Là dove c’era l’università ora c’è Giorgio Israel da Tempi.it, 1.12.2010 Può avere implicazioni molto rilevanti la determinazione dell'Autorità di vigilanza sui contratti e lavori pubblici che consente alle università di partecipare alle gare per l'affidamento dei progetti pubblici. Una nuova prateria si stende di fronte agli atenei. Ma questa prospettiva innesca polemiche virulente e minacce di ricorrere in sede europea. Il presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri, Gianni Rolando, protesta: «È inaccettabile che un settore composto da migliaia di professionisti, debba fare i conti con la concorrenza delle università che invece dovrebbero accentrare tutti i loro sforzi verso la formazione». È indubbio che, in una situazione di crisi, la concorrenza dell'università mette in grave difficoltà coloro che tradizionalmente concorrono alle gare pubbliche, come ingegneri, architetti, geologi. È una concorrenza pesante perché le università possono svolgere queste attività nelle loro sedi, senza spendere un centesimo per affitti, energia e l'accesso alle banche dati, a differenza dei privati. D'altra parte, questa porta spalancata alle università rappresenta una sorta di bocchetta di ossigeno in una situazione di drammatica carenza di fondi: allo stato dei fatti, se non vi sarà rifinanziamento da parte del governo, il taglio dei fondi di dotazione ordinaria per il 2011 equivale a chiudere tutti gli atenei, anche i più virtuosi, e quindi è da attendersi che ci si getterà a capofitto nella nuova opportunità. Questa vicenda è molto significativa perché permette di capire che sono nel giusto coloro che denunciano la tendenza a trasformare l'università in qualcosa di diverso rispetto alla funzione istituzionale che essa ha in qualsiasi parte del mondo: dal ruolo di alta formazione a quello di ufficio studi e di consulenza per le aziende sul territorio. Se si tagliano eccessivamente i fondi e si costringono le università a cercare quattrini in attività esterne, in particolare di consulenza, l'attenzione per la formazione si attenua e si verifica quel che denuncia Rolando: una «distrazione dell'università dalla sua missione». Non si capisce – egli prosegue «perché un docente, pagato per svolgere attività didattica, dovrebbe distogliere la sua attenzione per dedicarsi alle gare». Invece si capisce benissimo, e il perché lo ha spiegato il direttore generale della Luiss, l'università di Confindustria, Pier Luigi Celli, dicendo che bisogna «togliere la governance totale dell'università all'accademia. E aprirla alle imprese, alle istituzioni, alla società civile». Si chiede qualcosa che non esiste neppure nelle università statunitensi private, dove i docenti conservano un ruolo determinante nella governance. E quantomeno là i privati pagano. Qui, invece, secondo il tipico modello dell'industria assistita italiana, si vuole la botte piena e la moglie ubriaca: un'università che fa lavoro di consulenza a bassi costi per le aziende le quali, oltre a spendere meno, non contribuiscono con un centesimo e, per giunta, si accaparrano il controllo totale. Insomma, è l'università come ufficio studi e consulenze confindustriale. Non è la via per costruire istituzioni prestigiose: le più grandi università del mondo non sono certamente famose perché fanno consulenza sul territorio. Ma di che stupirsi? Per capire cosa produca questo modello basta cercare la posizione della Luiss nelle classifiche internazionali delle università (in quelle internazionali, non in quelle nazionali addomesticate). È semplicemente introvabile. Questa è la filosofia del capitalismo italiano: spremere la mucca statale per ottenere il massimo vantaggio possibile in tempi minimi, a costo di farla schiattare. |