UNIVERSITA'

La laurea breve compie 10 anni 

Gelmini, l'impianto va mantenuto ma con qualche correttivo

 La Stampa, 4.8.2010

ROMA
La laurea breve è arrivata al giro di boa dei 10 anni tra successi e sconfitte. L’impianto del 3+2 va mantenuto, ha assicurato il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, propensa ad apportare, tuttavia, qualche ritocco al sistema.

Partita in via sperimentale nel 2.000-2001 (ed entrata a regime nell’anno successivo), la laurea breve o triennale è stata introdotta nel sistema universitario italiano soprattutto per consentire agli studenti un più facile inserimento nel mondo del lavoro, ma anche con l’intento di abbassare l’età media dei laureati italiani, decisamente più alta rispetto a quella dei coetanei europei.

I frutti del nuovo modello non sono stati però quelli sperati: «la riforma - ha constatato recentemente la Corte dei Conti - non ha prodotto i risultati attesi né in termini di aumento dei laureati né in termini di miglioramento della qualità dell’offerta formativa. Anzi. Ha generato un esagerato incremento di offerta con una eccessiva frammentazione e una moltiplicazione, spesso non motivata dei corsi di studio».

Nessun impatto positivo del doppio ciclo neppure sul fronte degli abbandoni: quelli dopo il primo anno sono nell’anno accademico 2006-2007 pari al 20%, valore sostanzialmente analogo a quello registrato negli anni pre-riforma. Una conferma del sostanziale fallimento del doppio binario arriva anche dall’aumento del numero di laureati già in possesso del titolo di laurea breve - 73.887 nel 2008 rispetto a 38.214 nel 2006 - a dimostrazione dell’altissimo numero di studenti che decide di proseguire gli studi dopo aver messo in tasca la laurea breve, con buona pace di chi pensava che il titolo triennale accompagnasse direttamente al lavoro.

E l’ultimo rapporto sullo stato del sistema universitario presentato dal Cnvsu (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario) mostra che il tempo medio per prendere la laurea triennale è di quasi cinque anni - 4 anni e 7 mesi per la precisione - superando il 50% della durata canonica.

Il ministro Gelmini ha ammesso che qualche defaillance il sistema ce l’ha. «Ma non si può ogni volta - ha osservato - ripartire da zero. L’impianto del 3+2 va mantenuto ed è in linea con la prassi internazionale. Certo su alcuni corsi specifici come, ad esempio, quelli umanistici è necessario un supplemento di indagine per vedere se in alcuni casi specifici la laurea triennale sia davvero la cosa migliore». Insomma, qualcosa va ripensato, ma senza buttare a mare tutto.

Contrario a parlare di “flop” anche il direttore del consorzio Almalaurea, Andrea Cammelli. «Certo - ha osservato - qualcosa va modificato, ma non si possono ignorare traguardi importanti: la laurea triennale ha portato più giovani all’università, ha ridotto l’età alla laurea (27 anni età media nel 2001, ora meno di 24), ha fatto registrare una maggiore regolarità negli studi (è quadruplicata, arrivando al 40%, la percentuale di ragazzi che hanno concluso gli studi nei tempi previsti) e assiduità alle lezioni (percentuale quasi raddoppiata). Il quadro è più articolato di quello che i dati di sintesi mostrano e la laurea triennale non è stata affatto - commenta Cammelli - quel disastro di cui tanti parlano. Il che non significa naturalmente che non si possa migliorare. Va guardata con preoccupazione l’alta percentuale di studenti, oltre il 60%, che prosegue gli studi dopo aver conseguito la laurea triennale: significa indubbiamente che il mercato del lavoro non assorbe quanto dovrebbe».