La scuola? E' come il carcere
Su Micromega la provocazione di Agosti

Imparare senza studiare. Studiare significa ficcare a forza in una mente spesso riluttante nozioni che non suscitano il minimo interesse. Al contrario, imparare nasce dalla brezza del desiderio e il metodo migliore per imparare è giocare. «Per questo le scuole rivelano inquietanti analogie con gli istituti di pena e a volte persino i campi di sterminio». Sul numero di Micromega in edicola da oggi una provocazione di Silvano Agosti per riappropriarci del senso autentico dell’essere uomo. Anticipiamo una sintesi.

di Silvano Agosti Il Messaggero, 7.12.2010

Il pianeta Terra viene definito «pianeta azzurro» perché, nell’insieme degli universi conosciuti, sembra essere il solo a ospitare il mistero della vita. È circondato da una luminosità azzurrina che testimonia, appunto, la presenza nell’atmosfera e sul pianeta degli elementi necessari alla vita. Aria, Acqua, Terra, Fuoco. Ospita già il mistero della vita o, per ora, solo l’incognita dell’esistenza? Questo interrogativo si pone rispetto all’insieme degli esseri viventi. Tuttavia l’essere umano sembra essere il solo animale capace di avere coscienza della propria storia, disposto ad ascriversi in esclusiva il privilegio della vita, ponendosi al vertice della scala biologica. Nell’attuale cultura tuttavia, non si parla mai della vita e delle sue caratteristiche di diversità qualitativa nei confronti della semplice esistenza.

La vita sembra non essere argomento di alcuna ricerca, o di confronto o di progetti immediati. Anzi, quando qualcuno tenta di ricordare ai propri simili la grandezza del vivere rispetto alla sola, spoglia, pratica dell’esistere, viene quasi sempre eliminato: Socrate, Gesù Cristo, Spartaco, Luther King, Giordano Bruno, Gandhi… Né mai ci si riferisce, nelle rivendicazioni o nei propositi di riscatto sociale, all’essere umano in quanto tale. Si preferisce un percorso settoriale parlando di diritti degli operai, degli ammalati, dei prigionieri, delle massaie, dei giovani, dei mariti eccetera. (...)

Insomma, è tempo che l’umanità possa finalmente vivere, mutare le attuali antiquate strutture piramidali dove il vertice di pochi sottomette a vari livelli tutti coloro che soggiacciono, fino al fondo della piramide in cui sono stipati i derelitti, gli infimi, gli emarginati, quelli che per farsi ascoltare debbono morire, gli eternamente assenti dalla storia e presenti nella miseria, gli eterni bambini, i senza voce, gli abbandonati, i disperati, gli incapaci, quelli che non fanno numero, i disabili, quelli della pura rabbia, quelli del puro fuoco, quelli del tutto a chiunque altro e niente per loro. Insomma è tempo di organizzare la comunità umana non più nella tradizionale struttura piramidale, ma in una nuova struttura, sferica, dove ogni essere umano si trovi ad essere equidistante dal centro che è, appunto, la vita.

Avviene invece quotidianamente un vero e proprio genocidio non tanto dei corpi quanto delle personalità di milioni, anzi miliardi di uomini, tenuti lontani da se stessi, dalla loro creatività e dal proprio vero destino, assediati da falsi problemi, false culture, false superstizioni, false credenze, falsi progetti, false promesse. Tutto ciò ad apparente beneficio di alcune migliaia di ricchi, potenti, spietati esseri che, a loro volta, mal conoscono la preziosità e la vera grandiosità della vita.

Prendiamo ad esempio l’istituzione scolastica. ...) Accade che istituzioni nate per soccorrere l’uomo finiscano per danneggiarlo o addirittura sopprimerlo, o che l’infinito piacere di «imparare» venga sostituito dalla pratica nociva e poco amata dello «studiare». Imparare è pratica naturale di evoluzione e crescita della personalità e procura emozioni delicate e favorevoli, a volte perfino ineffabili. «Studiare» ovvero inserire di forza e spesso controvoglia nel proprio apparato percettivo una serie di concetti e nozioni non chiamate dal desiderio, si rivela invece a lungo andare una pratica perversa, capace solo di annullare qualsiasi reale desiderio di conoscere. Ma «imparare» nasce dalla brezza del desiderio e offre una risposta voluta, accolta con gioia e con la partecipazione attiva di tutta la personalità.

«Studiare» per contro «costringe» una mente spesso riluttante, spesso estraniata, ad applicarsi a nozioni e dati che non suscitano nel bambino o nell’adolescente il minimo interesse e quasi sempre su argomenti lontani dalle reali necessità di conoscere della persona. Per questo le scuole di ogni ordine e grado, pubbliche o private, tradizionali o sperimentali, a un attento esame delle loro strutture operative rivelano inquietanti analogie con gli istituti di pena e a volte perfino con i campi di sterminio.

La scritta: «Il lavoro rende l’uomo libero» di sinistra concezione nazista, posta all’ingresso dei campi annunciati all’inizio come «campi di rieducazione e di lavoro» divenuti ben presto campi di sterminio, potrebbe dunque trovare un perfetto analogo nella scritta: «Lo studio rende l’uomo libero». Lo studio, nato per promuovere ed estendere la creatività è divenuto ben presto uno strumento capace di estirpare qualsiasi creatività e di demolire ogni desiderio naturale di apprendere. Imparare, apprendere, ampliare le proprie conoscenze del mondo si rivela come uno dei massimi piaceri che la natura offre, mentre «studiare» è ormai divenuto per migliaia di giovani un tormento permanente. (...)

Il fatto è che l’essere umano, intorno ai cinque anni di età si presenta come la miniatura di un universo perfetto: chiede il perché di tutto, tocca tutto, si offre a tutti, esplora incessantemente il mondo che lo circonda, si muove senza sosta, gioca, canta, si difende, si dispera fino a ottenere ciò che vuole e i suoi stessi comportamenti sono un’arte, in quanto coincidono perfettamente con ciò che sente, prova, afferma, desidera e nega. Poi questo capolavoro vivente (qualsiasi sia la sua origine sociale) approda nello spazio scolastico e viene immediatamente sottoposto a secche restrizioni: lo obbligano a star seduto, non può esprimersi o intervenire se non quando «tocca a lui». (...)

E da quell’istante ha inizio il percorso della sfiducia in se stessi utile e indispensabile per sottomettere ogni essere umano e fargli credere che sia ragionevole negare a se stesso il tempo del gioco e della vita. Quando la sua sottomissine alla fine dell’esperienza scolastica sarà tale da subire con tremore e ossequio la tortura di esami insensati e vessatori, in cambio riceverà il diploma. Maturo. Maturo a sottomettersi per tutta la vita a un lavoro di otto o dieci ore al giorno, insomma un ergastolo vestito da «necessità sociale».

Così, di anno in anno, di programma in programma, il genocidio si compie, facendo nascere nei giovani una legittima repulsione per qualsiasi cibo culturale che non sia la frivola, superficiale lista di scempiaggini da «fast food culturale» dei giornali sportivi o scandalistici, la pornografia, i film industriali, le soap opera, gli inviti lusinghieri a tentare la fortuna al lotto o al gratta e vinci, la cultura sciatta e triviale della tifoseria nel calcio, la bassa qualità del diverbio politico tra i partiti. La libertà di imparare invece condurrebbe a una armonica crescita dell’infanzia all’interno di una personalità sempre più sicura di sé, capace di costruirsi un proprio destino, senza alcuna traccia di sottomissione o di dipendenza. (....)

«Cosa proponi dunque come alternativa a proposito della scuola?».
Mi piacerebbe che alle scuole accadesse quello che giustamente è accaduto ai manicomi. Cioè che tutte le scuole venissero chiuse. Messe fuorilegge. E che, così come invece dei manicomi dovrebbero esserci dei centri di igiene mentale, ci fossero dei centri di salute culturale nei quali i bambini, i ragazzi e i giovani andrebbero spinti dalla necessità di imparare, trovando operatori culturali in grado di fornire loro le informazioni giuste sui vari meccanismi di apprendimento, libri, cinema, computer, sull’uso di biblioteche, di nastroteche per accedere ai massimi capolavori dell’arte e così via… Dei laboratori, insomma. Spazi di incontro da frequentare soprattutto in caso di pioggia, situati ai margini dei grandi parchi, dove trascorrere la maggior parte del tempo a giocare. Il gioco è la forma più antica di cultura e include tutti i linguaggi espressivi, teatro, pittura, letteratura eccetera. (...)

Va detto che a chiunque io abbia fatto questo discorso la classica opposizione è la seguente.
«Certo, lo so che sono prigioniero di una serie di gabbie invisibili, il lavoro obbligatorio, la famiglia subìta perché frequentata poco e male e quindi il desiderio di denaro appare come frutto di una perenne indigenza eccetera ma tutto ciò mi dà almeno una certa sicurezza. Cosa farei se fossi libero?». È proprio l’impossibilità di concepire la libertà che rende l’uomo schiavo. Essere riusciti a togliere a ogni essere umano la possibilità perfino di immaginare una vita vissuta nella libertà lo rende perfettamente sottomesso, uno schiavo moderno. (...)

È dunque importante ritrovare la memoria (...) della propria infanzia, la delicata festosità dello stare insieme e del conoscersi e riconoscersi, ridando alla persona umana e quindi anche a se stessi la massima dignità, quella di poter rispondere in qualsiasi momento a chiunque chieda
«Come va?», semplicemente: «Sto vivendo