Federalismo per migliorare
il “bene comune” scuola pubblica
(Dialogo immaginario fra un decisore politico e un insegnante)

di Enrico Monteil da Pavone Risorse, 29.8.2010

Decisore politico:  Carissimo come va ?

Insegnante: Un po' acciaccato, per un nano secondo mi ero illuso che qualcuno, in alto, avesse deciso di premiare il merito...

Ora siamo impegnati in una svolta federalista...

Il federalismo non è un mito buono in sé, il centralismo non è un mito cattivo in sé. Molto semplicemente, relativamente al contesto storico in cui si vive, soluzioni istituzionali e organizzative possono essere foriere di migliori risultati, rispetto ad altre. Il federalismo scolastico può esserlo. Può, ma non lo è “ipso facto”. Alla fine una riforma cammina sulle gambe delle donne e degli uomini che la progettano, la realizzano e la valutano.

Veniamo alla scuola federalista

Mi piacerebbe che la scuola federalista offrisse migliori opportunità di fare “bene” il “bene comune” scuola. Un cuore standard definito nazionalmente, gestito in modo federalista e che si arricchisce di nuove opportunità, man mano che dal centro si avvicina ai territori.

Come al solito comincia a girare in tondo

Riformare per migliorare. E' proprio il caso di dirlo! Mi consenta di chiarirLe meglio che cosa intendo per cuore nazionale, se preferisce, centrale. Per esempio, motivare le persone normali a fare un lavoro normale, personalizzato nel contesto dell’autonomia, senza mai scendere sotto un certo standard nazionale di riferimento, ancorato alle riforme approvate dal Parlamento.  Povere le riforme che hanno bisogno di eroi per funzionare.

Non ci vedo nulla di federalista in quello che Lei sta dicendo...

Incentivi spero non troppo utopici: tutto il personale ritenuto necessario, per il cuore nazionale, ha un contratto a tempo indeterminato; sa il primo di giugno dove lavorerà il primo di settembre; lavora in edifici normali (a norma). Authority indipendente, esterna al MIUR, che verifica annualmente ogni istituto scolastico.   400 milioni di €/annui, per valorizzare il merito. Secondo Lei esiste una maggioranza politica trasversale, in alto e in basso, disponibile in questa direzione, nei prossimi tre anni ?

Non ci vedo nulla di federalista in quello che Lei sta dicendo...

Identificazione del costo standard  (funzionamento e investimenti), espresso in “tot” per alunno. Identificazione dei tot posti di personale docente e non docente necessari alla realizzazione delle riforme decise dal Parlamento. Dirigenti messi in condizione di dirigere e di rendere conto del loro operato. Pagamento delle prestazioni flessibili: di norma a fine mese.  Basta con gli incentivi pagati un anno per l'altro, se va bene; basta con le ore eccedenti di insegnamento, pagate a distanza di anni.  Supplenze fino a 15 giorni per assunzione diretta...

Non ci vedo nulla di federalista in quello che Lei sta dicendo...

Identificazione degli interventi compensativi sul pregresso: arretrato di edilizia scolastica e finanziamenti non corrisposti alle scuole negli anni precedenti. Un piano di investimenti triennale in edilizia scolastica concordato fra Stato e Regioni. Un piano triennale di prosecuzione del saldo dei debiti pregressi dello Stato nei confronti delle singole istituzioni scolastiche. Non si può fare tutto e subito, questi piani triennali non esauriscono il problema, ma contribuiscono a rasserenare l'ambiente, creando un clima di aspettative positive verso l’innovazione che arriva.

Non ci vedo nulla di federalista in quello che Lei sta dicendo...

Identificazione degli interventi compensativi sul sostegno nei vari ordini di scuola. C'è una sentenza della Corte costituzionale, soprattutto c'è un progetto integrativo di scuola che è una specificità italiana da salvaguardare e valorizzare.

Non ci vedo nulla di federalista in quello che Lei sta dicendo...

La definizione del cuore “centrale” crea le premesse per la ripartizione e la conseguente gestione federalista delle risorse. Dovrebbe aumentare le probabilità che le 20 Regioni intendano  avvalersi della facoltà sancita da una sentenza della Corte Costituzionale, avviando l'assorbimento delle competenze dei Miur Regionali...

Finalmente entriamo nel vivo

Non si tratta solo di una scelta contabile, lo immagino come un processo graduale che sa individuare un percorso di fattibilità politica nella sede istituzionale giusta (Stato-Regioni). L'Italia è lunga e larga, riforme di quella portata è preferibile farle in modo condiviso, anche se qualche scontento ci sarà certamente, è bene che non ci si urti muro contro un muro, in questo caso addio riforma federale !

Lei ha parlato di gestione federalista che si arricchisce di nuove opportunità, man mano che dal centro si avvicina ai territori...

Ogni istituzione Regione riceve in dote dallo Stato la quota parte spettante del cuore del “bene comune” scuola e lo gestisce. Finalmente, meglio tardi che mai, chi ha la responsabilità di decidere la rete scolastica (edifici) ha anche la responsabilità di decidere dove vanno le risorse “persone e investimenti ecc.” Si tratta di un grande opportunità positiva. Una riforma strutturale. Ma saranno i fatti a dire se funzionerà meglio dell’opzione centralista che ci ha accompagnato in questi decenni. C'è poi una seconda importante responsabilità.

Quale ?

La responsabilità di utilizzare in modo efficace e efficiente le risorse affidate, si salda con un progetto politico territoriale. In questo contesto la Regione Piemonte (ovviamente qualsiasi regione) può essere meglio motivata ad integrare la quota parte nazionale con proprie risorse aggiuntive. Fatto giuridicamente possibile, come sottolineato dalla stessa Corte Costituzionale già nel 2004. Tanto per fare un esempio: una mirata e coordinata politica del “bene scuola” nelle valli alpine piemontesi può finalmente avere una regia unica e migliori probabilità di camminare con le risorse arrivate dal centro nazionale, incrementate da risorse regionali  distribuite in modo funzionale, mirato e coerente..

Un neocentralismo regionale sostituisce il centralismo statale ?

Non direi proprio. Il pericolo non c’è se la Regione Piemonte individua una sede istituzionale di dialogo con le rappresentanze delle autonomie locali. Il dialogo in Piemonte tra Regione e ANCI  può diventare lo strumento propedeutico alle decisioni regionali per la scuola di base. Mentre un dialogo a tre Regione-UPPI-ANCI può essere lo strumento di condivisione delle scelte, per la scuola secondaria di II grado. Anche se l’incrocio con la formazione professionale e l’apprendistato, suggerisce di individuare strumenti più sofisticati di dialogo e di supporto alle decisioni, coinvolgendo altri soggetti, ad esempio, del mondo del lavoro. Per ora il mio ragionamento si concentra su infanzia, primaria e secondaria di I grado, cioè sulla scuola di base.

Il ruolo dei Comuni ?

I Comuni possono, sarebbe preferibile dire “devono”, svolgere un ruolo attivo, propositivo e negoziale, nella distribuzione delle risorse regionali (provenienti dal centro nazionale e incrementate regionalmente) nel territorio. In Piemonte c'è Torino, la grande, un grappolo di Comuni intermedi e poi tanti piccoli Comuni. L'ANCI Piemonte li rappresenta istituzionalmente nel negoziato di politica scolastica con la Regione Piemonte.

Rimanendo nel contesto della scuola di base, quale ruolo per le istituzioni scolastiche autonome ? Dialogano direttamente con la Regione ?

Preferirei vedere un ruolo di dialogo e di interazione nel territorio, fra istituzioni scolastiche dello stesso territorio con l'ente locale di riferimento (circoscrizioni, comuni di medie dimensioni, reti di piccoli comuni, secondo le varie situazioni). Il coinvolgimento reale e responsabile crea un clima favorevole: anche i Comuni possono decidere di mettere risorse proprie, a determinate condizioni. Il faro di riferimento è la distribuzione equilibrata delle offerte formative in ciascun territorio, con le istituzioni scolastiche di ciascun territorio che cooperano e competono nel realizzare l'offerta formativa. Il sistema potrebbe favorire le richieste coordinate di reti di scuole ed ente locale. E via dicendo.

Lei ritiene che Regioni e  Comuni debbano assumere del personale ?

Decisamente no. Le risorse integrative cooperanti di Regioni, Province, Comuni hanno un ruolo strategico, insieme alla gestione efficace della quota di “cuore centrale”. Mi auguro che le istituzioni elettive territoriali sappiano resistere alla tentazione delle assunzioni di personale e si scelga la via dei finanziamenti alle istituzioni scolastiche sulla base di seri progetti, accordi di programma per realizzare un’offerta integrativa territoriale, monitorata in fase di realizzazione e con penali per i furbi. Saranno gli istituti scolastici ad “assumersi” la responsabilità di “assumere” le professionalità aggiuntive necessarie per la realizzazione del piano dell’offerta formativa concordato con le istituzioni territoriali.

Lei pensa che il sistema delle autonomie scolastiche sia in grado di reggere una simile responsabilità ?

Ne sono profondamente convinto, per esperienza maturata sul campo dal 1997, anno di introduzione sperimentale dell’autonomia scolastica ( istituzionale dal 2000, tutelata dalla Costituzione dal 2010).  Le autonomie scolastiche vanno orientate e messe in condizione di agire in modo flessibile, con risorse (professionali e finanziarie) certe, articolabili in modo funzionale, sulla base del principio di responsabilità, con controllo esterno di efficacia e di efficienza.

Quali garanzie che i soldi siano spesi meglio ?

Da un lato il decisore regionale e i decisori locali rendono conto periodicamente agli elettori, mi paiono ottimi nuovi organi collegiali territoriali della scuola. I Decreti delegati del 1974 appartengono ad un’altra stagione culturale. Fin dal lontano decreto legislativo 122/98, titolo IV, in particole articoli 135-147, si sono aperti nuovi orizzonti. Dall’altro il sistema delle autonomie dovrebbe “finalmente” essere affiancato e incoraggiato da un sistema di monitoraggio e di controllo sul campo. L’era dei superbravi che lavorano comunque e sempre, in assenza quasi totale di controlli e di riconoscimenti del merito, può cedere il passo alla normalità di un sistema articolato e flessibile, che favorisce il gioco di squadra, il merito e la responsabilità verificata, sistematicamente, sul campo.

Ha parlato di una authority di controllo esterna, come se la immagina?

Il potere di indirizzo e di governo federale del sistema dovrebbe avere a disposizione una autorevole authority di controllo indipendente, dotata di un agile struttura portante, tecnologicamente avanzata, con possibilità di molteplici controlli incrociati, utilizzando le banche dati esistenti. Da non confondere con l’Invalsi, ma che si avvale anche dei dati Invalsi, ovviamente. Su questo humus si innesta una rete regionale di personale in grado di verificare sul campo le istituzioni scolastiche.  E' strategicamente indispensabile e non più rinviabile un controllo esterno dei risultati di gestione e di organizzazione di ciascuna istituzione scolastica. Per gli apprendimenti, invece, se ne occupa già l’Invalsi.
A titolo di esempio: una terna di ispettori (uno competente in contabilità, l'altro in organizzazione e il terzo in didattica) si ferma una settimana, in ogni scuola visitata e la rivolta come un guanto, con un lavoro collegiale mirato. Una visita ogni anno. Le visite successive alla prima diventano preziosi strumenti per crescere professionalmente.

Le scuole in difficoltà, inadeguate ?

Le scuole in difficoltà un po' si aiutano con investimenti mirati, un po' si fanno “democratiche” correnti d'aria, cioè si individuano i cambi di personale necessari e gli investimenti aggiuntivi.

Ci vuole un mucchio di gente altamente professionalizzata per fare questi controlli a tappeto.

Insisto sui controlli collegiali, partendo da tre competenze diverse: contabile, organizzativa e didattica. 10.000 scuole, 40 visite annue per ciascuna terna di ispettori = 250 terne cioè 750 ispettori. Qualcuno avrà mai voglia di mettere su un’ authority indipendente di questa natura ? Non è poi così complesso, se si recuperano e motivano le professionalità già esistenti nel sistema, ma riorganizzandole in modo funzionale al lavoro di controllo di un’ authority, sostenuta dal consenso sociale e con un mandato chiaro, condiviso politicamente, in modo trasversale.

Non mi è tanto chiara l'idea della quota funzionale integrativa di Regioni, Comuni… ?

Non dimentichiamo che esistono anche le elargizioni liberali e le sponsorizzazioni di privati, da non trascurare. Per rimanere alla Sua domanda, la quota funzionale integrativa, man mano che si passa dal centro ai territori ha un ruolo strategico decisivo. La quota funzionale integrativa è la quota che responsabilizza il decisore politico regionale, comunale  e i singoli istituti scolastici dotati di autonomia costituzionalmente garantita, aprendo spazi di flessibilità reale della qualità del servizio, senza ricreare precariato e aspettative di precariato, pur alimentando lavoro indipendente.
La scuola dell'autonomia ha delle opportunità integrative di cercarsi ciò che le serve, nel momento in cui le serve, con modalità efficienti e rapide. Niente graduatorie di nessun genere. Contratti con enti e associazioni o con singoli professionisti. Si risponde dei risultati.

Una immagine che riassuma tutto ciò ?

Una rete di opportunità nello spazio e nel tempo, saldamente ancorata al territorio, a disposizione per chi vuole darsi da fare. Capacità richiesta: sapersi mettere in gioco e guardarsi intorno. Un vecchio adagio è sempre valido: “Che cosa possiamo fare per cambiare le cose, senza aspettare che qualcuno dall'alto cambi le cose per noi ?”.

Non ritiene che questo sistema aumenterà le disuguaglianze fra scuole ?

Mi consenta di farLe notare che si tratta di un argomento consunto. Immagini due scuole a caso. Una con il personale all’osso (un tempo normale), l’altra con risorse aggiuntive statali di tempo prolungato. Quella più ricca di personale fa il minimo necessario e anche meno. Nessun controllo, non succede nulla. L’altra, con organico all’osso,  si dà da fare per sopravvivere, si allea con tutto ciò che di buono trova, flessibilizza i percorsi, corre ovunque possa trovare risorse aggiuntive, a costo zero per lo Stato, comincia a crescere, attira l’interesse delle famiglie dei comuni viciniori.
Che cosa dobbiamo fare ? Rimproverare quelli che si sono dati da fare e dire loro che aumentano la disuguaglianza fra scuole, perché hanno saputo trovare nel territorio risorse che lo Stato non intendeva dare, nonostante la reiterata e prolungata richiesta delle famiglie ?

Decisore politico: per caso qualcuno l’ha fatto ?

Insegnante: “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”. Buon lavoro.