La religione ti promuove
In una scuola paritaria ragazzi promossi agrazie
al 10 in religione: che però non dovrebbe esprimere un voto
numerico, ma solo un giudizio. E nella mattanza di ore e di posti di
lavoro prodotta dalla riforma Gelmini, l'ora di religione è la sola
a non subire tagli: docenti nominati dalla Curia, ma pagati dalle
tasse degli italiani
di
Marina Boscaino
Il Fatto Quotidiano, 31.8.2010
C’era una volta la laicità nel nostro Paese. E ora non c’è più.
Notizia recente: in un liceo paritario romano – il Seraphicum – i
ragazzi sono stati ammessi all’Esame di Stato con il contributo di
10 in religione. Violazione all’art. 309 del Testo Unico delle leggi
sulla scuola che stabilisce modalità e criteri di valutazione di chi
si avvale dell’Insegnamento Religione cattolica: giudizi e non voti.
Il Nuovo Concordato e le successive intese applicative si
uniformarono alla normativa statale, che stigmatizza ogni forma di
discriminazione determinata dall’avvalersi o no di IRC, che – per
ora – è ancora facoltativo. Scuola e Costituzione ha diffidato
l’Ufficio scolastico del Lazio, che al momento non ha ancora
risposto. Attendiamo fiduciosi.
Chi sale,chi scende
Nella mattanza di ore (e di posti di lavoro) prodotta in tutti gli
ordini di scuola dalla “riforma”, l’IRC è il solo a non subìre
tagli, arrivando così a una percentuale più ampia sul monte-ore: i
nostri studenti fanno meno Italiano ma più Religione! Il paradosso è
che negli anni del più grande licenziamento di massa della storia
della scuola italiana, gli insegnanti di Rc sono addirittura
aumentati: 26.000 in servizio, di cui 14.000 di ruolo. Docenti che
hanno una singolare, doppia matrice giuridica: nominati (o rimossi)
dalla Curia, pagati dalle tasse di tutti gli Italiani. ”L’ora di
Religione non si tocca”, aveva detto Gelmini all’inizio dello scorso
anno scolastico. La sollecitazione era venuta dalla “lettera
cIRColare” della Congregazione Vaticana per l’Educazione cattolica,
che condannava il fatto che in molti Paesi siano state introdotte
“nuove regolamentazioni civili, che tendono a sostituirlo
(l’insegnamento della IRC, ndr) con un insegnamento del fatto
religioso di natura multiconfessionale o di etica e cultura
religiosa, anche in contrasto con le scelte e l’indirizzo educativo
che i genitori e la Chiesa intendono dare alla formazione delle
nuove generazioni”. “Si potrebbe anche creare confusione o generare
relativismo o indifferentismo religioso se l’insegnamento della
religione fosse limitato ad un’esposizione delle diverse religioni,
in un modo comparativo e “neutro”. Perciò “(bisogna che)
l’insegnamento religioso scolastico appaia come disciplina
scolastica, con la stessa esigenza di sistematicità e rigore che
hanno le altre discipline”. Infine la Congregazione “non smette di
denunciare l’ingiustizia che si compie quando gli alunni cattolici e
le loro famiglie vengono privati dei propri diritti educativi ed è
ferita la loro libertà religiosa”. Il mondo alla rovescia: incalzano
i vertici. Per il presidente della Cei, Bagnasco, l’ora di IRC “non
si configura come una catechesi confessionale, ma come una
disciplina culturale nel quadro delle finalità della scuola”.
L’arcivescovo di Torino, Poletto, sostiene che l’ora di IRC “non è
solo cultura, ma non è nemmeno catechismo”. Perché soprassedere su
pressioni così insistite? Come non interrogarsi sul senso di questo
privilegio?
Le rassicurazioni della Gelmini
Intanto le scuole paritarie (la maggior parte di ispirazione
cattolica) lamentano la mancata erogazione dei fondi loro destinati
per l’a.s. 2009/10. Le rassicura Gelmini in persona, assicurando che
le risorse sono state “rimesse nel capitolo di spesa e attendiamo il
via libera dalla Conferenza Stato-Regioni” e affermando: “Nella
Finanziaria 2011 i soldi per le paritarie non si toccano”. Cioè, il
budget previsto per le paritarie (534 milioni) sarà regolarmente
erogato: tagli brutali alla scuola pubblica, fondi inalterati per le
private. Gelmini ha poi aggiunto: “Non bisogna dimenticare che la
scuola paritaria permette allo Stato un risparmio di oltre 6
miliardi di euro”. Il calcolo teorico della spesa a carico dello
Stato se gli studenti delle paritarie frequentassero la pubblica è
ricorrente argomentazione mercantile, a cui siamo avvezzi. Che però
non considera che la scuola della comunità pubblica – istituzione
della Repubblica – esiste a prescindere da quelle quote di studenti.
Poiché è lo Stato a garantire l’istruzione, lo spreco è la creazione
di istituti privati che ricevono fondi grazie alla legge di parità.
Gelmini non apprezza (e non stupisce) l’investimento della
collettività in funzione dell’interesse generale e del confronto
dialettico, garantiti dalla scuola pubblica. Sono concetti che non
fanno parte della cultura grossolana di chi ci governa. E che, temo,
stanno scomparendo anche dalla coscienza di molti di noi, nella
rinuncia alla vigilanza intransigente su questo arretramento lento
ma inesorabile da diritti e principi inalienabili.