Ora di religione a scuola:
i programmi li decide la Cei

di Cecilia M. Calamani da Cronache laiche, 14.8.2010

La Conferenza episcopale italiana ha fatto pervenire al ministero dell’Istruzione una proposta per l’insegnamento della religione cattolica (irc) nei licei e negli istituti tecnici e professionali allo scopo di aggiornare i programmi vigenti. Neanche a dirlo, la risposta del ministero non si è fatta attendere: ”Si ritiene di poterne accogliere il contenuto e lo si trasmette in allegato alle scuole” affinché sia adottato a partire dall’anno scolastico che inizierà a settembre. Quando poi  la Cei avrà elaborato una versione definitiva del testo – recita in sintesi la comunicazione – se ne riparlerà.

Al di là dei contenuti della proposta – un vero e proprio catechismo che tira anche in ballo anche il  rapporto con la scienza, la tecnologia e la matematica – viene spontanea una riflessione.

Gli insegnanti di religione, anche se stipendiati dallo Stato italiano, vengono scelti dalla Curia. Fino all’approvazione della legge 186 del 18 luglio 2003, la Curia comunicava i loro nominativi direttamente ai dirigenti scolastici e i docenti venivano assunti con contratto annuale. Ogni anno il gioco ricominciava.

L’entrata in vigore della legge, voluta dall’ex ministro dell’Istruzione Letizia Moratti, ha portato invece a una sanatoria: il 70% degli insegnanti di irc è entrato in ruolo nello Stato dopo aver superato un concorso appositamente istituito, mentre il rimanente 30% viene ancora segnalato dalla Curia.

Ma il mandato è rimasto annuale per tutti e quel 70% di insegnanti (in cifre circa 15mila) fanno ora parte dell’organico dello Stato. Il che significa che se il vescovo non dovesse rinnovare loro l’incarico (ad esempio per motivi ‘morali’), potrebbero comunque insegnare, a seconda del loro titolo di studio, un’altra disciplina superando in punteggio, magari, anche colleghi che hanno vinto regolare concorso di abilitazione!

E’ anche bene ricordare che i tagli previsti dalla Finanziaria estiva Brunetta-Tremonti, che  prevedono circa 132 mila docenti e 8 miliardi di euro in meno nei prossimi in tre anni, si abbatteranno su tutte le materie curriculari e di conseguenza sul livello di preparazione dei nostri studenti, ma non riguarderanno l’insegnamento (facoltativo) della religione cattolica.

In questo clima di avvilente sovrapposizione tra istruzione pubblica e confessionalismo di Stato, il buon senso vorrebbe almeno che fosse il ministero dell’Istruzione a stilare i programmi di insegnamento, non la Cei. Invece succede esattamente il contrario: la Cei dirama le sue proposte e il ministro dell’Istruzione Gelmini pedissequamente le applica.

La Chiesa, in sostanza, non solo diffonde il verbo divino agli studenti italiani, ma nelle modalità che preferisce e per di più con i fondi dello Stato, usufruendo anche di particolari salvacondotti (forse qualche santo in paradiso?) per schivare tagli e riduzioni di organico. Ci inchiniamo davanti al Vaticano – un po’ meno al ministro – per la sua straordinaria abilità.

 

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