"Un avenir nuageux, et même orageux" Difendiamoci: nei POF non accogliamo la didattica per ‘competenze’. Piero Morpurgo, dalla Gilda degli insegnanti di Vicenza, 1.2.2010 Nitidi e precisi i colleghi francesi: con 35 alunni per classe non si può insegnare, le ‘competenze’ costituiscono un modo per ‘diluire’ le conoscenze e danneggiare i più deboli[1]. Talvolta l’Italia dovrebbe avvantaggiarsi del suo essere sempre in ritardo giacché potrebbe fermarsi in tempo. Sarebbe proprio il caso delle ‘competenze’. Il termine evoca cognizione o perizia e dunque una didattica per ‘competenze’ potrebbe avere un valore positivo.
La natura del problema Tuttavia la ‘didattica per competenze’ appare ingannevole: a) innanzitutto non è un nome nuovo per continuare a insegnare come sempre; b) viene definita “un insieme di risorse soggettive (a carattere cognitivo e non) ed oggettive; che un soggetto può mobilitare (rete); per affrontare con successo una situazione-problema”[2]; c) ne consegue che si studia la storia medievale non per ricostruire ad esempio l’idea di nazione, ma per produrre un pieghevole finalizzato a incrementare l’afflusso dei turisti nel proprio paese; d) se è pur giusto che la didattica sia fondata sui ‘problemi’ (ad es. il calcolo delle altezze di Jules Verne[3]) il nuovo orientamento si concentra sul ‘saper fare’ e non sul ‘saper giudicare’ il che potrebbe esser grave; e) in Italia si oscilla tra individuazione di abilità generiche ed altre eccessivamente specialistiche: “leggere -anche in modalità multimediale- le differenti fonti letterarie, iconografiche, documentarie, cartografiche”[4] qui il MIUR prevede, alla fine del biennio della secondaria superiore, competenze che non consegue nemmeno uno studente universitario.
Insegnare in laboratorio? Non è una novità. Nessuno discute i pregi della cosiddetta didattica laboratoriale, ma questi metodi in Italia già sono applicati: dall’insegnamento di Emma Castelnuovo[5] (si ascolti la lezione al Festival della Matematica del 2007[6]) ai programmi di storia per l’istruzione professionale del 1997[7]. Il punto da mettere in discussione è questo: la ‘didattica per competenze’ è una risposta debole e/o opportunista alle difficoltà della Scuola? Non convince affatto la sparizione delle grandi tematizzazioni: scompaiono la ‘storia della letteratura italiana’ e viene abrogato l’insegnamento della geografia. Non si ricerca più il ‘piacere del leggere’ e si insegue un ‘saper fare’ costituito da segmenti flessibili utili all’inserimento nel mondo del lavoro. In Francia questo sistema non sembra funzionare.
L’esperienza francese Infatti, nel 2005, la didattica per ‘competenze’ fu varata in Francia e ora i sindacati chiedono di rivederla perché: le passage à un enseignement construit autour de compétences pose de redoutables problèmes pédagogiques et éducatifs[8]. Di più: le certificazioni appaiono vaghe e gli insegnanti non intendono prestarsi a prendere in giro gli studenti e le famiglie, il tutto si tradurrebbe in una serie di test incessanti a scapito di quel lavoro paziente dei docenti volto alla costruzione di saperi solidi e formativiì. Pertanto nous vous informons solennellement, Monsieur le Ministre, que nous ne renseignerons pas le livret de compétences ou que nous apportons notre soutien aux collègues directement concernés qui refuseront de le faire. Noi ci rifiuteremo di certificare le competenze e aiuteremo i colleghi che si opporranno. Uno schieramento unitario ha proclamato -in difesa della Scuola- scioperi e manifestazioni di tutto il pubblico impiego perché al salasso senza precedenti dei tagli di posti di lavoro si aggiungono le frustate di riforme regressive: l’education nationale, déjà mise à mal par une saignée sans précédent de ses effectifs, l’Enseignement Supérieur et la Recherche, sont frappés de plein fouet par des réformes plus régressives les unes que les autres[9].
Riforme o contrazioni di cattedre? In realtà le riforme francesi fondate sulle ‘competenze’ non servono ad altro che a mascherare le riduzioni d’orario delle cattedre[10]. Di fronte a questo stato di cose i sindacati della scuola hanno invitato i docenti ad inviare al ministero lettere che segnalino tutto ciò che non funziona[11]. Questa scuola francese per competenze è costituita da sette ‘pilastri’[12]: -la maîtrise de la langue française, -la pratique d'une langue vivante étrangère, -les compétences de base en mathématiques et la culture scientifique et technologique, -la maîtrise des techniques usuelles de l'information et de la communication, -la culture humaniste, -les compétences sociales et civiques, -l'autonomie et le sens de l'initiative. In realtà l’impianto, pur intendendo ‘valutare’ competenze impalpabili quali: creatività, espressività, senso di cittadinanza, presenta anche esagerazioni giacché prescrive che gli studenti si sappiano orientare nella lettura dell’ Iliade, dell’ Odissea, e della Bibbia. C’è chi teme che la nostra scuola diverrà ancora più demenziale come sostiene Giorgio Israel[13] e di certo non rassicura la prospettiva ‘olistica’ del professor Nicoli nume tutelare di: competenze, UDA e PECU[14].
Le tesi dello SNES Nelle documenti congressuali lo SNES, il sindacato più rappresentativo della scuola secondaria francese, è determinatissimo: le competenze non servono affatto ad accogliere chi ha difficoltà di apprendimento perché la riduzione dei programmi al minimo costituisce un danno per i più deboli; le competenze nascondono una condizione utilitaristica dell’istruzione che snatura le discipline, che impedisce lo sviluppo dello spirito critico. E peggio ancora: l’introduzione di valutazione comportamentali tradisce l’intenzione di ‘formattare’ le teste della gioventù ai dogmi della mobilità: pire, l’introduction d’une évaluation de normes comportementales trahit une volonté de ‘formatage’ de la jeunesse dans un sens conforme aux dogmes de la flexibilité et de la mobilité du marché du travail[15]. C’è molto da riflettere. Piero Morpurgo |