Aprea: 5 mosse per mandare Valentina Aprea, il Sussidiario 21.4.2010 Nel dibattito sulle competenze, favorito dall’Associazione Treelle l’8 aprile scorso, ho avuto modo di apprezzare la descrizione delle azioni degli altri Paesi per raggiungere il pieno successo educativo nel XXI secolo. Dopo un primo bilancio della strategia di Lisbona, l’Unione europea guarda già ai prossimi 10 anni. In particolare, tra le priorità di Europa 2020, troviamo quella di una crescita intelligente basata, cioè, su un’economia della conoscenza e dell’innovazione. La chiave di volta per camminare lungo questa direttrice, ripresa recentemente dal nostro Governo per la redazione delle Linee guida per la formazione, è l’integrazione tra il sistema educativo di istruzione e formazione e il mercato del lavoro. Un’integrazione che si realizza gradualmente basandosi proprio sul concetto di “competenze personali”, promosse da percorsi educativi nei quali si integrino in maniera ordinaria e sistematica teoria e pratica, studio e lavoro, riflessione e azione. Ora nell’affrontare il rischio di marginalizzazione della nostra economia e della nostra società a livello mondiale, questa è una necessità improrogabile, che impone la rotta da tenere: attenzione privilegiata al mondo del lavoro e apprendimento per competenze personali. L’Europa deve, infatti, affrontare un paesaggio geopolitico diverso da quello previsto nel 2000, con il protagonismo delle economie asiatiche e di altre potenze emergenti. In questo senso, sono eloquenti i dati dello studio Il mondo 2025, presentato dalla Commissione europea lo scorso settembre. Lo studio mostra che, a quel tempo, il 61% della popolazione mondiale sarà in Asia e nell’Unione europea solo il 6,5%, con la più alta percentuale sopra i 65 anni. Inoltre la triade Unione europea, Stati Uniti e Giappone perderà il suo primato nel commercio e nella produzione mondiale. Così pure, la scienza sarà prodotta in massima parte al di fuori dei paesi prima considerati leader, molti dei quali europei. Dunque, l’Europa sarà più debole, a meno che non reagisca in maniera unitaria e qualitativamente superiore alle sfide che si impongono. In particolare a quella della libera circolazione della conoscenza e del talento: la cosiddetta “quinta libertà”, dopo la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Per questo bisogna puntare sulla promozione delle “competenze personali” di ognuno, senza perdere il contributo di innovazione e di possibile creatività che può essere assicurato da ogni giovane. La letteratura sull’argomento individua competenze di diversi gradi: le competenze-comportamenti (in definitiva avvicinabili alle prestazioni), le competenze-funzioni (capaci di far giungere ad un maggior livello di complessità) e le più apprezzate competenze generative o di transizione (orientate alla creatività e all’innovazione). Tutte però si manifestano risolvendo problemi reali, non in astratto. L’intreccio tra scuola e vita deve essere costante. E la nostra scuola dove si colloca?Possiamo dire che finora si è per lo più collocata sulla competenza di primo grado e che potrebbe trovarsi in un prossimo futuro ad aver raggiunto le competenze di secondo grado, soprattutto con l’implementazione della riforma dei piani di studio da qui fino al 2015, anno in cui si diplomeranno i primi studenti dei nuovi ordinamenti dell’istruzione secondaria superiore. Dunque, di passi in avanti ne sono stati fatti tanti. Quello più significativo resta senz’altro il recupero delle conoscenze fondamentali per riacquistare i livelli di apprendimento progressivamente perduti dal ’68 in avanti. La nostra scuola non sembra ancora pronta, però, a misurarsi con il nucleo più profondo della competenza di terzo grado. Si tratta di una sfida metodologica e didattica che si può vincere. Per farlo occorre affrontare con successo alcune incognite, in rottura coraggiosa con il passato. 1. La prima incognita è l’esistenza, ormai, di un doppio repertorio di competenze utili: quelle apprese a scuola e quelle apprese dalla “strada”. Anche i più bravi non riescono a “mobilitare” le loro conoscenze scolastiche per risolvere problemi quotidiani. Il pericolo è trasmettere a scuola un sapere “morto”,senza senso per la “vita”, pur continuando a imporre ai giovani di investire 13 anni in frequenza scolastica (un anno in più dei Paesi Ocse).
2. La seconda incognita è il divario
generazionale. L’approccio dei “nativi digitali” è più reticolare
che lineare. Le loro riflessioni si sviluppano spesso in collisione
con quelle della formazione tradizionale, ancora incapace di
transitare dall’insegnamento alla centralità dello studente (in
questo, l’approccio per competenze personali aiuterebbe non poco).
Dello studio, i giovani afferrano sempre meno il fine e la scuola fa
fatica a coinvolgerli in progetti, personali o condivisi, di lungo
termine.
3. Terza incognita: la morfologia
delle competenze. La misurazione delle conoscenze e delle abilità è
oggettiva. Tale oggettività di misura non può tuttavia valere per le
competenze personali, quelle più pregiate, che portano
all’innovazione: la competenza di Picasso non si confronta con
quella di Michelangelo in una scala commensurabile.
4. Quarta incognita: professionalità
dei docenti. Chi opererà i mutamenti che il cambio di paradigma
delle competenze comporta? Qualsiasi riforma può infrangersi sullo
scoglio dell’intermittenza dell’insegnamento, quando per i motivi
più vari ogni anno un docente su quattro non assicura continuità
alla stessa scuola. E ancora, chi opererà questo mutamento epocale,
soprattutto se ad insegnare è una classe docente “anziana” (l’età
media dei docenti italiani supera i 50 anni, 40 anni per i
neoassunti) priva di stimoli istituzionali per crescere e per
migliorarsi, acquisendo competenze personali sempre più alte e
riconosciute? 5. Quinta incognita:il salto dalle competenze attuali (da non abbandonare, in una logica comprensiva) a quelle del futuro, richiede anche una valorizzazione delle comunità educanti espresse dalla società civile e una diversa organizzazione della scuola non più autoreferenziale e maggiormente responsabile. Una scuola che avvii il reclutamento di rete degli insegnanti, formati e valutati in itinere e uno sviluppo della carriera docente che tenga conto del merito. Insomma, se le cose stanno così, insieme alla riforma dei contenuti di insegnamento-apprendimento, servono strategie e politiche per trasformare le incognite in strumenti di innovazione e rendere la scuola capace di anticipare il domani e non solo di insegnare l’oggi, con lo sguardo al passato. “Il mondo cambia troppo velocemente per stargli dietro, quindi dobbiamo stargli avanti!”. Così una fulminante pubblicità.
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