Da Berlinguer a Gelmini: Paolo Franco Comensoli, il Sussidiario 24.4.2010 Concluse le preiscrizioni l’avvio della Riforma del II ciclo entra nel vivo. Mi pare che comunque sia un risultato apprezzabile. Penso però che sia lecito chiederci: perché ora sì e dieci anni fa no? Come mai all’inizio degli anni duemila, in un clima di fervore riformista messo in campo, tra l’altro, dalle leggi Bassanini e da decenni di preparazione culturale (almeno fin dagli anni ’60), la riforma non passò ed ora sì, in un clima tutto sommato di generale indifferenza, o almeno di scarsa reattività? Si potrebbero dare molte letture di questo decennio di storia patria, sul versante scolastico. La mia è piuttosto schematica e forse un po’ semplicistica, ma tant’è: ora la riforma può passare perché nel decorso decennio si è fatto di tutto e di più per depurarla di tutto quanto essa portava con sé di fortemente innovativo. Vorrei cercare di argomentare, nel breve spazio di un articolo, questo assunto. Alla fine degli anni ’90 viene finalmente a maturazione, nel senso che assume dignità di legge, un progetto complessivo di riforma dell’ordinamento scolastico. Esso è stato a lungo preparato nei circoli pedagogici nazionali, laici e cattolici, sindacali e partitici, da un dibattito, come detto, almeno quarantennale. La Riforma cosiddetta “Berlinguer” si impernia su alcuni punti cardine di forte portata: due cicli, un percorso fortemente unitario, l’eliminazione della scuola media “anello debole del sistema” con il suo precoce disciplinarismo, riduzione degli indirizzi del II ciclo a 4 aree con una previsione di non più di una dozzina di titoli di studio, uscita dal sistema un anno prima, anche per dar senso alla riforma dell’università con la laurea triennale, riforma dell’esame di stato, centratura sulle competenze, sul portfolio e via dicendo. La legge 30 del 2000, insomma. Poi, mentre per il settembre 2001 è prevista la partenza della riforma almeno nel primo ciclo, ci sono le elezioni. Tra i primi atti del nuovo Governo eletto vi è la cancellazione totale (credo sia stato un errore gravido di conseguenze negative) della legge 30 e la ripartenza del processo di riforma dall’inizio o quasi. Per prima cosa però si cominciano ad eliminare alcuni elementi troppo innovativi: si recupera la scuola media e si riallunga di un anno l’intero percorso. Il numero degli indirizzi viene elevato a 18. Però va dato atto alla coppia Moratti-Bertagna di aver mantenuto vivo lo spirito riformista e su alcuni punti di aver segnato anzi un significativo progresso. Si pensi ad esempio alla visione più organica che Bertagna ha del sistema della formazione-istruzione professionale. Si pensa all’enfasi posta sulla didattica laboratoriale e via dicendo. Nasce insomma la legge 53 del 2003 e di nuovo ci si accinge a partire, non senza scricchiolii e ripensamenti. Il più clamoroso è la presa di distanza di Bertagna sulle pagine del Corriere della Sera allorché dichiara: questa riforma non è più la mia. Arrivano nel 2006 le nuove elezioni, con un nuovo ribaltone del quadro politico. Il ministro Fioroni si occupa subito di rimuovere altri elementi centrali della riforma Berlinguer. Ripristina la scala gerarchica dei licei, tecnici e professionali (con buona pace di Confindustria), di nuovo viene espropriata alle Regioni, che la dovrebbero detenere per dettato costituzionale, la formazione-istruzione professionale. Continuo ad usare i due termini congiuntamente poiché la distinzione arbitraria di istruzione e formazione, in campo scolastico, è servita di fatto solo a giustificare questa operazione di esproprio. E si arriva infine al 2008 e al nuovo Governo. Si farà la Riforma Moratti o se ne farà una nuova, ci si chiede all’indomani delle elezioni. Accade un po’ l’una e un po’ l’altra cosa. La Riforma Moratti non viene rinnegata ma non senza aver prima introdotto altri sostanziosi accorgimenti di sterilizzazione. Gli indirizzi della secondaria diventano una cinquantina (vale a dire che si mantiene sostanzialmente la pluralità dei titoli di studio del vecchio sistema), proibito parlare di portfolio e di modelli valutativi innovativi, si torna ai voti nel primo ciclo e via dicendo. Dieci anni di lavorio, faticoso e costoso, per produrre una riforma che di fatto rinvia ad un successivo processo, che sarà comunque necessario, l’adeguamento del nostro sistema scolastico alle aspettative europee ed agli indirizzi di Lisbona. In Italia dunque la scuola della società della conoscenza, purtroppo, non ci sarà.
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