Università, ultimi test di ammissione:
dal 2011 solo curriculum e colloqui
Quizzoni nozionistici e con troppi errori. Poco più di 52mila posti
per gli aspiranti alle cinque facoltà a numero chiuso
di Anna Maria Sersale Il Messaggero,
14.8.2010
ROMA (14 agosto) -
Mancano pochi giorni all’assalto delle facoltà proibite. Neanche il
tempo di riprendere fiato dalla maturità, che arriva l’incubo test.
Per tutti un muro da scavalcare. Poco più di 52mila posti,
esattamente 52.788, per un esercito di aspiranti. Penna e foglio, di
nuovo sui banchi, stavolta a giocarsi il futuro.
Sono cinque le facoltà obbligatoriamente a
numero chiuso. Quelle di area medica sono le più ambite:
ci sono in palio 8.755 posti per Medicina e chirurgia (quest’anno
+9%); 789 per Odontoiatria; 1.006 per Veterinaria. In tutto 10.550
posti per i futuri medici, contesi da almeno 100mila concorrenti.
Alla fine solo uno su dieci passerà per la cruna dell’ago. Poi ci
sono i 9.265 posti per Architettura, i 4.838 per Scienze della
formazione primaria e 28.135 posti riservati alle Professioni
sanitarie (la parte del leone la fa Scienze infermieristiche con
16.336 posti). Chi fissa il tetto? Il
ministero dell’Università.
Il numero chiuso c’è perché si tratta di
specializzazioni (costose) da riservare ai giovani
migliori. Ma la selezione funziona? Con il sistema dei test passano
davvero i più bravi? In Parlamento si è riaperto il dibattito. «I
giovani sono costretti a giocarsi l’accesso agli studi universitari,
marcando con la matita delle crocette, come al superenalotto»,
scrive il senatore Stefano De Lillo, Pdl, in un ordine del giorno
del 22 luglio scorso, durante i giorni caldi della riforma. Secondo
De Lillo, «i test d’ingresso più che testare le capacità testano
fortuna e mero nozionismo, non tenendo conto del voto di maturità,
né di valutazioni psico-attitudinali, o della cultura generale come
potrebbe pienamente emergere da più prove scritte e orali». Oltre al
sistema di selezione, il senatore De Lillo critica il numero chiuso,
classificandolo «strumento aprioristico» e «strumento viziato, come
dimostrano i continui errori nella stesura dei test, scatenando
ricorsi e lunghe battaglie legali». L’ordine del giorno in Senato si
è poi concluso chiedendo l’impegno del governo perché promuova «le
iniziative per risolvere le incongruenze tra diritto allo studio e
test d’ingresso».
«L’idea di rivedere i criteri di selezione
è condivisa - ammette Giuseppe Valditara, capogruppo Pdl
in Commissione istruzione del Senato - ma il numero chiuso non si
tocca, è impossibile eliminarlo. Le prove sono alle porte, mancano
poche settimane, ma siamo d’accordo su una revisione che per il 2011
migliori il sistema di selezione».
Andrea Lenzi, il presidente del
Consiglio universitario
nazionale e presidente dei corsi di laurea in Medicina,
lancia una proposta: «Oltre al semplice quiz, che ha un valore
oggettivo e che per questo è indispensabile, pensiamo di valutare il
curriculum degli ultimi tre anni di liceo, più il voto di maturità
“pesato” sulla media dell’istituto, dal momento che ci sono istituti
dove è facile prendere dieci e altri dove è difficile prendere
sette. Si pensa anche alla possibilità di selezionare aggiungendo ai
quiz dei colloqui». Ma anche per Lenzi in numero chiuso non può
essere messo in discussione. «Per formare un medico occorrono 11
anni - sottolinea Lenzi - 6 di laurea, 5 di specializzazione, perciò
nessuno Stato può permettersi di far entrare tutti, anche perché
creeremmo dei medici disoccupati».
Gli studenti vorrebbero tagliare la testa
al toro spostando la selezione nel corso del primo anno.
«E che diciamo, tu fuori, abbiamo scherzato? Non è davvero una
soluzione praticabile», conclude Lenzi.
Per trovare un posto a Medicina c’è chi è
disposto a fare le valigie: ci sono ragazzi che emigrano
in Albania e Romania. «Dove sono nate delle vere succursali -
racconta l’avvocato Michele Bonetti, difensore di centinaia di
studenti che hanno fatto ricorso al Tar - Si tratta di gemellaggi
con università italiane, con stessi docenti, stessi programmi, e
dunque la speranza di riconoscimenti postumi».
Intanto l’Udu, l’Associazione
degli studenti universitari, ha già
iniziato la campagna contro il numero chiuso, mentre dal
Tar del Lazio, a fine luglio, è arrivata una ordinanza di sospensiva
che ha ammesso “con riserva” nel corso di laurea in Medicina due
ragazzi che avevano fatto ricorso. Così, quasi alla vigilia delle
nuove prove, ancora ci sono situazioni aperte dell’anno scorso.
La battaglia degli studenti è anche contro
i “divieti” messi spontaneamente dalle singole
università. Gli atenei, infatti, possono applicare un filtro
all’ingresso anche per “corsi che prevedono tirocini o laboratori ad
alta specializzazione, di sistemi tecnologici e informatici”. Così
oltre alle lauree dove è previsto per legge, Medicina e chirurgia,
Odontoiatria, Veterinaria, Architettura, Scienze della formazione e
Professioni sanitarie, il numero chiuso scatta anche per decine di
altri corsi di laurea. Tanto che si contano più di 1.000 corsi con
lo sbarramento.
Se per le cinque facoltà dove è
obbligatorio il numero chiuso il test è nazionale, in
tutti gli altri casi sono i singoli atenei a decidere come e quando
fare la selezione. «Con sempre maggiori restrizioni - sostiene
ancora l’avvocato Bonetti - Per Ingegneria, ad esempio, molti atenei
si mettono d’accordo e scelgono una data unica, così da impedire ai
ragazzi di partecipare a più prove». Un fenomeno, questo, che si
ricollega al problema finanziario. Gli atenei, ormai obbligati a
rispettare parametri di qualità, per numero dei docenti e spazi agli
studenti, ma contemporaneamente stretti dalla morsa dei tagli,
tendono a mettere nuovi tetti ai corsi di laurea.