La circolare Gelmini
sul numero massimo di stranieri in classe

 di Salvatore Nocera Educazione & Scuola, 17.2.2010
(di prossima pubblicazione sulla Rivista
“L’integrazione scolastica e sociale del centro Studi Erickson di Trento )

La C M n. 2 dell’8/1/010 può esser letta da diverse angolature; in senso negativo  come generica ed orientata a discriminare gli stranieri; in senso positivo come una prima risposta più organizzativa che pedagogico-didattica, per provare a risolvere un problema reale e cioè che l’eccessiva presenza  nella stessa classe di alunni con diverse difficoltà di apprendimento , dovute a cause  non solo linguistiche  ma anche di disagio familiare e personale e con difficoltà apprenditive conseguenti alle disabilità ed ai disturbi specifici di apprendimento, crea difficoltà  per loro oltre che per i compagni non svantaggiati.

A me  questa prima soluzione di fissare “ di norma” un tetto massimo del 30% di alunni stranieri per classe, escludendo quelli nati in Italia e che quindi conoscono la  lingua   italiana, sembra accettabile.

Se poi  leggiamo attentamente il paragrafo 1 della Circolare  , che riporto, trovo molte più ragioni a sostegno della richiesta avanzata da moltissime associazioni di persone con disabilità e loro familiari di fissare un tetto massimo anche al numero di alunni con disabilità nella stessa classe, tetto improvvidamente abrogato troppo frettolosamente col DPR n. 81/09:

“come risulta dalle rilevazioni nazionali e locali e da indicazioni provenienti dagli uffici dell’Amministrazione scolastica, ci troviamo di fronte ad un fenomeno generalizzato e complesso con aspetti problematici e criticità di non facile gestione e soluzione, che incidono negativamente sull’efficacia dei servizi scolastici e sugli esiti formativi.

In effetti l’elevata concentrazione nelle scuole e nelle classi di alunni con culture, condizioni, vissuti familiari e scolastici, situazioni di scolarizzazione e di apprendimento fortemente differenziati, impone il superamento di modelli e tecniche educative e formative tradizionali e l’adozione di metodologie, strumenti e contributi professionali adeguati alle nuove e diverse esigenze. Tale stato di cose, nonostante ogni costruttivo e lodevole impegno degli operatori scolastici e, in particolare, del personale docente, costituisce una delle più rilevanti cause di criticità da cui conseguono insuccessi scolastici, abbandoni, ritardi nei percorsi di studio.

Ecco perché tra gli interventi di programmazione e le misure gestionali e organizzative volte a garantire un equilibrato e funzionale assetto della realtà scolastica ed effettive condizioni di parità e di generalizzata e piena fruizione del diritto allo studio, assumono particolare importanza il corretto ed esauriente orientamento dei flussi delle iscrizioni tra le varie istituzioni scolastiche dei contesti interessati e l’equilibrata ripartizione degli alunni tra le classi.

Sono questi i presupposti e i requisiti irrinunciabili che consentono di coniugare efficacemente l’obiettivo della massima inclusione con quello di una offerta formativa qualitativamente valida, che tenga conto delle situazioni di partenza e delle necessità di ciascun alunno.”

 

Queste riflessioni ben possono riferirsi pure all’inclusione degli alunni con disabilità.

Certo , con riguardo a tali alunni, necessita di chiarimento l’espressione del testo :

“…… l’elevata concentrazione …. Nelle classi di alunni con …..  situazioni di scolarizzazione e di apprendimento fortemente differenziati, impone il superamento di modelli e tecniche educative e formative tradizionali e l’adozione di metodologie, strumenti e contributi professionali adeguati alle nuove e diverse esigenze.”

L’espressione è  vaga  e può prestarsi ad una interpretazione “ inclusiva “ se venisse esplicitato il riferimento alla pedagogia cooperativa  ed all’individualizzazione dei percorsi didattici ferma restando  la presenza ed il collegamento  con la classe degli alunni con disabilità.

Pensando sempre all’inclusione degli alunni con disabilità, suscitano  invece  preoccupazione parole, scritte più oltre nel testo, come “ percorsi differenziati e  scuole-polo”, che invece possono prospettarsi come strumenti utili per una maggiore formazione linguistica degli stranieri e di una loro migliore distribuzione  scolastica.

Queste due espressioni nel testo hanno una valenza collettiva:   la prima” percorsi differenziati “, nel senso di creare gruppi di alunni con percorsi differenziati  per facilitare il loro apprendimento linguistico, che però si  propongono a partire dalla scuola dell’infanzia, dove gli alunni imparano spontaneamente la lingua gli uni dagli altri, mentre andrebbero  prospettati per alunni che arrivano in Italia in età da scuola secondaria;la seconda “ scuole-polo “ nel senso che  dovrebbero coordinare l’apprendimento linguistico ad es. distribuendo gli alunni stranieri  in diverse scuole a seconda del loro livello di padronanza della nostra lingua ( non sarebbero accettabili altri criteri selettivi).

Per l’inclusione degli alunni con disabilità, tali espressioni hanno invece significati individuali  e non possono assumere il significato collettivo di cui sopra, pena lo snaturamento della cultura e la prassi dell’inclusione in Italia. Infatti i “ percorsi differenziati” sono previsti dall’art 15 dell’Ordinanza ministeriale n. 90/01  per l’esercizio del diritto allo studio nelle scuole superiori di  singoli alunni con gravissime disabilità intellettive che non possono svolgere i normali programmi e che quindi al termine di un percorso differenziato  rispetto ai programmi, ma comunque rientrante nel contesto del lavoro della classe, conseguono non il diploma ma un attestato, comprovante i crediti formativi maturati.

La seconda espressione “ scuole-polo “, introdotta dall’Intesa Stato-regioni del 20 Marzo 2008 sulla qualità dell’inclusione scolastica  degli alunni con disabilità, si riferisce a scuole che divengono sede di titolarità  formale di docenti già specializzati per il sostegno e che promuovono un aggiornamento permanente differenziato per le didattiche specifiche richieste da alunni con particolari disabilità( ciechi, sordi, autistici, etc ), in modo che tali docenti si possano spostare nelle scuole , di uno stesso ambito territoriale ristretto, dove tali alunni si iscrivono di anno in anno , garantendo loro  una continuità di sostegno ed una maggiore esperienza didattica.

Qualora queste due espressioni venissero intese in senso “ collettivo” anche per l’inclusione degli alunni con disabilità, esse sarebbero inaccettabili non solo sotto il profilo della pedagogia dell’inclusione, ma anche sotto quello normativo, dal momento che le Linee-guida  sull’inclusione scolastica di tali alunni, emanate dal Ministero con Nota prot n. 4274 del 4 Agosto 2009 vietano espressamente  raggruppamenti di  soli alunni con disabilità, “ neppure per periodi brevi “, giacchè si ricreerebbero di fatto le classi differenziali e speciali che la Legge-quadro n.104/92 ha abrogato.

Pienamente condivisibili, anche per gli alunni con disabilità, sono  invece gli inviti della Circolare alla stipula di “ intese” con enti pubblici e privati che consentono una presa in carico collegiale dei problemi dell’inclusione scolastica sia degli  alunni stranieri che di quelli con disabilità.