scuola

Cosa succede quando gli insegnanti
diventano “pazzi per la scuola”?

Anna Di Gennaro il Sussidiario, 7.8.2010

Vittorio Lodolo D’Oria ha dedicato il suo ultimo libro dal titolo decisamente provocatorio (“Pazzi per la scuola”) “ai docenti di ogni ordine e grado e a coloro che gestiscono l’istituzione scolastica”.

È nel sottotitolo del volume (“il burnout degli insegnanti a 360°: prevenzione e gestione in 125 casi”) il nocciolo della spinosa questione, ancora troppo sottostimata o rimossa dagli attori stessi della scuola, ma anche e soprattutto dalle istituzioni preposte a operare per promuovere un clima lavorativo dove l’educazione e le buone pratiche di insegnamento/apprendimento possano svolgersi in condizioni migliori rispetto alle attuali.

Ecco quindi la nota “spiritosa” dello specialista quando - nell’introduzione - afferma: “Chiedete ai vostri figli se, una volta esauriti i posti a disposizione per calciatore e velina, da grandi vorranno fare gli insegnanti. Vi risponderanno di no arricciando il naso con ribrezzo, e allora potrete stare tranquilli per loro (assai meno per i vostri nipotini, cioè i loro figli). Ma se la risposta fosse sì, sono guai seri, e vi consiglio di far leggere loro questo libro”.

Colpisce favorevolmente la scelta della copertina della novità editoriale Alpes per la tutela della salute dei docenti (D. Lgs. 81/08 e successivi). Mi soffermo quindi incuriosita a osservare i particolari della fotografia in bianco e nero e spezzata a metà. Vi sono immortalati undici bambini maschi, rigorosamente a braccia conserte, in piedi davanti alla lavagna di una classe elementare di Palermo del 1911, mentre il loro attempato maestro posa austero in mezzo a loro.

È trascorso un secolo e, nonostante Giovanni Papini auspicasse la chiusura delle scuole, quasi avesse intuito che qualcosa non funzionava più a dovere, stiamo assistendo a un fenomeno quasi impensabile, seppur le avvisaglie ne facessero ipotizzare la presenza dilagante: il disagio mentale professionale (DMP).

Posto che non v’è nulla di nuovo sotto il sole, rammento la citazione di William Osler (1849-1919) promotore della formazione medica continua che così si rivolge ai giovani medici che - sotto la sua guida - portavano a compimento la loro formazione universitaria.

“Cari neo medici, nell’augurarvi un grande successo professionale, devo darvi due notizie: una buona e una cattiva. La buona notizia è che nel giro di una decina di anni la metà delle cose che avete imparato sarà scientificamente superata e l’avrete dimenticata. La cattiva notizia è che nessuno può sapere quale sia questa metà”.

Se al tempo della foto di copertina le autorità di ogni paese erano il sindaco, il medico condotto e la maestra, da decenni assistiamo a un declino del prestigio professionale. La trasformazione dell’insegnante in impiegato statale ha declassato la professionalità del docente e la sua dignità agli occhi dei più, mentre l’avvento dei mass media e della tv in particolare l’hanno resa poco attraente, soprattutto alla componente maschile. La femminilizzazione, con tutte le problematiche a essa connesse, costituisce un nuovo serio problema unitamente all’innalzamento dell’età pensionabile.

Leggere il testo permette l’incontro - a tratti sconvolgente - con una realtà di profonda sofferenza sommersa, direi quasi da brivido, sotto vari punti di vista. Ma potrebbe servire a diffondere capillarmente maggior consapevolezza sul rischio di usura mentale derivante da una delle professioni di aiuto di cui, peraltro, è meno nota l’appartenenza.

L’appello sotteso al libro, che contiene vari allegati a riprova del lungo percorso di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, delle parti sociali nonché delle associazioni di categoria, invita a una maggiore sinergia d’intenti tra le istituzioni e gli attori giunti al termine dell’ennesimo anno di scuola durante il quale abbiamo assistito al proliferare di numerosi casi di cronaca ben poco edificante, ma di fronte ai quali non abbiano saputo che indignarci e additare il “colpevole”.

Molti altri non giungono sui quotidiani, ma ugualmente creano disservizio e diffondono la convinzione che molti docenti non siano mai stati adatti all’insegnamento. In alcuni casi è la povertà strumentale a provocare danni, ma in molti altri è il logoramento psicofisico ad aver generato l’episodio eclatante di fronte al quale il dirigente scolastico impreparato e incapace di leggere i segnali premonitori, non sa far altro che ricorrere alla forza pubblica sotto lo sguardo attonito di genitori e bambini. Un copione già visto che lascerà segni indelebili, ma di cui pochi si occupano e preoccupano seriamente.

Solo il superamento dell’autoreferenzialità, che continua a contraddistinguere i “mondi” della scuola e della sanità incapaci di comunicare, nonostante l’era del “villaggio globale” e dell’interconnessione tra i saperi, le conoscenze, le competenze e le rispettive basi di dati, dovrebbe favorire la divulgazione sistematica e capillare nonché deontologicamente corretta delle azioni da intraprendere immediatamente. Un’equipe in sala operatoria lavora proprio così. Ma in questo caso il paziente è la scuola, gravemente ammalata, al cui capezzale vari esperti fanno a gara per “salvarla”.

Segnalo in particolare l’ultimo degli interessanti allegati. L’interpellanza parlamentare al ministro della pubblica istruzione del dicembre 2009 firmata da oltre 2500 persone. Restiamo in attesa di una sua autorevole risposta…prima che sia troppo tardi!

In ogni caso la quarta di copertina chiarisce in modo ineccepibile il contenuto del libro stesso.

Il disagio mentale professionale degli insegnanti: fantasia o realtà?

Al termine dei seminari c’è sempre qualcuno che mi chiede con sarcasmo: “Ma è vero che a insegnare si diventa matti, oppure solo i matti fanno gli insegnanti?”. La mia risposta riporta l’interlocutore alla realtà: “Sono vere entrambe le cose, ma il problema è che non sono risapute”.

Alcuni docenti stremati scoppiano per esaurimento delle risorse psicofisiche, altri vedono slatentizzarsi una psicopatologia magari a origine eredofamiliare.
Entrambi i casi chiedono di essere gestiti adeguatamente da terzi: il dirigente scolastico, schiacciato tra i rischi di denunce per mobbing e i contenziosi legali con l’utenza.

A comprovare i fatti vi sono le 125 storie e testimonianze, accuratamente raccolte in questo libro, che narrano della ventennale esperienza trascorsa fianco a fianco con docenti in crisi e presidi impreparati. Un volume che vuole far riflettere tutti: i docenti perché non si sentano soli nel loro disagio e imparino a condividerlo; i genitori affinché comprendano le corrette modalità per affrontare situazioni delicate; i dirigenti per fare tesoro di esperienze utili a gestire i casi più gravi nella loro vita professionale.

Sono tante le vicissitudini di coloro che, pur affetti da gravi psicopatologie, hanno portato a termine la carriera docente con danno per se stessi e per gli altri (colleghi, studenti, genitori, dirigente). Non si può che provare estrema pena per quei docenti senza più capacità critica e di giudizio, ma altrettanto imbarazzo ci sovviene per i loro alunni, traumatizzati in tenera età, e totalmente indifesi.

Chi se ne occupa? Possibile che una persona psichicamente ammalata resti in cattedra, per numerosi lustri, peggiorando la prognosi della patologia da cui è affetta e costituendo un pericolo per l’utenza?

A perpetuare quotidianamente il ripetersi di questi episodi concorrono almeno tre fattori: l’impreparazione dei dirigenti scolastici in materia di gestione del Disagio Mentale Professionale; l’ostinazione delle istituzioni nel non formare i capi d’istituto in proposito; il mancato riconoscimento agli insegnanti dell’immane dispendio di energia psicofisica necessario per adempiere al compito educativo (negando al contempo dignità e prestigio a chi lo esercita).

Il nuovo Testo Unico sulla tutela della salute dei lavoratori vuole la prevenzione dello stress-lavoro correlato, ma il timore è che, per le istituzioni scolastiche e sanitarie, resti ancora una volta lettera morta a danno della helping profession degli insegnanti.

Devo ammettere che talvolta prevale lo sconforto e vorrei gettare la spugna, ma poi mi viene subito da dire: “Sono comunque … pazzi nostri”.

Allora accenno un sorriso, mi lascio travolgere dalla stessa passione che hanno gli insegnanti per i nostri figli, e riprendo con impegno la battaglia a favore della nostra bistrattata scuola.

Breve profilo professionale dell’autore

Vittorio Lodolo D’Oria, medico specialista, si occupa del Disagio Mentale Professionale (DMP) del corpo docente dal 1998, sviluppandone gli aspetti della prevenzione, dell’orientamento alla cura e della gestione sociale nonché medico-legale. Dal 1992 è componente del Collegio Medico della ASL di Milano per il riconoscimento dell’inabilità al lavoro per causa di salute. E’ autore di pubblicazioni scientifiche (La Medicina del Lavoro N° 5/2004 e N° 3/2009) e due libri (Scuola di Follia nel 2005 e La Scuola Paziente nel 2009) sul DMP degli insegnanti. Sull’argomento ha formato migliaia di docenti e dirigenti scolastici di tutte le scuole della Penisola e all’estero.