Il ddl Gelmini torna sul ring della politica di Guido Mula* Il Fatto Quotidiano, 17.12.2010 Il presidente della commissione cultura del Senato il 14 dicembre pomeriggio ha riunito in tutta fretta la Commissione Cultura del Senato per poter accelerare al massimo l’iter del DdL “Gelmini”. In quest’ottica ha affermato, dopo la fiducia al Governo, che la riforma dell’università va approvata in fretta “per motivi di ordine pubblico”. Ha perfino sostenuto che non si possono fare audizioni in Commissione, poiché “le audizioni sono finalizzate ad un’attività emendativa che, allo stato attuale, non sembra politicamente sostenibile”. E’ profondamente imbarazzante leggere dichiarazioni di politici che sostengano ossimori di questa natura. La gente non vuole la riforma così com’è, quindi per farla smettere di protestare la approviamo in fretta. Emendare? Non se ne parla, altrimenti si perde tempo. Ecco la risposta della politica alle richieste della gente: non discutere ma approvare a prescindere, così il problema, secondo loro, scompare. Non sembrano rendersi conto che il disagio causato dalle norme in discussione non finisce ma semmai comincia davvero con la loro approvazione. Il disagio nella scuola sta diventando più evidente col passare del tempo, e la legge è ormai approvata da più di un anno. Gli studenti, i genitori e gli insegnanti non sanno come andare avanti, gli slogan del ministro non servono a far funzionare la scuola. Questo sarà anche il futuro dell’Università, quando mancheranno i docenti, quando non ci sarà il diritto allo studio, quando non si farà più ricerca. Le centinaia di manifestazioni di piazza in neanche un anno nella sola Roma, l’intensificarsi degli scioperi, i tetti occupati, i cassaintegrati, non contano nulla. Anzi, queste espressioni di dissenso vanno zittite non confrontandosi sulle proposte, cosa che richiederebbe avere argomenti da offrire, ma forzando i tempi parlamentari e sperando che questo, rendendo definitive le leggi, permetta di lasciare gli altri senza parole. Gli scontri di piazza di questi giorni sono ovviamente e certamente da condannare, senza se e senza ma. Sono scontri che non hanno però origine nella protesta pacifica contro la legge Gelmini, ma hanno origini ben più profonde. La sordità del governo e della maggioranza ai temi posti sul tavolo da chi non è d’accordo con la proposta di legge non è una novità, ma piuttosto una costante. Per la maggioranza è preferibile, per evitare di confrontarsi con opinioni e proposte differenti, distruggere l’università con una riforma che non piace, ma che è descritta con slogan che fanno breccia solo su un pubblico distratto. Una riforma che oltre ai tanti punti critici ha anche talmente tante deleghe da essere impraticabile. Senza dimenticare poi che, con un governo così in bilico, con maggioranza risicata e il rischio di elezioni dietro l’angolo, l’approvazione di una legge con tante deleghe seguita da una caduta del governo prima dell’emanazione dei decreti attuativi sarebbe una catastrofe, questa sì epocale, per l’università, con il blocco di quasi tutte le sue attività. La litigiosità parlamentare poi, che ormai vede con preoccupante frequenza il ricorso alle mani, è una gravissima sottolineatura di come la politica non sia più fatta nell’interesse della gente con il confronto delle idee, ma sia ormai il ring per il confronto di interessi che nulla hanno a che vedere con la Politica, quella vera con la “P” maiuscola. Tutto questo ci deve fare riflettere, ci deve indurre a prendere sul serio questi pessimi segnali. Deve soprattutto indurre la classe politica a non banalizzare i brutti accadimenti di questi giorni con insulse etichette, a non continuare con la politica dello sprezzo delle idee diverse. Per fermare la violenza serve capirne le origini e aprire il confronto con la gente, serve smettere di pensare che con gli slogan si risolve tutto. Dopo un po’ la gente si rende perfettamente conto che dietro agli slogan non c’è nulla, e serve parlare di cose vere: di lavoro, di formazione, di università e di ricerca, del concreto della gente e del futuro dell’Italia e dei suoi giovani.
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