Il gioco duro dell’integrazione

di Aluisi Tosolini da Pavone Risorse, 6.4.2010

E’ uscito da poco più di un mese il nuovo lavoro di Davide Zoletto per Raffaello Cortina (Milano 2010) dedicato, come dice il titolo, all’analisi del “gioco dell’intercultura”. Un libro che ad una prima vista si presenta come una accattivante scorribanda tra i campi di cricket sparsi per l’Italia cui fa da leggero contrappunto una ben mascherata valigia di attrezzi provenienti dagli studi coloniali, dalla riflessioni dei border studies, dalla più acuta filosofia contemporanea.

Giunti all’ultima pagina, tuttavia, non si può non fermarsi a riflettere alla pluralità di letture cui il volume si presta.

Vediamone alcune.

a) si tratta di una ricerca sul gioco del cricket in Italia. Probabilmente la prima ricerca così approfondita su uno strano gioco nato in Inghilterra nel mondo della buona aristocrazia, successivamente emigrato nelle colonie e divenuto gioco di indiani, pakistani, srilankesi, …. ed infine rientrato in Europa al seguito dei processi migratori. Strana vicenda questa: di che gioco si tratta, di un gioco da immigrati come dicono alcuni amministratori nostrani e quindi da relegare ai margini dei propri interessi oppure un gioco dell’elite anglosassone?

b) è uno studio sulle modalità con cui interagiscono le plurime comunità, società ed appartenenze che si riflettono e specchiano attorno al gioco del cricket. In questo caso il cricket è assunto come esempio paradigmatico ma si potrebbe trattare di anche di altri “oggetti” sociali su cui si esercita la forza dell’inter-azione tra identità con esiti plurimi e non sempre prevedibili (si va dalla coabitazione senza interazione di matrice multiculturale, all’integrazione come assunzione delle regole del “padrone di casa”, all’inter-azione come comune definizione e co-costruzione di nuove regole -e di nuovi giochi…- al segregazionismo, allo stigma ed al razzismo tout court);

c) è uno studio sugli spazi pubblici e sul loro variegato utilizzo (sia reale che simbolico) negli ultimi 50 anni. In sintesi possiamo dire che in Italia gli “italiani” hanno lentamente abbandonato gli spazi pubblici (parchi, piazze, campetti) a motivo di una crescente auto percezione di insicurezza. Tale insicurezza ha prodotto richieste di sempre maggiore controllo e/o chiusura degli spazi pubblici o il loro stesso abbandono.  Al contrario sono soprattutto i giovani immigrati o figli di immigrati che tendono a stare nei luoghi pubblici. Così “spazi pubblici come piazze, parchi e giardini sono, in effetti, una delle risorse  contese nelle città e nei paesi italiani di oggi” (pag.56). Si scopre allora che la maggiore sicurezza richiesta da molti italiani non può in alcun modo essere prodotta dalla logica securitaria che tende, al contrario, a trasformare i campetti in “campi di concentramento” o comunque sia in campi ingessati in rigide regole di esclusione finalizzate a governare il confine tra spazio destinato al gioco e il resto dello spazio urbano. Un percorso che richiama la società disciplinare di Foucault, ovvero una società organizzata in modo tale da disciplinare  - regolare, controllare, sorvegliare – il comportamento degli individui (pp. 154-156).

d) è una analisi della valenza interculturale dell’educazione sportiva. E qui si va dal “Donne, buoi e giochi dei paesi tuoi” del futurista Marinetti, al gioco come luogo di disciplinamento e di formazione del carattere (“sport come scuola di volontà che prepara al fascismo i consapevoli cittadini della pace, gli eroici soldati della guerra” – Lando Ferretti, direttore Coni nel periodo fascista), allo sport come luogo sessista (si veda ad esempio l’analisi del film “Sognando Beckhamp” pp 105-106) sino a giungere allo sport come spazio in cui interagire giungendo alla stessa riscrittura delle regole o alla creazione di un nuovo e diverso sport. In questo caso il gioco diventa metafora di una cultura che esiste solo dentro precisi giochi linguistici e sistemi intersoggettivi di riferimento in cui, come dice Wittgenstein, i parlanti possono modificare quelle regole mentre giocano, ovvero le mutano mentre le rispettano (pp. 82-83).

e) è una dettagliata lettura di come la cittadinanza si impari sui campi  da gioco. E qui Zoletto riprende ed approfondisce i temi presenti nel documento “La via italiana all’educazione interculturale” prodotto nel 2007 dall’Osservatorio del Ministero della Pubblica Istruzione. Un capitolo, questo, densissimo e che ben si riassume nella seguente affermazione: “l’educazione alla cittadinanza non è qualcosa da insegnare ai migranti, ma qualcosa da imparare/costruire insieme, migranti e italiani” (pag. 136).

f) è uno studio sul ruolo dei media, in particolare dei nuovi media (tv satellitari e tv in streaming via internet), nella formazione culturale dei giovani immigrati. Che scopriamo essere contemporaneamente fruitori delle dirette di calcio “nostrano” e delle registrazioni delle partite di cricket giocate in Pakistan o nei Caraibi. Di che comunità si tratta? Sono davvero comunità immaginate? E come interagiscono tra loro e che segni lasciano su quanto vivono le molteplici appartenenze? Un tema, questo, molto interessante a cui hanno dedicato un recente saggio anche Anna Cossetta e Marco Aime (Il dono al tempo di internet, Torino, Einaudi, 2010). Lo stesso Marco Aimi cui si deve un’affermazione che Zoletto ha fatto sua da anni (“non si incontrano / scontrano mai le culture ma sempre le persone, Cfr. Marco Aime, Eccessi di culture, Torino, Einaudi, 2004) rigettando ogni rischio di essenzialismo.

g) sul versante più precisamente pedagogico-didattico il volume è la presa d’atto che la scuola è uno dei tanti luoghi/spazi in cui si gioca l’educazione interculturale. Il che significa assumere consapevolezza dei limiti dell’educazione formale e ribadire (evitando deliberi di onnipotenza ma anche ogni facile scaricabarile) che la scuola oggi non è propriamente il focus in cui prioritariamente si gioca la costruzione della nuova società glo-cale. La consapevolezza che la scuola, così la come conosciamo, sta tramontando. La scuola, non l’educazione o la formazione….

g) è una dettagliata radiografia del ruolo che le comunità temporanee giocano nella costituzione della società contemporanea. Scrive Zoletto quasi in chiusura del suo saggio:

“per costruire occasioni di interazione diventano preziose quelle forme anche inedite di comunità, anche temporanee, che si formano in contesti non formali come sono gli spazi pubblici ed i luoghi pubblici. In queste forme di comunità come spazio pubblico ciascuno riesce a sentirsi un po’ straniero quindi ciascuno (italiano e non) può interagire con gli altri senza essere predeterminato dalle proprie routine. Si tratta di un’idea di territorio, cittadinanza e comunità assai meno tranquillizzante e familiare di quelle cui siamo abituati, ma che proprio per questo ci può aiutare sul piano interculturale” (pag. 164).

 

Cittadinanze e democrazie

L’insieme delle letture possibili cui si presta il volume di Zoletto (e altre ve ne sono) può tuttavia compendiarsi in una grande prospettiva, che è quella del presente e del futuro della democrazia e delle cittadinanza nelle società plurali e multiculturali.

Il titolo del volume avrebbe allora potuto benissimo essere: il gioco duro della democrazia.

Un libro coraggioso, scritto con la levità e la curiosità di un narratore postmoderno che cammina a primavera sulle colline ed i magredi del nord-est guardando la neve che sulle alte montagne va sciogliendosi lentamente per venire a valle lungo percorsi carsici di difficile decifrazione.
Un volume che rafforza le riflessioni della scuola “inter-azionista” che si va facendo sempre più strada tra gli studiosi di educazione interculturale. Impegnati a utilizzare l’analisi della vita quotidiana nelle sue molteplici sfaccettature (dallo sport alla comunicazione, dall’uso degli spazi al vissuto religioso, …) per evidenziare i luoghi plurimi in cui si forma quella cittadinanza glo-cale, innovativa ed inedita, che troppi in Italia continuano a vedere come iattura e disgrazia piuttosto che come comunità di destino di cui prendersi cura con dolcezza e soffusa passione.

 

Nota: il dibattito sull’intercultura alla Commissione VII della Camera

Dal novembre 2009 la VII commissione della Camera dei Deputati, guidata da Valentina Aprea, sta conducendo una interessante indagine conoscitiva VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione) sulle problematiche connesse alla accoglienza degli alunni con cittadinanza non italiane l sistema scolastico italiano. Ad oggi si sono tenute 5 sedute che hanno portato davanti alla Commissione i più importanti esperti italiani. Sul sito della Camera sono disponibili i testi di tutte le audizioni che possono anche essere ascoltati sul sito di Radio Radicale.