scuola
Le quattro “dimensioni” Daniela Notarbartolo il Sussidiario, 16.8.2010 La scrittura richiede una particolare coscienza dei mezzi di cui si serve. Scrivere non è un’azione naturale, diversamente dal parlare; imparare materialmente a scrivere è atto culturale, che modifica l’uomo anche a livello neurologico. Per questo la scrittura non è affatto la trasposizione grafica del parlato. La letteratura contemporanea, quando mima apposta il parlato, cela questo aspetto decisivo. Anche insistere sulla “autenticità” della comunicazione può non aiutare: non perché lo scritto sia inautentico, ma perché passa necessariamente attraverso una forma; infatti, se il parlato, come sempre ricorda il professor Sabatini, fa leva sull’udito, lo scritto adopera la vista; così mentre l’ascolto procede linearmente sulla linea del tempo, nella lettura il cervello coordina i segmenti e vi coglie una struttura organizzata, su cui è possibile ritornare con l’occhio, e che “resta” oltre il tempo della sua produzione. Esistono “oggetti formali” ben individuabili caratteristici della forma scritta, che devono essere nominati col loro nome per entrare nell’orizzonte conoscitivo degli studenti. Un punto di partenza possono essere le quattro dimensioni: “testuale”, “morfosintattica”, “lessicale semantica” e “ideativa”, individuate dal fascicolo Crusca-Invalsi Sentendo questi termini si ha l’impressione di qualcosa di conosciuto, ma farne oggetto di didattica finalizzata richiede di uscire dall’ovvietà. Gli insegnanti rilevano negli scritti dei loro alunni l’involuzione o l’inconcludenza, l’esilità dei contenuti e delle argomentazioni, ma non sempre riescono a giustificare con la necessaria chiarezza che cosa “in concreto” rende scadente il testo (al di là di commenti come “svolgimento involuto”, “non coerente”, “scarsamente strutturato” e simili), e come si può fare di meglio. Ho osservato invece, da insegnante, che mostrare in base a quali aspetti concreti un tema merita un 8 e un altro un 9 è molto utile per far prendere coscienza agli alunni di certe competenze. Quanto all’ideazione, per esempio, essa è “indicatore di un’alta capacità di proiettare la propria mente sull’intera trattazione”, perché consiste nel trovare un centro attorno al quale far ruotare informazioni, argomentazioni, giudizi; comporta che informazioni, dati, ecc. ci siano effettivamente (il “contenuto”) e in quantità adeguata, ma soprattutto richiede la capacità di dare ordine alle idee, di non divagare e di concludere: “Cosa vuoi sostenere? Dove vuoi arrivare?”. Anche se nel quadro di riferimento della comprensione del testo la dimensione ideativa non compare (in quanto il testo è dato), in realtà è quella che più si collega alla comprensione, in questo caso della traccia: aver capito il problema permette di valutare la pertinenza delle osservazioni che si vanno proponendo e di rielaborarle con consequenzialità. Poi è necessaria una “tessitura” (questo significa testo). È utile la conoscenza dei tipi di connessioni possibili fra i paragrafi e al loro interno, che sostengono come un’impalcatura la coerenza testuale: la causa e l’effetto, i particolari di cui si compone un tutto, la descrizione di un processo attraverso le sue fasi, l’esemplificazione rispetto a un concetto, ecc. La vecchia scaletta del testo argomentativo “introduzione-tesi; argomentazioni; conclusione” è solo uno dei possibili schemi di sviluppo delle idee, ma altri se ne presentano nella varietà dei testi. La grafica, cioè l’impaginazione e la paragrafazione, sono al servizio di questa tessitura come aspetti non meno importanti dal punto di vista logico. Proprio nell’adolescenza la mente impara a organizzare i significati attraverso il pensiero astratto, e questo favorisce anche l’immaginazione del possibile, la proiezione verso il futuro, la progettualità personale. Un percorso didattico che abbia al centro l’articolazione delle idee perciò è fondamentale a cavallo fra la scuola superiore di I e di II grado. Quanto agli aspetti più propriamente linguistici, è importante la flessibilità e la varietà dell’uso. Un adolescente deve saper controllare una gamma di formulazioni alternative per uno stesso contenuto: a questo proposito, in grammatica è idea “nuova” (ma non tanto) il fatto che per esprimere certe situazioni, per esempio i rapporti temporali, la lingua si serve di differenti strumenti, come i tempi del verbo, gli avverbi e i complementi di tempo, le subordinate temporali: scegliere l’una o l’altra può risultare più efficace (naturalmente bisogna anche rendersene conto). Un alunno deve poi imparare a usare forme più complesse di quelle del parlato, come connettivi subordinanti, strutture testuali articolate, lessico intellettuale. È per questo che la riflessione sulla lingua non può occuparsi solo di “nominare e classificare”, ma deve orientarsi all’osservazione degli usi e dei significati veicolati dalle forme linguistiche. Un agile testo del prof. Serianni (Scritti sui banchi, Carocci, 2009), è un buon aiuto a individuare alcuni oggetti della scrittura. Commentando compiti scritti da alunni di prima superiore e relative correzioni degli insegnanti, esso pone innanzitutto il problema dell’errore; esiste di fatto una “norma” dell’italiano scritto, nonostante l’esistenza di varietà d’uso. Alcune “mende” ricorrenti sono descritte e stigmatizzate, e viene segnalato con rammarico il fatto che a volte l’insegnante non le registri, mentre si accanisce su vere e proprie “idiosincrasie” (per tutte: il tanto vituperato “ma” a inizio di frase). Errori da non confondersi con certe forme considerate di solito troppo colloquiali per lo scritto, che sono ammissibili o riprovevoli a seconda del tipo di testo, come dice anche Sabatini in coda al fascicolo Crusca-Invalsi (“Usi linguistici talora considerati decisamente erronei, tollerabili invece in una scrittura di tono medio”). Il secondo motivo di interesse del testo è l’osservazione pratica di forme male o ben organizzate: le categorie che descrivono la testualità sono ampiamente esemplificate dai compiti prodotti. E non compaiono solo i soliti strafalcioni: lo svarione, l’erroraccio di ortografia, il qui pro quo lessicale: la gamma degli errori copre anche altri campi, come la “violazione della coerenza testuale”, i “periodi ‘a catena’” che mostrano l’incapacità di operare sulla “progressione tematica”. Questi aspetti sono descritti anche in positivo, per esempio una rievocazione “ben organizzata, anche narrativamente”. A livello linguistico la gamma degli aspetti da osservare è pure ampia. Una “pericolante progettazione sintattica” può essere descritta osservando “l’uso di coesivi e connettivi”, le “solidarietà lessicali implausibili”, la sintassi del relativo o del verbo, le reggenze sintattiche, e altro ancora. Anche in questo caso si tratta di “oggetti” che possono essere osservati in modo analitico, e non raccolti sotto l’etichetta universale di “correttezza” o “fluidità espositiva”. Una volta che tutti questi “oggetti” sono resi visibili, è possibile operare didatticamente: farne l’obiettivo parziale, intermedio, magari facendo scrivere poco (una paginetta) e spesso, e consentendo agli studenti di rivedere la prima stesura. Avviene così un’appropriazione progressiva di strumenti necessari allo scrivere, per cui da una padronanza minima si passa a modi sempre più sofisticati e maturi, e da un dominio parziale si passa alla sintesi e quindi al dominio di tutte insieme le complesse dimensioni dello scrivere. Il succo del discorso è che se pure ci sono segnali preoccupanti nelle competenze di scrittura dei nostri studenti, più preoccupante sarebbe se essi pensassero che scrivere è un dono di natura e che la scuola può “fare poco”. Invece la scuola è il vero fattore che interviene proprio là dove i dati di natura o di cultura familiare sono scarsi. |