era secca: o statalizzare la religione, sul modello millenario dell’impero bizantino da poco tramontato, o privatizzarla. Alla prima soluzione aveva resistito fin dall’inizio della sua storia la Chiesa cattolica, che aveva formalizzato nel 494 con Papa Gelasio, nella sua lotta al cesaropapismo dell’Imperatore bizantino Anastasio, la distinzione tra l’auctoritas della Chiesa e la potestas dell’Imperatore. Perciò si adottò la seconda, prima con la formula del cuius regio eius et religio e poi progressivamente con il riconoscimento delle libertà religiose. Con ciò l’istanza religiosa si rifugiava in interiore homine, si staccava dalla dimensione pubblica e politica.

Intanto procedeva la costruzione dell’architettura dello stato assolutistico, come aveva auspicato Jean Bodin, il teorico francese cattolico dell’assolutismo nella seconda metà del ’500 con i suoi Sei libri della repubblica, mosso dalla notte di San Bartolomeo e dalle sanguinose vicende dei Guisa.

Sul versante teologico-filosofico veniva avanti l’antropologia luterana, poi calviniana, poi hobbesiana caratterizzata da un pessimismo radicale circa la natura umana, incapace di vero e di bene, incapace di relazionalità. La persona è ridotta ad individuo, monade chiusa in se stessa, che urta casualmente contro le altre, secondo un movimento browniano, spinta dall’interesse, dall’egoismo, dallo struggle for life. Da Hobbes a Hegel la sistemazione concettuale è definita: lo Stato non è più solo un apparato di sicurezza e di uso legittimo della forza, che protegge i diritti naturali, come ancora pretendeva John Locke. Lo Stato genera i diritti. In mezzo, nel frattempo, c’è stata la Rivoluzione francese: la legge Le Chapelier del 1791 statuisce un legame biunivoco monopolistico tra il cittadino - cui la persona viene definitivamente ridotta - e lo Stato. Alla fine di questo itinerario che è durato due secoli, lo Stato ha sequestrato interamente la dimensione pubblica; la persona nella sua dimensione ontologica relazionale, la famiglia, le comunità intermedie, tutto ciò è confinato nel privato, nel sottosuolo della Repubblica. Tra le conseguenze, una decisiva riguarda l’educazione. La persona, la famiglia ecc... sono geneticamente incapaci di educare alla cittadinanza. Perciò lo stato esercita il monopolio dell’educazione e costruisce conseguentemente enormi apparati educativi, che si dilatano con l’espandersi del Welfare. La Prussia di Federico II e la Francia di Napoleone aprono la strada educativa a tutta l’Europa continentale, influenzano la nascita del sistema educativo americano, sia del Nord America sia del Sud America. Le iniziative della Chiesa o di altre agenzie sono tollerate in nome del mercato, ma sono fuori dall’alveo della res publica.

Questo paradigma ha impregnato tutte le culture politiche, da quelle liberali, a quelle cattoliche, a quelle marxiste.

Tuttavia la storia fa il suo giro: oggi la cortina di ferro tra pubblico e privato tracciata dallo Stato cinque secoli fa è ormai attraversata in ogni direzione. Le forze motrici del cambiamento vengono da quel complesso di processi, che é comunemente indicato con gli stenogrammi della “globalizzazione” o della “terza rivoluzione industriale” o della “post-modernità” o della “società liquida”.

Lo Stato nazionale moderno è stirato verso l’alto di sistemi istituzionali continentali o verso il basso delle piccole patrie locali. Di qui la crisi fiscale, già teorizzata negli anni ’70, e la crisi finanziaria. Lo stato sta perdendo auctoritas e potestas, cioè egemonia, perché è corrosa la sua capacità di tenere in piedi le società avanzate, percorse da correnti immigratorie, culturali, economiche. Le società sviluppate tendono a divenire società di minoranze e di ortodossie in reciproco conflitto. Il fallimento consumatosi nel corso del ’900 degli esperimenti totalitari, che hanno visto al centro lo Stato assoluto e un’antropologia riduzionista, ha contribuito alla crisi di egemonia.

Uno degli effetti degli sconvolgimenti prodotti dalla globalizzazione è che la persona e le comunità intermedie hanno di nuovo messo fuori la testa. Esse si sono rivelate un novum sempre originale e incomprimibile, che non si può indefinitamente confinare. Il riconoscimento alla persona di una tensione originaria al verum et bonum la rende capace di produrre, in relazione con altri, una nuova res pubblica. La globalizzazione sembra riconsegnare nelle mani dei singoli libertà e responsabilità. Questo nuovo quadro cambia le ragioni e i fondamenti dell’educazione, la restituisce ai suoi titolari naturali. E costringe anche ad alzare il livello della battaglia culturale e politica sui temi educativi.