Cancellare lo studio della Divina Commedia

di R.P. La Tecnica della Scuola, 21.2.2010

La proposta viene dall'Arre che considera il poema di Dante un'opera politicamente scorretta che offende gravemente le minoranze etniche e religiose. Declamare in pubblico taluni Canti potrebbe costituire addirittura un vero e proprio reato.

La “Divina Commedia” è un testo che incita all’odio razziale e religioso e per questo motivo va cancellata dai programmi di studio di ogni ordine di scuola.

La clamorosa richiesta proviene dall’Arre (Associazione per il rispetto di tutte le religioni e la convivenza pacifica delle etnie culturali) che ha addirittura inoltrato una petizione in tal senso al Ministro dell’ Istruzione Maria Stella Gelmini.

Secondo l’Arre l’opera di Dante è scritta tra l’altro in una lingua non più comprensibile dalle nuove generazioni, ma l’accusa riguarda anche i contenuti: “Quello che si ritiene, a torto, il capolavoro della letteratura italiana contiene centinaia, se non migliaia, di versi che offendono gravemente non poche minoranze di cittadini e legittimano pesanti discriminazioni nei confronti dei diversi”.

Ma su cosa si basa questo incredibile giudizio che sovverte secoli di tradizione culturale e letteraria e mette in discussione le analisi di centinaia di studiosi?

L’Arre porta esempi concreti.

Nel XXVIII canto dell’Inferno, per esempio, la figura di Maometto verrebbe dileggiata, mentre nel V canto del Paradiso l’Arre legge persino una anticipazione delle legge razziali di epoca fascista (riferendosi agli Ebrei Dante scrive infatti: “Se mala cupidigia altro vi grida,/uomini siate, e non pecore matte,/sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida!”).

Per non parlare poi dello spirito omofobo presente in diversi passaggi del poema e che troverebbe la sua massima espressione nel XV canto dell’Inferno (“In somma sappi che tutti fur cherci/e litterati grandi e di gran fama, /d'un peccato medesmo al mondo lerci”).

E che dire del discredito morale che Dante getta su non poche città italiane?

Degli abitanti di Firenze il poeta scriveva: “ingrato popolo maligno/che discese di Fiesole ab antico”, mentre Pisa veniva indicata come “vituperio de le genti” (Dante si augurava anzi che le isole di Capraia e di Gorgona si spostassero fino tappare la foce dell’Arno in modo che tutti i pisani ne morissero annegati).

E così l’Arre ha deciso di consegnare un altro esposto alla Procura della Repubblica di Milano “per accertare se la declamazione di tali versi in pubblico - scuole o piazze - possa configurare il reato di istigazione a delinquere, aggravato dallo stragismo”.

Insomma anche Roberto Benigni stia attento: alla sua prossima esibizione potrebbe essere prelevato da due carabinieri e portato in caserma per accertamenti e magari processato, come un mafioso o un brigatista.