Ci mancavano i voti elettronici

 di Marina Boscaino Il Fatto Quotidiano, 8.8.2010

Perché nello statuto professionale di un docente italiano non è prevista – se non in apparenza – una competenza tecnologica culturalmente significativa? La colpa è della modernità. Moderno è bello. Slogan che ha segnato molti mutamenti – non sempre positivi – negli ultimi anni e sostenuto radicali abiure rispetto al passato, non sempre necessarie. La modernità è suggestione irresistibile, a cui – con consapevolezza ed elaborazione – rispondono nella storia del pensiero le menti più brillanti. Da qualche tempo, però, questa parola, ricca di implicite ed esplicite fascinazioni culturalmente sofisticate, si è involuta in una sorta di automatico “bollino” di positività; perdendo – allo stesso tempo – il senso di paradigma e indicatore di processi culturali complessi e significativi. Vittima di questo uso (e abuso) di un termine dal pedigree sontuoso è la scuola.

Assolutamente moderni

Politiche intrise di entusiasmi neoilluministi, non corroborati dalla necessaria riflessione culturale, hanno sostenuto che l’inserimento delle sempre “nuove” (a dispetto dello scorrere dei decenni) tecnologie potesse di per sé innescare un costruttivo rinnovamento, adeguando la scuola ai cambiamenti del mondo. Si è assegnata, insomma, valenza positiva in sé all’ingresso dei Pc e a infatuazioni per i totem tecnologici del momento (ultimo annuncio, con il plauso dei media, la pagella digitale, quando per l’Istat Internet taglia fuori 4 famiglie su 10). Ma notevoli investimenti economici non sono stati sostenuti da un analogo disegno culturale, che rendesse questi “moderni” oggetti valore aggiunto significativo per processi cognitivi degli studenti e intenzionalità didattica degli insegnanti. Il vero risultato è una “nuova frontiera” demagogica. Punta di diamante, la famosa “scuola delle 3 i” di Moratti: Internet, Inglese e Impresa (sic!). Fiumi di soldi sprecati e acquisizioni modeste da parte dei docenti, formati con criteri “addestrativi”, in gran parte recalcitranti a servirsi del potenziale dell’inserimento delle tecnologie nella didattica. Pochi coloro che escono con un po’ di intraprendenza esplorativa dalla dimensione del fare pur che sia (che ha creato l’opinabile figura dell’esperto in ogni scuola) verso quella del verificare sperimentando. Molti ignorano l’opportunità epistemologica costituita dalle rappresentazioni del mondo che le tecnologie digitali di comunicazione inverano e sulle quali costringono a riflettere. Un uso consapevole e culturalmente significativo avrebbe invece potuto rappresentare un’alternativa all’immobilità del sistema scolastico, sottoponendo i saperi a operazioni esplicite, ma concettualmente complesse.

La scuola del cartaceo

Tra grida e annunci, nessun vero spazio per affiancare altri modelli (frutto della metabolizzazione culturale di tecnologie alternative e plurali) alla preesistente e univoca architettura, emanazione di un’unica tecnologia, il libro tradizionale. È la scuola del cartaceo, in cui le fotocopie – grazie ai tagli – stanno diventando merce rara. In cui i docenti, arroccati nei saperi disciplinari, ignorano spesso la differenza tra mappa mentale e concettuale, continuando a chiamare “tesine” lavori privi di sintassi dichiarate, che gli studenti sono costretti ad elaborare e discutere – spesso con reciproca inconsapevolezza – in occasione della maturità. In cui si propagandano e-book dall’identità culturale indefinita, da usare in aule quasi prive di prese di corrente. In cui l’etichetta-alibi “burocrazia” ha impedito a molti docenti di scaricare i regolamenti di una “riforma” cui si andrà incontro avendo orecchiato notizie di terza mano, senza consultare fonti immediatamente disponibili. Rete e digitale potrebbero invece essere non solo semplificazione procedurale, ma strumento di emancipazione, democrazia e informazione, come dimostra il fatto che articoli come questo sono sui principali siti dedicati alla scuola 24 ore dopo la pubblicazione. La centralità di lavagna di ardesia e gesso è forma mentis che, senza un progetto culturale, non può essere sconfitta da acquisti di computer, celebrazione di e-book, seduzione digitale delle Lim. Continuiamo pure con la pedo-demagogia.

Nella scuola tagliata di 8 mld, in cui 140.000 di noi non troveranno più posto, in cui – a un mese dall’inizio – non si hanno certezze sugli organici, con le aule tinteggiate dai genitori, la scuola dell’Eternit e dell’amianto non bonificati, della carta igienica a pagamento, Gelmini tenta di distrarci con l’ultimo golem della modernità: la pagella elettronica. Su cui digiteremo le cifre di un minimalismo culturale perseguito con ostinazione.