La nemica Mariastella La sua riforma le ha scatenato la piazza contro. Le sue ambizioni politiche hanno provocato l'ira dei vertici del Pdl. Ecco a cosa veramente mira Mariastella Gelmini di Denise Pardo, L'Espresso, 3.12.2010 Il 30 novembre il premier avrà pure sollecitato a sostegno della valorosa Mariastella Gelmini l'applauso a comando, probabilmente il primo nella storia dei Consigli dei ministri, lo stesso che con la risata registrata lanciò da pioniere nella pietra miliare del berlusconismo tv cioè "Drive in". Eppure tra sé, e non solo tra sé, andava riflettendo che del furore provocato dalla riforma dell'Università varata dalla signora e approvata poche ore dopo a Montecitorio avrebbe davvero, e mai come ora, fatto volentieri a meno. Non bastavano i diavoli dei finiani, i terzopolisti, i pirati planetari di Wikileaks a tormentare gli ultimi giorni del suo annus horribilis. La ciliegina sulla torta apocalittica e incendiaria come nessuno avrebbe mai supposto, era diventata proprio lei, Gelmini, ministro dell'Istruzione, meglio identificata come la pubblica distruzione, ostinata sostenitrice di una revisione universitaria, dopo quella della scuola elementare e secondaria - anch'essa non senza polemiche e manifestazioni - invisa a un gran pezzo dell'Italia, al rogo lungo tutta la Penisola, e capace persino di risvegliare in un tripudio di occupazioni di stazioni, autostrade, monumenti, atenei e tetti, una generazione finora immobile. Sventolando la bandiera della riforma della formazione, primaria per le società avanzate, per alcuni coraggiosa, per altri non abbastanza, per altri ancora, pur da postazioni politiche avversarie, con aspetti condivisibili. Certo, una riforma pasticciata e spaccapaese. Quando si dice, vai a sapere. Non Noemi. Non D'Addario. E nemmeno Ruby Rubacuori, signorine sprecate in Italia, sotto altri cieli avrebbero avuto ben altre soddisfazioni, di sicuro fatto saltare tutta una nomenklatura. A trasformarsi nell'uranio arricchito per il governo, che si plachino di più o di meno le proteste fino all'approdo in Senato, sarà stata proprio la personificazione del sano karma femminile e lombardo del Pdl, la pulzella di Leno dai collettini di tranquillizzante piqué, almeno nelle foto ufficiali, nella vita privata si dice molto meno. Per milioni di famiglie italiche una nemica, oltre che la provocatrice di una guerriglia civile resuscitata e del risveglio, aerobico almeno, dell'opposizione costretta a sgambettare per vertiginose ascensioni verso i tetti. Così all'esterno. Ma non è che in casa Pdl Gelmini ora vada proprio a ruba. Per il partito e il capo supremo, Mariastella sembrava un termometro affidabile di serietà e di consenso. Un padre ex sindaco Dc, corrente Prandini. Un excursus da consigliere comunale a ministro, presidente del Consiglio comunale di Desenzano, assessore provinciale di Brescia, consigliere regionale in Lombardia e un mese dopo, ecco che folgora il leader. Sguardo assassino, piccola croce innocente sempre al collo, (cresce all'oratorio, ha fama di baciapile, è filo Comunione e liberazione - ma Cl non è filolei quanto sperava), introdotta nella nota casa di Arcore da Giacomo Tiraboschi, responsabile dei giardini della villa, il Le Nôtre della Brianza, viene nominata prima coordinatrice regionale, poi finalmente deputato. Quando tocca la vetta ministeriale, ha già idea di lasciare il segno. È riuscita a districarsi fra gli intrighi del potere lombardo, all'ordine del giorno le zuffe Formigoni-Albertini-Romani. Si sente pronta per quelli del Palazzo romano. Per molti mesi all'esterno sembra una non parlante, mai una dichiarazione: "Il ministro studia", la spiegazione, e si può capire visto il ramo del ministero. Sceglie come consulente Alberto Albertini, un passato di guai giudiziari, ex esemplare della Dc bresciana. Il suo portavoce Massimo Zennaro, promosso in quattro e quattr'otto direttore generale, sicuramente per meriti eccezionali, è un ex collaboratore di Marcello Dell'Utri. Gelmini naviga. Chiama come responsabile della segreteria tecnica per l'università Alessandro Schiesaro: è esperto del sistema degli atenei in Italia e all'estero assai stimato, considerato vicino al Pd. Gelmini diventa la pasdaran del ritorno del grembiule a scuola. La paladina del valore del voto in condotta nella pagella. La restauratrice del maestro unico alle elementari. La patrona del merito, e interpella Roger Abravanel che nel suo libro "Meritocrazia" avanza benemerite proposte tecniche per monitorare la qualità del sistema scolastico. Già nel 2009, la nostra infiamma le piazze, riempiendole di una folla che diventerà la sua specificità, un misto compatto di insegnanti, precari, studenti e famiglie che le tirerebbero volentieri il collo. Poco male, il governo è ancora ben saldo, lo schiaffo di Mirabello inimmaginabile. Con l'aria di una martire Gelmini incassa i tagli economici con cui la fustiga Giulio Tremonti, i complimenti salaci di Denis Verdini. Si fa largo in un mulinello di strafalcioni ("Egìda" si lascia sfuggire, e anche "I carceri"), di scivolate su terreni politicamente scorretti sul Sud ("Alcuni istituti abbassano la qualità dell'istruzione") sugli stranieri ("Un problema didattico"), di imbarazzanti rivelazioni sull'esame da avvocato fatto a Reggio Calabria, noto avvocatificio, mica in qualche città del Nord, e di foto in bikini succinti, al diavolo la gestualità parrocchiale, avviluppata al nuovo fidanzato, Giorgio Patelli, rampante imprenditore bergamasco dal quale avrà la figlia Emma, non si sa se in omaggio al suo scampato bovarismo o alla grinta della leader di Confindustria Emma Marcegaglia. Sposerà Patelli molto sollecitata sulla questione da Gianni Letta che già sotto botta per gli svaghi del premier, ama fare opera di proselitismo anti-concubinaggio con un occhio lungimirante alla corte di San Pietro. In giro il Cavaliere parla di Mariastella in vari modi, assai bene. Ora il vento è mutato. Tribolo delle piazze - "tutte manovrate dalla sinistra" naturalmente e sembra Berlusconi - ma nemmeno trionfo nel Pdl, visto che per buona parte del partito Gelmini, pur padana, ha maturato una visione politica da gioco delle tre carte, arte napoletana in cui Paolo Cirino Pomicino era un venerato maestro. Il ministro corre di qua ma anche di là. Si schiera a fianco di Stefania Prestigiacomo legata a Gianfranco Miccichè e quindi invisa alla lobby Angelino Alfano-Renato Schifani. Ma sparge affettuose parole su Verdini davanti a una platea allibita mentre prova a convincere Ignazio La Russa a sostenerla nella prossima partita, la presidenza della Lombardia: Roberto Formigoni lascerà presto, ma Cl ha già scelto il successore, Maurizio Lupi non lei, con il quale, per forza, la tensione è alle stelle. E poi dolentissima nota, Daniela Santanchè che, come si sa, non è una mammola e in più ora tallona il capo dei capi, l'ha messa nel cono d'ombra, visto che tutt'e due concorrono alla spartizione del potere lombardo. E pazienza, il popolo comunista e i colleghi felloni, ma il Cavaliere, quello è un altro paio di maniche. La riforma certo, è una gran bella cosa, ha commentato lui. Ma i temi alti non sono proprio le sue priorità come sanno anche a Milwaukee. E poi, se tutto andasse bene, gli effetti sull'università si vedrebbero solo tra cinque anni. Così ora sarebbe stato più utile spegnere le ebollizioni di Italo Bocchino che infiammare le piazze per la Gelmini. |