Genitori budino.
Ai ragazzi diamo più scuola

Giuseppe Adernò, AetnaNet 5.12.2010

hanno evidenziato  non soltanto il disagio degli studenti, ma ancor più l’incapacità degli adulti di essere fermi e decisi nel dare  indicazioni e sicurezze.

Un tempo i giovani tentavano di contestare il mondo degli adulti e sbattevano contro il muro della regole, dei principi, dei valori, della tradizione, della cultura salda e radicata, oggi vediamo gli adulti spesso insicuri e dubbiosi, incerti in un atteggiamento di relativismo imperante , spesso incapaci di porre un freno ad un lassismo dilagante e fluido, diventando essi stessi quasi un “budino” molle e privo di consistenza.

I giorni di scuola che si perdono non ritornano più, le occasioni perdute non si possono recuperare, il tempo scuola, sprecato in cortei, manifestazioni, occupazioni,autogestione, non risulta né efficace né produttivo per la maturazione dello studente , specie quando, cavalcando la tigre delle decisioni di massa, si rimane estranei  e ci si emargina dalle reali forme di  una democrazia partecipativa anche se di opposizione e di contestazione.

Mancano, infatti, gli interlocutori del disagio degli studenti, e non per tutti sono chiare le motivazione del vero perché non si fa scuola.

Le recenti disposizioni impongono  duecento giorni di lezioni per dare validità all’anno scolastico e le numerose assenze,oltre i 50 giorni non consentono di validare la frequenza dell’anno e quindi la mancata valutazione del percorso formativo.

In questo contesto anche alcuni genitori sostengono che è bene che i ragazzi scioperino e occupino la scuola, inconsapevoli forse delle gravi responsabilità dei danni che in queste occasioni vengono arrecate alle strutture scolastiche.

L’emergenza educativa  chiama in causa la nostra capacità di intercettare la domanda di senso che viene dal mondo giovanile  e che ci chiede non “prediche” ma risposte concrete.

Nel noto libro di Paolo Crepet “ Non siamo capaci di ascoltarli “, la formula assertiva si carica di interrogativi e di tanti perché.

Cosa significa oggi educare? Siamo ancora depositari di un sapere “forte” da trasmettere ai nostri figli e agli studenti?  Siamo in grado di ascoltare?  Quali certezze siamo capaci di trasmettere  ai nostri ragazzi?

Alla proteste che di fatto producono “meno scuola” gli educatori adulti, docenti e genitori, dovrebbero rispondere offrendo più tempo scuola, maggiori spazi di incontro e di socializzazione, liberandosi dalla solitudine  o dalla virtuale socializzazione di face-book.

La scuola che non può permettersi il lusso di restare indietro, rispetto al progredire tecnologico e comunicativo , ha il dovere di saper usare tutti gli strumenti, face.book compreso, come strumento di interazione comunicativa e di relazione interpersonale.
 Come ha scritto Domenico Di Fatta “Mi piacerebbe una scuola impegnata sul fronte del disagio giovanile , una scuola che favorisse l’incontro tra il sistema ufficiale della formazione e quello non formale, per dare vita ad un modello flessibile delle conoscenze, basato sia su unità formative,che sono proprie del patrimonio tradizionale e specifico della scuola,sia su modelli esperienziali in grado di accogliere e metabolizzare la cultura viva del territorio e del lavoro.

Mi piacerebbe una scuola capace di rispondere oggi ai bisogni dei giovani,  spazio e luogo di vera  “comunità educante”, nella quale far confluire l’impegno,la partecipazione e la corresponsabilità di tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti nell’azione educativa.

La verità  è  che ci vorrebbe una vera e propria metanoia, capace di produrre nuovi segni di attenzione e di impegno per una società da costruire.

Giuseppe Adernò
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