Commenti e idee di Alessandro Schiesaro, Il Sole 24 Ore, 9.12.2010 Sono due i dati Ocse sui risultati scolastici, gli ormai famosi test Pisa, che più colpiscono, uno a livello internazionale, l'altro italiano. Sullo scenario globale spicca l'entrata in scena, e subito ai primi posti, del campione cinese, Shanghai, a conferma dell'alta qualità raggiunta dai sistemi educativi asiatici. Lette in parallelo con le classifiche universitarie, lestatistiche premiano gli enormi sforzi che superpotenze come Cina e Giappone o nazioni quali Corea, Singapore e Hong Kong dedicano da anni all'intera filiera dell'istruzione. Si conferma così, se mai fosse necessario, che il nuovo paradigma di una crescita impetuosa in quella parte del mondo è destinato a durare, anzi a rafforzarsi, perché il successo nei test Pisa di oggi garantisce nuove generazioni di studenti ben preparati. Per l'Italia il dato più eclatante è la straordinaria variabilità di risultati non tra Nord e Sud, o tra regione e regione, e neppure tra città e campagna, come avviene per esempio nel caso dell'India. No, in Italia il tasso abnorme di varianza si misura nell'arco di qualche metro, quello che separa, nella stessa regione, città e scuola, un'aula dall'altra. La conferma arriva anche da un'analisi dei risultati degli esami di licenza media, dove la forte escursione di voti tra una sezione e l'altra non si può attribuire ad alcun fattore sociologico esterno, ma solo alla diversa qualità degli insegnanti. Questo dato singolare s'inserisce peraltro in un quadro più incoraggiante rispetto ai risultati conseguiti nel 2004 e 2007. Continuiamo a restare al di sotto della media Ocse, il che, in termini di storia, tradizione e Pil non è davvero accettabile. Ma recuperiamo posizioni rispetto al passato e, soprattutto, si accorcia la distanza tra Nord e Sud del paese, uno dei dati più eclatanti delle precedenti rilevazioni. Il miglioramento si deve a una combinazione di diversi fattori. Il primo è la maggiore apertura che docenti e studenti incominciano ad avere verso forme di valutazione standardizzate. Solo due anni fa molte scuole, forse per pregiudizio ideologico, forse scoraggiate dal timore di risultati deludenti, rifiutavano i test Invalsi in terza media e in seconda e quinta elementare, che nel frattempo sono stati resi obbligatori. Familiarizzare con queste modalità di valutazione dell'apprendimento non significa rinunciare ad altre, magari di compasso più ampio. Ma anche i grandi clinici misurano la febbre col termometro e queste prove restano le uniche adatte a fotografare su larga scala i livelli di rendimento in competenze basilari come appunto la capacità di lettura, la matematica, le scienze. Un secondo fattore da tenere presente è che anche in un paese come l'Italia, dove la valutazione è ancora spesso sentita come una forma autoritaria di controllo, quando non di punizione, si sta evidentemente facendo strada una visione meno ideologica e più concreta, che le riconosce un valore soprattutto prospettico. Sapere che il proprio lavoro sarà oggetto di valutazione indipendente rappresenta uno stimolo tanto più efficace quanto più è correlato al raggiungimento di obiettivi ben definiti e anch'essi, tendenzialmente, sottratti all'arbitrio di scelte soggettive. Lo studente consapevole del fatto che da una buona preparazione liceale dipende, per esempio, la possibilità di accedere al corso universitario preferito, non solo tenderà a lavorare di più, ma sarà meno indulgente nei confronti d'insegnanti poco preparati, che lo danneggerebbero quindi in modo tangibile. Gli investimenti sulla valutazione, infine, stanno evidentemente dando i frutti sperati. Questo vale soprattutto in relazione al miglioramento del Sud: all'interno del Programma operativo nazionale istruzione, riservato al Sud, tutti i fondi per la formazione sono stati concentrati sulle competenze di base, coinvolgendo più di 26mila insegnanti nelle diverse iniziative; e la Puglia, che vanta i progressi più significativi, è la regione che è riuscita a utilizzare una quantita maggiore di risorse e coinvolgere un numero maggiore d'insegnanti. 'impegno dei singoli docenti gioca infatti un ruolo decisivo se si vuole superare la variabilità di risultati a livello locale, altrimenti inspiegabile. E non c'è dubbio che un paese avanzato deve poter contare su di un sistema scolastico che riduce al minimo le variabili locali: è questa l'unica strada per favorire una reale mobilità nazionale, in cui gli studenti siano sempre meno costretti ad adattarsi all'offerta formativa sotto casa e diventino invece liberi di scegliere il tipo di studi e la sede che preferiscono. Poiché la massima parte delle nostre scuole è statale, ci sono le condizioni di partenza per puntare a una maggiore uniformità dei risultati educativi. Per ottenerla non si può far altro che insistere sul binomio valutazione-incentivi, perché la scuola, come la storia, cammina sulle gambe degli uomini e delle donne, cioè di docenti più o meno preparati e più o meno motivati. Sono loro, che, letteralmente, fanno la differenza. |