Le reggenze 2010-2011: Antonio Valentino da ScuolaOggi 20.12.2010 Ci sono fatti eclatanti in questo nostro vacillante paese che non si capisce perché non abbiano il loro giusto rilievo “mediatico”, come ora si dice, e perché, comunque, non scatenino indignazione generalizzata. Qualcuno può pensare che, oggi come oggi, ben altri, rispetto a quelli di cui qui si parla, siano i mal di pancia. Può darsi. Anche se non ne sono convinto. Sono dell’avviso invece che tutto alla fine si leghi. Mi sto riferendo qui al fatto che quest’anno scolastico fa registrare ben 1497 reggenze (dato attendibilissimo della struttura nazionale dei DS della FLC – CGIL) per 10431 scuole; questo significa che un numero pari al 14% del totale delle nostre scuole ha un dirigente che è contemporaneamente dirigente di un’altra scuola. In alcune regioni, questo dato, in sé drammatico, diventa tragico. Come, ad esempio, in Lombardia dove un quarto di tutte le istituzioni scolastiche non ha un suo dirigente, ma lo condivide con un altro Istituto: 291 su 1286 (25% circa). Il dato in sé non esprime a pieno la gravità della situazione. Perché i casi di governo a dir poco problematico delle nostre scuole, per via delle reggenze, vanno moltiplicati per due. Le sofferenze infatti riguardano non solo le scuole con “reggenti”, ma anche le scuole di titolarità dei dirigenti impegnati in altro Istituto. Probabilmente ci sono tra questi tanti colleghi “navigati” per i quali la gestione di due scuole non rappresenta un grande problema. Può darsi ci siano casi del genere. Anche se ritengo che il problema della gestione di un Istituto scolastico, se si affronta sottovalutando l’”esserci” a scuola anche come presenza fisica, non abbia grosse possibilità di essere risolto al meglio. Va inoltre considerato che oggi non ci sono scuole semplici e scuole complesse. Oggi tutte le situazioni sono difficili. Ci sono certo differenze, anche sostanziali. Ma, in nessun caso, per quanto ne sappia, ti trovi davanti a situazioni “indolori”. Perché una scuola di massa non è per definizione semplice, perché in questi anni il numero degli stranieri è molto cresciuto, perché il problema dei disabili è ormai un problema consistente, perché la demotivazione dei nostri insegnanti, abbandonati a se stesi, è ormai patologia, perché le nostre scuole sono sempre più povere e i bisogni sempre più urgenti e pesanti, perché i saperi disciplinari e quelli pedagogici e didattici richiederebbero una manutenzione continua delle professionalità, ma la formazione è ancora un optional praticato positivamente, nella maggior parte dei casi, solo dai già formati, eccetera, eccetera. Ma c’è ancora un altro aspetto paradossale che va segnalato. Quest’anno ha preso l’avvio il riordino della scuola superiore, una riforma “epocale” per il nostro ministro, che penso non sappia con precisione di cosa si tratta. Un’opportunità per tanti (al netto dei tagli che pure rappresentano, per come sono stati fatti, una scelta sbagliata e controproducente sotto vari aspetti). Tanti che, ora come ora, non possono che prendere atto, ancora una volta, a. che le riforme fatte così non servono; b. che permettere che tante scuole abbiano dirigenti “dimidiati” - nelle loro competenze di motivare, promuovere, organizzare e gestire le innovazioni - significa non credere nelle riforme che si dice di volere. E questo per la semplice ragione, di cui c’è ormai diffusa consapevolezza, che i cambiamenti non li determinano gli ordinamenti che si emanano, ma le azioni mirate e convergenti, espressioni di una governance diffusa e responsabile del sistema scuola ai vari livelli. Che sia in grado di registrare allineamenti, scostamenti, accomodamenti, diversificazioni, rispetto agli obiettivi proposti negli ordinamenti; ma anche di individuare misure di accompagnamento che permettano di procedere per approssimazioni successive (non, molto probabilmente, le stesse ad Acireale e a Vipiteno). Chiedete in giro nelle scuole – a studenti, genitori, docenti - che ne è di questa riforma, dei nuovi percorsi formativi, degli obiettivi formativi, della laboratorialità, della certificazione delle competenze, che quest’anno dovrebbe essere garantita a tutti i ragazzi che escono dai nostri bienni e di cui nessuno sa niente. Ma io lo chiederei in primo luogo al nostro ministro. Aveva sollevato una qualche ventata di speranza l’idea di poter svolgere i concorsi per futuri dirigenti nel corso di quest’anno scolastico, per rendere possibile la copertura di tutti i posti vacanti già nel prossimo. E per garantire, se pur rinviata di un anno, una situazione di simil - regolarità alle nostre scuole. Ma ragionamenti miopi, se non sono lucidamente irresponsabili - perché dettati da logiche di “risparmio” dissennate - hanno portato a tenere nei cassetti ministeriali per mesi e mesi il bando di concorso. Così che si arriverà probabilmente a marzo per sapere se si potranno attivare tutti i passaggi previsti dalle procedure concorsuali. Passaggi che non potranno ovviamente concludersi che nel corso del prossimo anno scolastico. E così, il numero delle reggenze, sulla base di dati stimati addirittura al ribasso, si teme arriverà a 2500 (e quindi il numero delle scuole a vario titolo coinvolte arriverà alla metà). Sciatteria amministrativa o miope calcolo tremontiano? In nessun caso però ci si salva. I risparmi, derivanti dalle reggenze (il 60% della somma complessiva che sarebbe necessaria per coprire i posti vacanti con dirigenti di ruolo), rappresenterebbero comunque ben poca cosa nelle politiche di risanamento della nostra finanza pubblica; mentre già ora si tocca con mano il danno enorme per il funzionamento delle nostre scuole, costrette per due anni di seguito a fare a meno di dirigenti nel pieno delle loro funzioni, non solo formali. Qualcuno dirà: ma perché i dirigenti non si ribellano a questo stato di cose? Le risposte possibili sono tante. Qualcuno dirà che fanno comodo 600 euro circa in più al mese, soprattutto se si è alla fine della propria carriera e quindi la somma può incidere sulla buona uscita; altri diranno che l’accettazione nasce da senso di responsabilità. Ma la spiegazione che in genere si dà, formalmente ineccepibile, è che il CCNL 2006 dei Dirigenti scolastici prevede l’obbligo dell’accettazione a seguito di nomina da parte del Direttore Scolastico Regionale. Si tratta però di capire a questo punto se l’obbligo è legittimo in tutti i casi o solo in situazioni eccezionali e quindi su numeri assolutamente contenuti (fisiologici). Ma è questo il caso? Anche perché, delle due, una: o l’Autonomia scolastica è scelta strategica del nostro ordinamento e quindi è fondamentale la figura del DS per il suo mantenimento e il suo sviluppo (come è chiaro dalla L. 59 del 2007, art. 21) oppure si tratta di un orpello da tirare in ballo per riempirsi la bocca quando fa comodo. Qualche altro si chiederà invece perché non si ribellano le scuole. O le associazioni professionali, le associazioni dei genitori e quanti hanno a cuore le sorti della nostra scuola Bella domanda. Ma di ardua e complessa risposta, che qui si preferisce considerare un po’ “fuori” rispetto dagli intenti di questa nota. Va comunque detto che, probabilmente, neanche la pressione dei sindacati è stata quella che era doveroso aspettarsi per una questione così grave. La percezione che si ha comunque è che il nostro Ministero ascolti solo se stessa attraverso l’udito di Tremonti. Oltre che clamorosa in sé, non è, questa storia, una metafora possibile del nostro malconcio paese? A me pare proprio di sì. |