“Meritocrazia”: invenzione gelminiana. Polibio, AetnaNet 17.12.2010 Quello verificatosi a Palermo, sebbene eclatante, purtroppo non è un caso singolo, ma è uno dei casi più sorprendenti ed eclatanti rispetto a tanti altri che dimostrano come la lunga e addirittura la lunghissima permanenza di un dirigente scolastico nella stessa scuola sia una iattura quando ritiene di esserne il padrone e di non dovere rispettare le norme contrattuali e i diritti dei lavoratori e degli alunni. Compresa la libertà di espressione e di voto. Il dirigente scolastico a tempo indeterminato dell’istituto tecnico industriale “Alessandro Volta” di Palermo, che è stato clamorosamente “sfiduciato” dai professori, continuerà nella sua funzione, anche se sarebbe il caso di trasferirlo, per “incompatibilità ambientale”, essendo ormai compromessi il suo ruolo e il rapporto di fiducia con gli studenti e con i docenti, in un altro istituto scolastico. A svolgervi sempre a tempo indeterminato la funzione di dirigente scolastico. A presentare le loro dimissioni irrevocabili dal consiglio di istituto sono stati gli otto docenti che ne facevano parte, compreso il vice-preside per essere stati definiti “bonaccioni” dal dirigente perché non avevano appoggiato, rivendicando “la libertà di voto” e il diritto degli studenti a concordare e a discutere col preside (che invece si era reso assolutamente indisponibile) le forme di protesta, “la decisione di sospendere”, come punizione esemplare, “gli studenti a capo dell’occupazione della scuola”. Proposta da far deliberare in consiglio avanzata dal dirigente scolastico. Cosicché, i docenti di una scuola fino a poco tempo prima indicata come “isola felice” si sono chiesti “cosa sia successo in tempi così brevi per portare il dirigente scolastico a dichiarare che la scuola è morta e che la democrazia degli organi collegiali è superata, che i docenti sono scansafatiche e che rubano lo stipendio”. Si badi bene: non tutti i dirigenti scolastici a tempo indeterminato appartengono alla categoria di chi non vuole far valere il principio ed il diritto della collegiale e democratica gestione delle singole scuole. Esistono tanti casi di dirigenti scolastici che non rispettano (e a tal proposito la documentazione è notevole) le regole, addirittura quelle più elementari, nella gestione della scuola, contrastando il diritto all’informazione e alla trasparenza degli atti, operando in regime di irregolarità e addirittura di mercato, di sperpero di denaro pubblico, di privilegi a parenti ed amici. Nonostante ciò, continuano “sine anno” a navigare da capitano in una nave che va alla deriva, e non perché il mare è in tempesta. Restano nella loro funzione, inamovibili, nonostante le sentenze di condanna per comportamento antisindacale. Esistono, viceversa, dirigenti scolastici che sono sempre presenti e attenti, che rispettano le norme di legge e contrattuali, che sono aperti al dialogo, che rafforzano le scuole affidate alla loro direzione, che partecipano con l’attivazione di progetti alla migliore formazione degli alunni, indirizzandoli positivamente alla vita nella società civile, nella società della conoscenza. Lo avrebbero fatto anche da docenti eletti alla carica di preside (o, come nel termine è stata trasformata la carica di preside a seguito dell’entrata in vigore della legge sull’autonomia, di dirigente scolastico) per un limitato numero di anni. Pasquale Almirante ha avanzato la proposta di una “soluzione più semplice, più democratica, più efficace e soprattutto meno onerosa: l’elezione diretta del preside da parte del collegio dei docenti e per un numero di anni limitato”. Va aggiunto “anche da parte del personale Ata”, sia pure con voto ponderato, come accade per l’elezione del rettore e per quelle di altre figure istituzionali dell’università (oltre al rettore, i presidi di facoltà, i direttori di dipartimento, i presidenti dei corsi di studio, i presidenti dei centri di gestione amministrativa). Ritornerò tra breve su questo aspetto. La dotazione organica dei dirigenti scolastici per l’anno scolastico 2010-2011 è di 10.294 posti tra scuole primarie e secondarie di primo grado e istituti di scuola secondaria di secondo grado. Ai quali vanno aggiunti 74 posti per i C.P.I.A. e 47 posti per i convitti nazionali e gli educandati femminili. A seguito dell’annunciato, e continuamente rinviato, “sine die” anche se le ultime notizie lo danno per il mese di novembre del 2011, bando di concorso per dirigenti scolastici, la previsione del numero dei partecipanti al concorso è oggi di almeno 120.000 per circa 2.800 posti. Sarà necessaria una macchina organizzativa assai complessa. Sarà necessaria una spesa parecchio elevata. Saranno necessari tempi che potrebbero diventare biblici, come quelli del concorso del 2004 annullato dalle sentenze del Consiglio di giustizia amministrativa per la Sicilia che non si sa come e quando sarà rinnovato e quando sarà completato, data l’esistenza di un travagliato contenzioso del quale non è facile prevedere la conclusione. D’altra parte, come ha ben evidenziato Pasquale Almirante, l’autonomia scolastica non può non contemplare, per consolidarsi, l’elezione diretta, con “una presidenza elettiva e a termine”, del dirigente scolastico. Da parte mia, anche con quanto dirò a proposito del sistema universitario, desidero tranquillizzare Tecla Squillaci, che recentemente, sul sito www.aetnanet.it, ha formulato un interrogativo, di tipo dubitativo: “Saprebbero i docenti scegliere bene il loro preside?”. Suvvia, “la proposta di eleggibilità del dirigente scolastico” è proponibile ed è anche piena affermazione della democrazia. Non può esserci alcuna ragione che possa renderla improponibile. I docenti sono “in grado di valutare oggettivamente i requisiti professionali per poter svolgere una mansione così importante anche se a tempo determinato”. E non c’è nessun motivo per dubitarne. A dirigere la scuola (nella quale esiste, è vero, un compito estremamente delicato e complesso carico di responsabilità, ma sono ben poca cosa rispetto a quello della direzione dell’università) sarebbe, così come lo è ancora oggi, un docente. Per quanto riguarda la “preoccupazione” che basterebbero “anche pochi anni di una direzione inefficace per ‘affondare’ letteralmente una scuola”, di affondamenti già avvenuti – ma non per “colpa” di presidi eletti dai docenti – ne conosciamo abbastanza per poter ribadire e confermare che “una presidenza elettiva e a termine” è assoluta garanzia del buon funzionamento della scuola, di partecipazione democratica alla scelta e alla gestione, che si realizza con un “primus inter pares”, collaborato e liberamente criticato dai “pares”, e non con un “padre-padrone” addirittura inamovibile e permanentemente ancorato al molo della stessa sede anche per alcune decine di anni. Infatti, non è mai stata applicata la regola del “trasferimento” di dirigenti scolastici da una ad altra sede dopo sei anni di permanenza, così da evitare quei fenomeni di stagnazione che incidono negativamente anche per quanto riguarda la permanenza dei docenti nella stessa sede e la continuità didattica. Si è a conoscenza di scuole che anno dopo anno vedono ridurre il numero degli studenti, delle classi, degli insegnanti e del personale Ata; scuole diventate sottodimensionate; anche parecchio sottodimensionate, scuole nelle quali il dirigente scolastico non si reca mai nei plessi distaccati dalla sede centrale (anche se a poche centinaia di metri); scuole nelle quali è consentito fare incetta di incarichi retribuiti; scuole nelle quali il fondo statale d’istituto viene utilizzato anche per pagare le ore di lavoro straordinario del personale statale per attività svolte da dipendenti comunali; scuole nelle quali “l’olio del preside” a condire “il pane caldo” la fa da padrone e da negozio. E c’è ancora tanto da dire. Parecchio da dire. Spesso gli insegnanti lasciano correre. Preferiscono trasferirsi. Un preside eletto dagli insegnanti dovrebbe, deve, innanzi tutto rispondere ai suoi elettori e soprattutto dovrebbe, deve, rispondere a coloro che, avendo appoggiato un altro candidato, non lo hanno votato, ma che sono molto attenti ai suoi comportamenti e al suo modo di gestire la scuola, che deve sempre avvenire nell’assoluto rispetto delle norme vigenti e delle delibere del Consiglio d’istituto, organo collegiale, oltre a quello costituito soltanto dai docenti, presieduto da uno dei genitori democraticamente eletto, come democraticamente eletti sono tutti gli altri che lo compongono: docenti, personale Ata, genitori degli alunni. Elezioni per le rappresentanze in tutti gli organismi. Dirigente scolastico imposto. Ed invece anche lui dovrebbe essere eletto e restare in carica a tempo determinato, per uno o al massimo per due mandati triennali. Esattamente come è previsto per i rettori dal disegno di legge di riforma universitaria, proprio per evitare che la stagnazione nella carica possa produrre la sindrome del padrone che tutto può e a cui tutto è dovuto. Gli insegnanti che svolgono l’attività didattica e le altre funzioni (quelle contrattualmente previste per titoli e quelle democraticamente acquisite a seguito di elezioni) nelle scuole di ogni ordine e grado non sono affatto diversi dai docenti universitari (come non sono affatto diversi dai tecnici e dagli amministrativi delle università i collaboratori e gli assistenti tecnici ed amministrativi delle scuole). Quindi, sono perfettamente “in grado di valutare oggettivamente i requisiti professionali per poter svolgere” durante il mandato (tre-quattro anni, eventualmente da rinnovare con nuova elezione per altri tre-quattro anni) la “mansione” di preside (dirigente scolastico) elettoralmente affidata. In democrazia, esiste la libertà di esprimere il proprio pensiero, di costruire maggioranze sul proprio programma, di confrontarsi costantemente, di valutare il programma svolto “in itinere” e quello conclusivo, di incappare in diffuse “simpatie” e in “antipatie” tali da sfiduciare il preside, di sollevarlo dall’incarico conferitogli, di eleggere un nuovo preside che sia rispettoso delle leggi e dei diritti dei lavoratori-elettori. Il collegio dei docenti è “un limbo assurdo” quando gli è sostanzialmente negato il diritto di decidere, di partecipare attivamente e liberamente alle decisioni da assumere, perché il dirigente scolastico ha “deciso” come di deve diversamente fare. Ed è altresì “un limbo assurdo” quando dalla rivendicazione del loro “diritto” violato e negato (e addirittura dal semplice contrasto con la “volontà” del preside-padrone) dal dirigente scolastico potrebbero derivare conseguenze ai docenti, ai singoli docenti, che “è meglio evitarle”: evitarle con un “non ne vale la pena”. In questo caso, una direzione di tal fatta, a tempo indeterminato a seguito di concorso, dello svolgimento del quale dirò più avanti, procura un danno irreparabile alla scuola, oltre che per inefficacia del dirigente scolastico, per il mancato rispetto dovuto a chi in quella scuola ha il diritto di esprimere il proprio pensiero e di contestare le inadeguate “scelte” del preside-padrone. C’è un aspetto che depone positivamente nella proposta del preside eletto dai docenti e dal personale Ata: a presentare la propria candidatura alla carica di dirigente scolastico saranno sempre gli insegnanti migliori, che si confronteranno apertamente per ottenere il consenso degli insegnanti e dei non docenti elettori. E i docenti e i non docenti elettori sapranno scegliere bene. Sappiamo tutti come vanno i concorsi. Cosa costano le preparazioni. Chi prepara anche parecchi concorrenti. Tra i preparatori a pagamento, cosa che comunque non potrebbero fare, e si tratta sempre di preparatori che richiedono lauti compensi, vi sono stati ispettori ed ispettrici, presidi o dirigenti scolastici. E non si è mai trattato di spiccioli. In un concorso, possono testimoniarlo in molti, a superare le prove scritte non sono sempre i migliori. Ma questo può non contare molto. Conta invece molto la prova orale. E sappiamo tutti, senza ammantarci di ipocrisia, come si può incidere sulla prova orale. Comunque, senza generalizzare. Ma senza negarlo. Ebbene, l’occasione è propizia per concretizzare la proposta dell’eleggibilità dei dirigenti scolastici: al massimo per due mandati di tre-quattro anni ciascuno. Il secondo anch’esso per elezioni. Eliminerebbe il mercato delle “vacche grasse” e dell’illusione che da quel mercato possa derivare la vincita di “un terno al lotto”. L’occasione è propizia: viene annunciato, ma sembra che debba passare ancora almeno un anno, un concorso a dirigente scolastico per 2.800 posti, per la conquista dei quali concorreranno almeno 120.000 docenti. Due concorrenti su cento potrebbero farcela, sempre che tutto proceda regolarmente e non vi siano ricorsi alla magistratura amministrativa. I 2.800 posti potrebbero crescere, e non soltanto perché in Sicilia esistono gli almeno 416 posti del concorso del 2004 annullato “in radice” dal CGA e quelli “promessi” (ma non si sa quanti e quali siano), per “tranquillizzare” i non ammessi alla prova orale del concorso annullato, dalla legge 202/2010 Siragusa-Lo Monte-Vicari per gli anni futuri. Potrebbero cresce anche perché, allungando il tempo della pubblicazione del bando di concorso sulla Gazzetta Ufficiale, verrebbero inseriti i posti lasciati liberi dai dirigenti scolastici nel frattempo andati in pensione. La dotazione organica dei dirigenti scolastici, l’ho gia evidenziato, è di 10.415 posti. Quelli occupati da dirigenti scolastici a tempo indeterminato (fino alla pensione) sono poco più di 7.000. Nell’arco di 15 anni, mediamente scaglionati in poco più di 400 ogni anno, i dirigenti oggi in servizio andranno tutti in pensione. Il ruolo dei dirigenti scolastici potrebbe diventare “ad esaurimento”, così come è accaduto per altre figure nel settore dell’istruzione e della formazione universitaria, ad esempio il ruolo degli assistenti e, come sembra possa essere attuato nell’immediato futuro, quello dei ricercatori universitari. Nessuno dicotomia, quindi, di “status giuridico tra presidi a tempo indeterminato e presidi eletti”. Quello del preside a tempo indeterminato diventa “ad esaurimento” e quello dei presidi eletti diventa ufficiale. In media, in ogni scuola prestano servizio circa cento docenti e venti unità di personale Ata. Il loro dimensionamento deve essere compreso tra il massimo di 900 e il minimo di 500 alunni. Naturalmente, con unità di docenti e di personale Ata anche notevolmente differenti, determinate dal numero degli alunni e delle classi, perché esistono scuole con poco più di 60 tra docenti e personale Ata ed altre anche con più di 200 tra docenti e personale Ata (in questo secondo caso, il numero degli alunni può raggiungere e addirittura superare le 1.500 unità, ma va anche bene così). Si sperpera il denaro pubblico nel caso di scuole il cui numero di iscritti è addirittura inferiore alle 400 unità. Non si vede perché la dotazione organica dei dirigenti scolastici non possa ridurci addirittura di alcune migliaia di posti, attivando un diverso dimensionamento: non più compreso tra un massimo di 900 e un minimo di 500 iscritti, ma compreso tra, ad esempio, un massimo di 1.400 e un minimo di 800 iscritti. Ad eccezione di alcune tipologie di scuole, il fondo statale annuale d’istituto è di poca entità: centomila euro sono, per molte scuole, addirittura un traguardo impossibile. Poca cosa, in sostanza, rispetto all’annuale fondo di finanziamento ordinario di università come quelle di Palermo e di Catania. Un fondo annuale di finanziamento ordinario che, per le università con quarantamila iscritti, supera i 120 milioni di euro. L’università di Catania, ad esempio, ha dodici facoltà, centinaia di corsi laurea, circa trenta dipartimenti e una ventina di centri di gestione amministrativa, 65.000 studenti. A differenza degli istituti scolastici, che tra le autonomia hanno quella amministrativa per la gestione del fondo d’istituto, l’università ha anche l’autonomia finanziaria. In ciascuna scuola, la competenza è attribuita al direttore dei servizi generali e amministrativi e agli assistenti amministrativi. I dirigenti scolastici, considerando le competenze didattiche derivanti dagli originari titoli di studio posseduti (che possono essere dalla laurea in lettere e filosofia, in scienze, in matematica, in lingue straniere, in scienze della formazione alla laurea in scienze motorie e al diploma triennale per l’educazione fisica), non hanno specifiche competenze per quanto concerne gli atti amministrativi. Attengono al dirigente dei servizi generali e amministrativi e agli assistenti amministrativi. Tutte le cariche universitarie sono elettive (per quella di rettore, hanno diritto di voto tutti i docenti, gli studenti eletti nelle strutture dell’ateneo, il personale tecnico-amministrativo per voto ponderato, complessivamente circa 4.000 elettori) e limitate a due mandati consecutivi, sempre che si venga rieletti, ciascuno per la durata di quattro anni. Il progetto di riforma universitaria già approvato dalla Camera dei deputati ha fissato nel massimo di sei la carica di rettore. Ad essere eletti, oltre al rettore, e per non più di due mandati consecutivi entrambi derivanti dal risultato delle elezioni, sono anche i presidi di facoltà, i direttori di dipartimento, i presidenti di corso di laurea, i presidenti dei centri di gestione amministrativa. Tutti docenti di prima o di seconda fascia: ordinari o associati. Il loro impegno didattico può essere, a richiesta e con riferimento al peso del ruolo ricoperto a seguito dell’elezione, soltanto ridotto. Possono nominare un vice. Continuano a fare ricerca scientifica e a pubblicare libri e articoli su riviste specializzate. E le loro pubblicazioni sono inserite nel catalogo di ateneo. Concluso il periodo del mandato o dei mandati, ritornano a fare i docenti e i ricercatori a tempo pieno. Durante il periodo delle rispettive cariche, ricevono un’indennità mensile, differenziata rispetto al ruolo ricoperto. Attualmente, quella del rettore, detratti gli oneri a carico dell’ateneo e decurtata dall’aliquota Irpef, è di circa 700 euro; quella del preside di facoltà è di circa 350 euro. Di circa 300 euro è l’indennità mensile dei direttori di dipartimento, e di poco più di 200 euro quella dei presidenti dei centri di gestione amministrativa e dei corsi di laurea. L’impegno e le responsabilità derivanti dalla carica sono incomparabili rispetto a quelli dei dirigenti scolastici.
Ciò premesso, non si vede perché la
direzione delle scuole non debba essere affidata a “presidi” eletti
dai docenti e dal personale Ata. E perché i preside eletti non
debbano svolgere una parte (almeno un terzo) del rispettivo orario
di cattedra. Accade in altri paesi
europei, ad esempio in Germania. Non si vede perché non debba
accadere anche in Italia, aggiungendo allo stipendio mensile
un’indennità di funzione che non dovrebbe superare alcune centinaia
di euro al mese. E non soltanto
perché ciò consente di realizzare un risparmio non indifferente, ma
anche e soprattutto perché gli istituti scolastici non sarebbero più
gestiti da presidi-padroni a tempo indeterminato detentori del
potere di decidere sul bello e sul cattivo tempo; bensì da presidi
che, se sfiduciati dai docenti, debbono rassegnare le dimissioni, e
non essere, come è accaduto all’istituto tecnico industriale
“Alessandro Volta” di Palermo, i docenti del Consiglio d’istituto a
dimettersi, “vista l’impossibilità che sia lui”, il dirigente
scolastico sfiduciato all’unanimità, “a dimettersi”. |