SCUOLA Mastrocola: torniamo all’esame di 5^ elementare contro il declino dei cervelli intervista a Paola Mastrocola di Raffaele Castagna, il Sussidiario 25.2.2010
“Ripristiniamo l'esame di quinta
elementare”. Così La Stampa intitolava l’altro ieri un articolo di
Marco Rossi Doria che tracciava un quadro tragico della nostra
istruzione e in particolar modo della conoscenza dell’italiano. «Si
scrive per frasi fatte, - dice Rossi Doria - spesso tratte da
stereotipi della tv. Non si conoscono le basi della sintassi. Tanto
che le frasi scritte vengono tenute su - si fa per dire - da parole
tuttofare. Così la parola “che” è ormai polivalente: la si trova,
indifferentemente, al posto di “a cui”, “di cui”, “in cui” ma anche
al posto di “dove” e di “quando”. È una questione decisiva». E nel
dare l’allarme, operazione nella quale non sembra essere l’unico di
questi tempi, elogiava le crociate a favore della lingua di Paola
Mastrocola. Ma la situazione è davvero così tragica o i cambiamenti
linguistici di cui tanto ci scandalizziamo sono solo un’inevitabile
conseguenza dello scorrere del tempo, dei costumi e dei codici?
Quale ruolo può svolgere la scuola in questo senso? Ne abbiamo
parlato con la stessa Mastrocola.
Inutile dire che sono assolutamente
d’accordo. Mario Rossi Doria è un grandissimo maestro nonché una
figura all’interno del mondo della scuola e dell’educazione. La sua
proposta e l’allarme da lui lanciato sulle pagine della Stampa sono
assolutamente condivisibili. Soprattutto per quanto riguarda la
lingua italiana. Fosse per me reintrodurrei, oltre all’esame di
quinta elementare, anche quello di seconda. Il passaggio dai primi
due anni agli ultimi tre delle elementari può anch’esso essere
utile.
Certo. Una delle domande che mi sto
ponendo nella mia “battaglia” per l’italiano è se si tratta di una
crociata che sono soltanto io a condurre. Stiamo andando verso un
mondo di non parlanti, non scriventi, non leggenti. Più che
denunciare questo tracollo non so davvero che cosa fare. Addirittura
fra i miei colleghi insegnanti c’è chi sostiene che vada benissimo
così, accampando come argomentazione l’idea che il mondo
inevitabilmente si trasforma e con esso i modi di comunicare. Ma mi
sembra piuttosto strano che questa trasformazione ci porti a
regredire fino ai linguaggi gestuali e gutturali.
Direi che è una somma di fattori che
si sono diabolicamente intrecciati. Primo fra questi il ’68 e la sua
“onda lunga”. La grammatica improvvisamente divenne di destra. Ci
ricordiamo della frase «è solo questione di forma badiamo al
contenuto»? Questa divenne la logica dell’insegnamento. Il
consumismo sfrenato si è poi aggiunto, portatore di una mentalità di
immediatezza e quindi facilitazione di ogni cosa, anche della
lingua. Terzo elemento è quello tecnologico: la comunicazione
sfrenata visiva ha sacrificato il valore delle parole in sé, della
lettura. Anche i messaggini sul cellulare vengono scritti seguendo
un criterio espressivo minimale. La scuola non ha saputo e non sa
arginare questi straripamenti dell’uso della lingua.
Sinceramente degli insegnanti futuri
so poco o niente, quindi non mi sento di accusare gli atenei. Io
parlo delle elementari, e anche delle medie, perché per esperienza
diretta mi vedo costretta come insegnante di liceo a dover
rispiegare quelli che appunto sono gli “elementi” della grammatica e
della sintassi. E mi domando che cosa si faccia oggi alle
elementari. Sicuramente non insegnano le nozioni fondamentali che
sarebbe essenziale i bambini apprendano. Le elementari di oggi hanno
creato una “diversamente scuola”.
Chiarisco subito un concetto: io sono
totalmente d’accordo con tale posizione. Possiamo anche trovarci
tutti e decidere di comune accordo che la lettera “h” davanti al
verbo “avere” non si debba più mettere. Parlando francamente non
importa un bel niente a nessuno di saper distinguere un complemento
oggetto da un predicativo dell’oggetto. La gente parla ugualmente
con o senza questo tipo di conoscenze. Quello che intendo dire è che
se un alunno si cimenta quattro ore di fila a comprendere questo
tipo di differenze e strutture della lingua inevitabilmente mette in
atto delle strutture di pensiero compiute e piene. Questo non serve?
La logica umana è fondata su questi esercizi. Così si impara a
pensare, ad argomentare e via dicendo. Se noi facciamo decadere la
riflessione sulla lingua smontiamo di fatto tutto un esercizio per
la strutturazione del pensiero. Ovviamente ho già risposto in parte. La prima operazione sarebbe una riforma totale delle scuole elementari, ripristinando dei programmi che sensatamente ritornino ai fondamenti educativi. Questa non è una guerra per rendere la vita difficile ai bambini, ci mancherebbe. Ma è assurdo ragionare solo in termini di creatività libera e senza una minima regola. Tanto più che l’età infantile dispone di un enorme potenziale di apprendimento. Quindi monitorerei in maniera assai più assidua gli apprendimenti effettivi di anno in anno. E infine verificherei con maggiore scrupolo il lavoro degli insegnanti. È inammissibile che un maestro delle elementari faccia ciò che vuole a scapito della vita futura dei propri alunni. Dicono che questa sia l’era della comunicazione. Penso piuttosto che sia l’era dei mezzi di comunicazione. La comunicazione in sé la stiamo perdendo.
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