Alcune note (im)pertinenti  
intorno al codice disciplinare
dei dirigenti scolastici
ovvero
“Qual è il  confine tra suddito,
civil servant e cittadino?”

di Cinzia Mion, Educazione & Scuola 29.11.2010

Capii che l’aria era cambiata già nel 2003…

Mi trovavo ad una riunione provinciale dell’ A.N.DI.S  (Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici) a Treviso ed avevo appena avanzato la proposta di lettura critica delle “Indicazioni Nazionali per i piani di studio personalizzati”, attinenti alla riforma Moratti, di cui circolavano già le bozze, in attesa dell’approvazione del decreto n° 59/2004,  che avrebbe definitivamente e ufficialmente varato la riforma suddetta.

Godevo  di stima e prestigio all’interno dell’Associazione e mi stupii che la mia proposta fosse caduta  nel vuoto, nonostante avessi nel corso dell’assemblea ottenuto condivisione alla esposizione della mia analisi.

Mi raggiunsero all’uscita due brave colleghe che con aria che si riserva alle notizie confidenziali mi sussurrarono: - Lo  sai che ora noi rischiamo il trasferimento d’ufficio se non ci dimostriamo in linea con l’Amministrazione…?

Inutile dire che rimasi basita e che forse sto ancora pensando alla risposta da dare.

Ricordo soltanto che pensai né più né meno quello che ero abituata a pensare quando mi trovavo di fronte a decisioni difficili  che potevano farmi prevedere un danno – sia sul piano personale che su quello professionale - ma che dall’altro piatto della bilancia mi facevano prendere in considerazione un carico da novanta, vale a dire  la mia libertà di pensiero e di espressione, nonché la coerenza e il coraggio del  passaggio all’azione che ho sempre tenuti in grande considerazione fin da quando ero bambina. In parole povere ho pensato: ma se io fossi trasferita d’ufficio sarei in grado di sopportarlo? E subito dopo: come potrei usare in favore del mio impegno politico di cittadinanza tale sanzione inflittami per aver non solo espresso il mio pensiero, tutelato dalla Costituzione (art. 21) ma, a parer mio, anche nell’interesse dell’Istituzione Scuola e dei soggetti di cui questa deve farsi carico?

Il principio infatti che aveva sempre retto il mio lavoro a scuola era cercare di garantire il più possibile il  diritto all’apprendimento per tutti, principio sancito anche dal Regolamento dell’Autonomia delle scuole, che parla di successo formativo per tutti, ma che io avevo sposato dal mio primo giorno di lavoro come docente, sostenuta e illuminata dal Movimento di Cooperazione Educativa.

Questo dialogo interno mi ha sempre confortato anche quando il prezzo da pagare, in termini di costo emotivo, è stato alto come quando ho sfidato un notabile di Conegliano (marito di una docente e padre di una alunna) che mi ha denunciato alla Procura della Repubblica perché avevo convinto il Consiglio di Circolo a votare  un orario scolastico, nel lontano 1987, in cui le attività integrative venivano collocate di mattina - al fine di valorizzare le risorse assegnatemi ed evitare una dispersione facoltativa pomeridiana - rendendole perciò di fatto obbligatorie e quindi un arricchimento per tutti. Naturalmente però al pomeriggio era obbligatorio un rientro pomeridiano curricolare, rientro che prima della riforma aveva disturbato qualcuno. (ed ora?!!!)

Erano altri tempi in cui la passione per una scuola di qualità era in cima alla graduatoria dei valori.

Il procuratore diede ragione a me perché la legge parlava di orario aggiuntivo non di mattina o pomeriggio.

 

Ai giorni nostri

Il 15 novembre 2009 è entrata in vigore la riforma Brunetta, varata allo scopo di aumentare e la produttività del lavoro pubblico e l’efficienza e la trasparenza della pubblica amministrazione : intenzione ammirevole e condivisibile.

Il 21 ottobre di quest’anno però il Codice Brunetta è stato recepito in toto dal Ministro Gelmini che, nel sito del Ministero dell’Istruzione, ha pubblicato “Il codice disciplinare” per i dirigenti scolastici, contenuto nel contratto di lavoro dei dirigenti scolastici per il quadriennio 2006/2009.

Il giro di vite nei confronti dei dirigenti scolastici che mi interessa qui sottolineare e che ha suscitato un qualche vespaio (ma non come mi aspettavo) è quello che riguarda le dichiarazioni pubbliche e le interviste, come si evince dall’articolo 11, comma 2, del Codice di comportamento dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni che recita “Il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche che vadano a detrimento dell’immagine dell’amministrazione” anche se lo stesso articolo però garantisce a tutti i dipendenti il diritto di “esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e dei cittadini”  E poi aggiunge :”Il dipendente tiene informato il dirigente dell’ufficio dei propri rapporti con gli organi di stampa.”

Fin qui il codice Brunetta riferito a tutti i pubblici dipendenti ma, secondo me, il fatto un po’ increscioso su cui desidero attirare l’attenzione è quello per cui, senza fare nessuna riflessione sulla specificità della scuola, l’articolo suddetto è stato assunto e tradotto tout-court dal Ministro Gelmini direttamente nel cosiddetto Codice Disciplinare: codice che individua le sanzioni per chi, tra gli operatori scolastici, si trova a trasgredire con determinati comportamenti le norme indicate.

Infatti  vengono sciorinate  le diverse sanzioni tra le quali si trovano, all’articolo 16, la  sospensione dal servizio, con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di sei mesi (!), sanzione che si applica nei diversi casi tra cui al punto  c) “per manifestazioni ingiuriose nei confronti dell’amministrazione salvo che siano espressione della libertà di pensiero…”

 

Problemi

Il primo problema che sorge può essere definito attraverso una domanda essenziale: quale percorso ha seguito il Ministro, o i suoi consiglieri,  per assimilare d’acchito la Scuola alla Pubblica Amministrazione,  senza nessun riferimento all’ Autonomia, tutelata oggi costituzionalmente, concessa a tutti gli Istituti Scolastici?  Non sto dicendo cha la scuola non faccia  parte della Amministrazione Pubblica ma avrà pure un senso il fatto che l’Autonomia di cui sopra è stata data alle scuole dopo un lungo e articolato dibattito che, alla fine, si è concluso appunto con alcuni atti legislativi che sono intervenuti proprio per contrastare una più generale crisi della struttura centralistica della pubblica amministrazione?

Con questi atti “le scuole non sono più intese solo come il terminale ultimo di processi decisi altrove, ma divengono in qualche modo soggetti abilitati a governare una parte di questi processi“(vedi V.Campione , relazione tenuta nel 2008 alla fondazione Agnelli)

In questo scenario il punto centrale del processo è la riorganizzazione del rapporto tra centro e periferia, con la difficoltà di misurarsi con cambi di governo, controffensive della burocrazia ministeriale e difficoltà ad implementare nelle scuole reali la vera cultura dell’autonomia che poggia su una corresponsabilità circolare e non più verticistica.

Alla luce allora dell’autonomia così concepita ognuno oggi, nella scuola e nella comunità di appartenenza, deve darsi da fare per costruire un sostanzioso capitale sociale, ossia delle relazioni fiduciarie tra scuola, famiglia, Enti Locali e forze socio-culturali che sviluppi condivisione e riflessività, al fine di  realizzare insieme la migliore scuola possibile per le giovani generazioni di quel territorio.

 

Riflessività,  non semplice esecutività od obbedienza.

Il  secondo problema è conseguente al primo: la dirigenza scolastica non è una semplice dirigenza amministrativa, tanto è vero che per potervi accedere non è sufficiente una laurea giuridica ed un concorso ma, oltre naturalmente alla laurea - meglio se attinente ad un percorso di approfondimento psicopedagogico – serve, prima di accedere al concorso, un curriculum specifico di esperienza scolastica di ruolo, per  almeno 5 anni. Il concorso, attraverso il quale vengono selezionati i futuri dirigenti scolastici, verte sulla valutazione indispensabile di un buon livello di cultura generale, di cultura giuridica ed organizzativa e di quella specifica che attiene alle cosiddette scienze dell’educazione tra cui la psicologia dell’apprendimento. Senza dubbio è questo infatti il contenuto specifico delle professionalità che vengono impiegate nella scuola, istituzione  deputata alla educazione, istruzione e formazione delle giovani generazioni, costituite da soggetti in evoluzione non da clienti, come ancora qualcuno asserisce, ingenerando un equivoco che porta all’assimilazione della scuola alle altre amministrazioni che erogano servizi di vario genere.

Tutti sanno inoltre, argomento non senza rilevanza logica, che la dirigenza scolastica non è assimilabile alla dirigenza amministrativa anche per diversità di riconoscimento economico…

Forse è per questo che qualche collega, invece di essere orgoglioso di questa dirigenza specifica che gli offre delle lenti peculiari per leggere le problematiche della scuola e per attivare delle soluzioni congruenti ed adeguate alla sua governance, vagheggia, argomentando elucubrazioni giuridiche, l’assimilazione appunto delle due dirigenze per cui, per esempio, un dirigente delle poste potrebbe essere intercambiabile con uno scolastico e viceversa!

Tutti dovremmo renderci conto delle differenze delle decisioni che vengono assunte, del livello di discrezionalità che un dirigente scolastico deve saper gestire, a seconda dei soggetti che ha davanti, siano essi docenti od alunni o genitori. Tutti dovremmo essere consapevoli del livello di preparazione complessa e specifica di cui sono intrisi gli atti per cui ogni azione emanata nell’esercizio delle proprie funzioni acquista valore se frutto di alcune riflessività che attengono al bene della scuola e degli allievi. Tutto nella scuola è finalizzato al miglioramento ed all’organizzazione dei contesti sociali più efficaci per facilitare l’apprendimento e la formazione, a partire dagli spazi e dai tempi, per cui l’aderenza alle direttive deve essere filtrata, accompagnata, piegata alle situazioni.

Per mia esperienza non esiste oggi nella scuola semplice esecutività, o comunque non dovrebbe esistere...

La complessità infatti dell’organizzazione scolastica e la presenza appunto di soggetti che hanno sempre più bisogno di ascolto e comprensione, di attenzione curante, non solo di applicazione di circolari, deve incrociare la figura di un dirigente che si faccia attraversare dai dubbi, dai dilemmi, dai conflitti di valore e che dimostri perciò di essere un professionista riflessivo, non un semplice impiegato obbediente oppure un tecnico, esperto di leggi e di cavilli, e preoccupato solo di applicarli  alla lettera per non incorrere in sanzioni o dispiacere al direttore regionale o al ministro di turno. Sempre infatti nelle pieghe delle norme si nascondono delle opportunità che si possono sviluppare, senza con ciò violare le norme stesse, ma che bisogna saper scovare. Questo avviene però solo sulla spinta del desiderio di rendere l’organizzazione più adeguata all’apprendimento ed alla creazione di una relazione interpersonale più significativa tra tutti gli operatori,  ma soprattutto tra docenti ad alunni. Spesso sono le strutture non verbali di spazi e tempi, che parlano autenticamente più di tanti POF patinati, che rivelano scelte  di operatività o di frontalità, che danno più informazioni sulla qualità dell’offerta formativa.

Anche le aule parlano  di cura, o non-curanza, con cui vengono tenuti in considerazione, oppure resi squallidi e disadorni, i luoghi del vivere scolastico, che dovrebbero offrire tracce contenenti il senso del lavoro dei ragazzi che lì vivono o (sopravvivono) ed imparano.

Il terzo problema è distinguere il confine tra manifestazioni ingiuriose ed espressione della libertà di pensiero. Il fatto è che i vertici dell’amministrazione, nella fattispecie i ministri, non sempre sono individuati tra coloro che hanno competenze nelle problematiche scolastiche per cui può diventare ineludibile, da parte di chi invece vive nella scuola e la governa da tempo, accorgersi che determinate emanazioni, siano direttive, circolari o decreti, male si attagliano alla realtà scolastica ed all’idea di scuola che la nostra Costituzione delinea.

 

Dilemmi

Allora sorgono i dilemmi. Per esempio, oggigiorno,  è ingiurioso dire che  il Ministro Gelmini confonde il merito con la selezione? Spiegando che il vero merito consiste nella fatica di rendere di qualità la scuola di tutti? Troppo facile scremare le eccellenze…

Ed ancora :

- che la sua riforma sta affossando la scuola pubblica?

- che la valutazione sommativa, scandita dai voti numerici su scala decimale, ha cacciato indietro la scuola agli anni antecedenti la riforma della scuola media unica e, naturalmente, ha  cancellato la Legge  517/77 con ciò che questa legge ha significato e significa ancora?

Oppure  tutte queste affermazioni sono espressioni della libertà di pensiero in quanto argomentabili e dimostrabili?

Il problema più evidente però, e personalmente lo dico con grande rammarico, è che il mondo della scuola oggi è abitato spesso da qualcuno più realista del re.

Intendo dire che spesso colleghi ed insegnanti, prima ancora che determinati regolamenti fossero approvati, si sono fiondati ad applicarli senza fare nessuna riflessione ed ipotesi sulle possibili conseguenze, per cui, non dico di disattendere la loro applicazione, ma penso che sarebbe stato opportuno cercare almeno di vedere come piegare il contenuto della norma in modo da non farlo confliggere con l’idea di scuola portata avanti dai Collegi dei docenti ed esaltata dai diversi POF. Faccio riferimento ad un’idea di scuola aperta e democratica, innovativa ed operativa, che sempre, fino alla fine degli anni 90, è stata la nostra stella polare. L’aspetto più incoraggiante è stato quello che i diversi governi anticipavano con le loro leggi le riflessioni sulla innovazione scolastica - e non solo (!) - e quindi ci orientavano e ci stimolavano a migliorare indirizzando la formazione in servizio. Non come ora che si legittimano i conservatorismi, o peggio gli arretramenti, chiamandoli riforme, inducendone l’applicazione attraverso la sottomissione al potere esecutivo, in altri termini al potere politico di turno, come si sta cercando di fare con la giustizia. Ora sta toccando alla scuola attraverso un neocentralismo inusitato ed autoritario.

Sento a tale proposito troppo silenzio, anche provenire dalle scuole.

Temo che sia già successo qualcosa di irreparabile.

 

Le civil servant

Proviamo però a non liquidare la questione in modo troppo frettoloso. Allora chiediamoci in che cosa consiste essere oggi un “civil servant” anche quando non si condivide ciò che la propria amministrazione  sta facendo.

Io penso, proprio perché noi stiamo offrendo un servizio al cittadino, nel senso nobile del termine, che dovremmo metterci in gioco spiegando nelle diverse sedi: riviste, stampa specializzata, siti internet, audizioni ufficiali che vengono organizzate e che non mancano, il nostro punto di vista. Ho detto che dovremmo spiegare, sottolineare i nostri rilievi, non sottrarci per pigrizia o sfiducia, farlo in modo garbato ma schietto, senza servilismi ed infingimenti, con tutto lo spessore delle nostre argomentazioni che hanno imparato a bilanciare l’interesse dell’amministrazione con quello di tutti gli studenti e con il dettato della Costituzione.

Soltanto nei confronti della Costituzione infatti io scomoderei il termine fedeltà, non di sicuro nei confronti dell’Amministrazione, che cambia indirizzo al mutare del ministro, verso il quale direi di parlare di lealtà.

Ma la lealtà consiste anche nel mettere in guardia prima che l’altro possa sbagliare, è per questo che nel Codice Etico dei Dirigenti Scolastici  abbiamo scritto  all’articolo 6 del titolo 2 “Il dirigente scolastico svolge la propria attività con l’impegno necessario al raggiungimento dei risultati attesi; fornisce, nell’ambito della propria autonomia professionale, corretti  e trasparenti elementi all’Amministrazione Regionale e Centrale, anche per evidenziare eventuali carenze e inadeguatezze che a suo avviso potrebbero compromettere la qualità del servizio scolastico.”

Il vero dramma, che il deficit di etica pubblica continua a legittimare, è che chi sta dalla parte del potere fa finta di ascoltare, perché tutto è già deciso: ciò che conta è sbandierare che ha sentito tutte le associazioni per poi lasciare tutto immutato.

 

Cittadini o sudditi?

Ma chi è quel collega o docente che ha la vocazione ad essere  più realista del re? Forse si può rispondere così: innanzitutto chi si è sempre riconosciuto nel progetto della scuola elitaria ed ha sempre morso il freno di fronte alle varie proposte per una pedagogia popolare, da Freinet in poi.

Poi chi è pusillanime ed ha paura della sua ombra e pensa che l’unica strada senza incognite o rischi è quella di eseguire gli ordini senza fiatare.

Alla fine poi si tratta di imparare “Cittadinanza e Costituzione” non solo dal punto di vista delle conoscenze ma anche delle competenze, in altre parole si tratta di imparare ad assumere l’impegno e la fatica di pensare per essere veramente cittadini e prendere le distanze dalla seduzione comoda della sudditanza che suggerisce scorciatoie.

Qui mi sorregge Montanelli con la sua celebre frase: ”La servitù,  in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi”