Scontri a Roma, Mario Monti:
Il presidente della
Bocconi e le ragioni degli studenti: di Luca Cifoni Il Messaggero, 20.12.2010
ROMA (20 dicembre) -
«Sbagliata l’occasione, sbagliato il metodo, ma sacrosanto il tema
di fondo: cioè il fatto che se le cose continuano così per i giovani
non c’è davvero futuro». Il professor Mario Monti, presidente
dell’Università Bocconi e per dieci anni commissario europeo,
sintetizza così il suo pensiero.
«Le risorse sono
sicuramente un problema ma non credo abbia senso gettare denaro in
un sistema che funziona nell’interesse della corporazione
universitaria invece che della qualità. Quindi l’ideale sarebbe
riformare il sistema ed avere più possibilità di finanziamento».
«Naturalmente. Quando
le forme di protesta sono violente è giusto che la collettività si
tuteli, anche sotto il profilo dell’ordine pubblico».
«Glielo spiego. Nel
1998 intervenni al Meeting di Rimini, allora si parlava di sciopero
generale contro la riforma delle pensioni. Io dissi che sarebbe
stato meglio pensare a uno “sciopero generazionale”. Le generazioni
future pagano il prezzo di garanzie eccessive per quelle che le
hanno precedute. Quella dei giovani oggi è una generazione
invisibile che annaspa tra disoccupazione, ruoli effimeri, eterni
itinerari scolastici e rassicurante permanenza in famiglia».
«C’è un sistema
politico che ha una vista cortissima. Fino a pochi giorni fa
l’orizzonte temporale era il 14 dicembre. Ora non so quale sarà, ma
certo non molto lontano. In Polonia la classe dirigente e l’opinione
pubblica discutono su un documento presentato dal governo intitolato
Polonia 2030. Noi non abbiamo neanche colto l’occasione del Piano
nazionale delle riforme, mandato recentemente a Bruxelles come
richiesto dalla Strategia Ue 2020, per avviare un minimo di
dibattito pubblico. Chi soffre di più di questa mancanza di disegno
sono proprio i giovani. E meno male che c’è l’Europa, che almeno
pone qualche paletto a tutela del futuro, come in materia di
ambiente o di debito pubblico; ma questo non basta».
«Ci vorrebbe una
visione ampia e molto concreta, un’attenzione alla tendenza
inerziale che si avrebbe da qui a dieci o venti anni non facendo
nulla. L’Italia verrebbe sempre più spiazzata dalla concorrenza
internazionale. Guarda caso, proprio la riduzione delle rendite e
dei privilegi, l’aumento della concorrenza, cioè la ricetta che
aiuterebbe i giovani, è anche quella che serve per sbloccare tutto
il Paese. Invece da noi maggioranza e opposizione si aizzano le
corporazioni una contro l’altra. Per questo in passato ho detto che
servirebbe un progetto comune tra le forze riformatrici di tutti gli
schieramenti».
«La qualità del
dibattito politico, che è diventata impresentabile, allontana i
giovani, ha un effetto pesantemente diseducativo. La realtà non è
bianca né nera, servirebbe una leadership che rappresenti le
difficoltà del Paese ma allo stesso tempo dia speranza. I giovani
sono maturi, questo darebbe loro il senso di un contatto. È anche
questione di linguaggio. Ad esempio, è vero che in certi casi la
pressione fiscale è troppo elevata, ma se per riferirsi alle tasse
in generale si dice che “lo stato mette le mani nelle tasche degli
italiani”, è difficile che i cittadini sentano di far parte di una
collettività responsabile. Insomma, tra chi dice che non c’è crisi e
chi va sui tetti, forse bisognerebbe andare in cantina, in
profondità, per dare un’occhiata alle fondamenta». «La crisi riduce i margini per tutti, e anche lo spazio di intervento per uno Stato che deve contenere il disavanzo di bilancio. Quel che è mancato è la crescita. C’è stata una forzata concentrazione sulla disciplina dei conti. Ma sarebbe servito accanto all’efficace ministro dell’Economia e delle Finanze un forte ministro per lo Sviluppo economico, dotato di adeguati poteri. In molti Paesi del resto è lo stesso primo ministro che guida le politiche di sviluppo. Da noi il ministro per lo Sviluppo non lo abbiamo avuto per mesi, mentre il presidente del Consiglio, diciamo così, è stato occupato anche da altre questioni. Bisognerebbe forse fare come la Germania, che per un certo periodo ha avuto un “ministro del Futuro”. Potrebbe dare una voce alla prossime generazioni che sono sottorappresentate, perché non votano o addirittura non sono ancora nate». |