scuola

Il tetto agli stranieri
non ha efficacia normativa

Lo dice l'Avvocatura di Stato rispondendo a un ricorso presentato
da due onlus: «è solo un'indicazione»

 di Sara De Carli da Vita, 16.4.2010

Il tetto del 30% di alunni stranieri, previsto da una cricolare del Ministro Gelmini, «non ha efficacia normativa» e quindi le scuole non sono affatto tenute a rispettarlo.

Lo ha detto l'Avvocatura dello Stato in un'udienza al Tribunale di Milano per discutere del ricorso presentato il 21 febbraio scorso da ASGI-Associazione studi giuridici sull'immigrazione e Associazione "Avvocati per niente", nonché da due mamme straniere, una rumena e l'altra egiziana.

L'Avvocatura dello Stato ha sostenuto che la circolare "Gelmini" costituisce soltanto un'«indicazione» interna alla P.A. per favorire l'integrazione degli alunni stranieri, nel pieno rispetto però dell'autonomia degli istituti e dei dirigenti regionali e che il «documento non ha un'efficacia normativa generale ed esterna e quindi non può essere considerato atto regolamentare».

Il prossimo 11 maggio sarà ascoltato dal Tribunale di Milano il dirigente dell'ufficio scolastico regionale lombardo, Giuseppe Colosio.


L'analisi di ASGI

«Naturalmente l'oggetto del contendere non è l'opportunità che la presenza di alunni con problemi di conoscenza della lingua sia "armonicamente distribuita" (come dice il Ministero) su tutte le classi» precisa l'Asgi. «Su questo obiettivo nessuno ha nulla da ridire, tanto più che già il regolamento attuativo del TU immigrazione (DPR 394/99) , all'art. 45, prevedeva che i consigli di classe dovessero attivarsi "evitare comunque la costituzione di classi in cui risulti predominante la presenza di alunni stranieri"».

I problemi che gli avvocati delle associazioni ricorrenti hanno posto sono invece altri due. E sono testualmente questi:

A) il primo è se questo obiettivo possa essere perseguito creando regimi differenziati di iscrizione in ragione della cittadinanza (gli italiani/gli stranieri) e non piuttosto in ragione di un esame effettivo delle esigenze del singolo studente, cittadino o straniero che sia. Da questo punto di vista il criterio scelto appare non solo irrazionale (si pensi all'adottato-cittadino che può avere problemi di lingua gravissimi e allo straniero nato e vissuto in Italia che nel 99% dei casi non ha alcun problema linguistico) ma certamente vietato da norme sovraordinate, alle quali il Ministero si deve attenere: l'art. 45 citato prevede infatti che le iscrizioni dei minori stranieri avvengano "nei modi e alle condizioni previsti per i minori italiani". Ulteriori norme a tutela del principio di parità sono previste dall'ordinamento giuridico in relazione a particolari categorie di minori non aventi la cittadinanza italiana, anche in relazione ad obblighi internazionali e comunitari (quelli comunitari, i rifugiati e gli apolidi);

B) Il secondo è invece di immediata tutela dei diritti degli stranieri: la circolare introduce un cervellotico sistema di "deroghe" (la scuola può fare domanda di deroga all'Ufficio Regionale e questo può concederla) ma in nessuna parte della circolare è scritto che - deroga o non deroga - lo straniero deve comunque essere iscritto, se lo richiede, alla sua scuola di bacino o comunque alla stessa scuola alla quale sarebbe stato iscritto se fosse italiano. In mancanza di questo fondamentale chiarimento (e anzi in presenza di affermazioni di segno opposto, specie nella circolare Regionale della Lombardia) le norme amministrative prefigurano quindi la possibilità di un "dirottamento" d'autorità dello straniero su altre scuole ("non ti puoi iscrivere qui perché abbiamo già più del 30% e non abbiamo la deroga"): il che ovviamente non è consentito da alcuna norma di legge.

Probabilmente, nella pratica, questo non avverrà e i dirigenti si arrabatteranno a non rifiutare nessuno, l'Ufficio Regionale interverrà, magari ex post, fingendo di rilasciare deroghe a destra e a manca. E si sarà così trovata la solita situazione "all'italiana".

Tuttavia, secondo gli avvocati dell'ASGI e della onlus Avvocati per niente questo non è un buon motivo per accettare passivamente che la pubblica autorità - invece di curare il risultato concreto, prevedendo effettivi interventi di sostegno della didattica ove vi sono problemi linguistici o di interculturalità - pretenda ancora una volta di utilizzare la "cittadinanza" come una spada che divide anziché come un filo di collegamento solidale.