Il finale di partita Sofia Toselli*, da ScuolaOggi 11.2.2010 E così siamo arrivati al finale di partita. Di fronte a quella che viene mediaticamente definita una ’"grande riforma", quella della scuola superiore, che invece ci condurrà ad una clamorosa involuzione: culturale, democratica e produttiva.Il livello di civiltà di un paese oggi si gioca sul terreno della cittadinanza consapevole, cioè sulla capacità di tutti i cittadini di governare responsabilmente la propria esistenza, di capire e controllare i processi tecnologici, scientifici, ambientali ed economici in atto, di modificare - nell’interesse comune - stili di vita e di pensiero, di far fronte alle sfide che la contemporaneità pone, di riutilizzare in ogni contesto lavorativo e in ogni età della vita le conoscenze e le competenze apprese a scuola. E’ dunque obiettivo strategico della scuola quello di formare mentalità critiche, capaci di risolvere problemi, di abituare al dubbio, all’imprevisto, alla curiosità; e, contemporaneamente, di sviluppare il pensiero logico e razionale in grado di confrontarsi con la dimensione scientifica, tecnica, storica e con ogni altro aspetto dell’espressività umana. Oltre al compito di educare al rispetto di regole, patti e persone salvaguardando valori condivisi e l’etica nei comportamenti pubblici e privati di cui si è persa traccia.
Serviva allora un grande dibattito, serviva un confronto ampio e
serio, serviva intelligenza, sapienza, lungimiranza per arrivare ad
una riforma moderna ed efficace del sistema scolastico (di tutto il
sistema scolastico!) capace di contenere i cambiamenti culturali e
sociali, nuove modalità di apprendimento, nuove condizioni e nuovi
tempi di apprendimento.
Mentre i regolamenti di riordino della secondaria superiore
irrompono nella scuola al di fuori di un progetto culturale ed
educativo condiviso, capace di rimettere la scuola in sinergia con
le grandi questioni tipiche della contemporaneità. Le scelte del
governo sono state fatte senza confronto reale, senza alcuna
preliminare verifica delle esperienze maturate nelle scuole, senza
pensare alla sostenibilità delle soluzioni adottate. Senza confronto
parlamentare. Mortificando il ruolo degli Enti locali e delle
Regioni, del CNPI, dei Sindacati e delle Associazioni professionali.
Dissolvendo l’autonomia delle scuole.
Ma non c’è solo questo: c’è in gioco anche un disegno volto a
riproporre una cultura a compartimenti stagni, che segnerà profonde
divisioni sociali, funzionali (e propedeutiche nello stesso tempo) a
una scuola strutturata gerarchicamente, dove la separazione fra
culture, tra sapere e saper fare, è il caposaldo su cui poggerà
l’impalcatura culturale e organizzativa del "riordinato" sistema
scolastico. Come se, in un quadro di saperi e competenze di
cittadinanza, fosse ancora possibile pensare a una istruzione che si
fondi solo su una cultura "disinteressata" o solo su competenze a
"spendibilità" immediata. Non basta: il comma 4 bis dell’articolo 64 della legge 133/08 recita: "L’obbligo di istruzione si assolve anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale".E un emendamento approvato dalla Commissione Lavoro della Camera, terminato il suo iter legislativo, consentirà a tanti quindicenni, considerati un fastidioso e costoso ingombro per la scuola, di assolvere l’obbligo di istruzione persino nell’apprendistato. Una scelta sbagliata e ingiusta che ha l’obiettivo di "smistare" i più deboli verso un canale privo di contenuti culturali e di efficacia formativa. L’idea è sempre la stessa: selezionare ed escludere prima che si può, senza offrire alcuna possibilità di rimotivare allo studio e recuperare alla scuola gli alunni che più ne hanno bisogno.
E così mentre l’Unione Europea, l’Ocse e Bankitalia dicono che
bisogna investire di più in conoscenza e istruzione, l’Italia fa il
percorso inverso: taglia drasticamente risorse, tempo scuola,
insegnanti, torna indietro sull’obbligo e prepara un sistema
scolastico che, per l’organizzazione didattica e le indicazioni di
contenuti che propone, abbasserà il profilo culturale di tutta la
popolazione. E se la politica chiude gli occhi sul futuro di tanti
ragazzi, gli insegnanti debbono tenerli ben aperti perché tutte le
esperienze didattiche caratterizzate da spirito di inclusione, da
innovazione metodologica e didattica e da cooperazione professionale
possano essere rimesse sapientemente in campo, sfruttando ogni
possibile spazio di autonomia. Con l’auspicio che presto si torni a
dibattere di scuola e si arrivi a una riforma reale e condivisa di
tutta la scuola italiana. |