Ma ha dimenticato la previdenza complementare

Pensioni, con la manovra 2010-2011
il Governo ha messo in piedi la riforma

di Daniele Cirioli l'Occidentale, 17.8.2010

E’ un’importante riforma quella operata dalla manovra estiva sul capitolo previdenza. Tre interventi – modifica dei tempi di accesso alla pensione (finestre), innalzamento età di pensionamento per le donne nel pubblico impiego e agganciamento dei requisiti alla speranza di vita – che assicurano la tenuta dei conti del sistema pensionistico, contenendo in parte gli effetti (anche devastanti) che la crisi (ogni crisi) potrebbe produrre sulla sua sostenibilità nei prossimi anni (si rinvia a “La riforma delle pensioni è una misura impopolare ma necessaria”, L’Occidentale 3 dicembre 2009). Ma c’è un rovescio di questa medaglia per la riforma pensionistica che spetta al governo – medaglia “al merito” per aver introdotto il cambiamento, come hanno sottolineato i ministri, senza un giorno di sciopero o manifestazioni di piazza –: l’assenza di misure finalizzate all’altra “gamba” della previdenza: quella integrativa (i fondi pensione).

1) Le nuove finestre. Il primo intervento di riforma riguarda le cosiddette “finestre”, cioè le uscite di pensionamento. Con le novità introdotte dalla manovra, a partire dal 1° gennaio 2011 (per chi dovrà andare in pensione da tale data), in luogo delle attuali finestre rigide, opererà una sola finestra “mobile” o a scorrimento che prevede la decorrenza del pensionamento di anzianità e di vecchiaia, non ad epoche prestabilite come succede oggi (trimestre, semestre, etc.), ma a distanze prestabilite: dopo 12 mesi per i lavoratori dipendenti e dopo 18 mesi per quelli autonomi. Vediamo qualche esempio. Se i requisiti vengono perfezionati entro il mese di maggio, la pensione decorrerà dal 1° giugno dell’anno successivo (se lavoratore dipendente) ossia dal 1° novembre dell’anno successivo (se lavoratore autonomo). Altro esempio: al lavoratore dipendente che raggiunga entro il 30 giugno 2011 la “quota 96”, con 36 anni di contributi e 60 anni di età, la pensione decorrerà dal 1° luglio 2012. Rispetto alle attuali regole, il dipendente dovrà restare al lavoro 6 mesi in più (con le regole di oggi, infatti, egli avrebbe avuto la liquidazione del primo assegno di pensione il 1° gennaio 2012). Ultimo esempio. Una lavoratrice dipendente, che compie 61 anni il 23 marzo 2011 avendo maturato 21 anni di contributi, percepirà la sua prima pensione dal 1° aprile 2012; con le regole di oggi l’avrebbe incassata il 1° luglio 2011 (dovrà lavorare 10 mesi in più).  

2) Pa, donne in pensione a 65 anni. Il secondo intervento di riforma riguarda l’innalzamento dell’età di pensionamento per le donne del pubblico impiego. In questo caso non è stata tanto la volontà governativa a favorire l’intervento, ma la Corte di giustizia Ue per la nota vicenda (si può vedere “L’intervento sulle pensioni è inevitabile ma serve un vero progetto di riforma”, L’Occidentale 21 gennaio 2009).

Praticamente, nel settore del lavoro pubblico (è escluso il settore privato), a partire dal 1° gennaio 2012 l’accesso alla pensione di vecchiaia sarà possibile solamente con un’età di 65 anni, sia per gli uomini che per le donne. Fino al 31 dicembre 2011 quest’età resta fissata a 61 anni. Sono scomparsi gli “scalini” di 62 anni (anni 2012/2013), di 63 anni (anni 2014/2015) e 64 anni (anni 2016/2017). Tanto per rassicurare qualche lavoratrice: chi abbia raggiunto entro il 31 dicembre 2009 i requisiti di età (60 anni) e di anzianità contributiva (almeno 20 anni) potrà andare in pensione con le vecchie regole; vale lo stesso per chi raggiunga i requisiti di età (61 anni) e di contribuzione entro il prossimo 31 dicembre 2011.

3) Requisiti agganciati alla speranza di vita. Bisognerà abituarsi, con qualche difficoltà per gli spiriti liberali: nel futuro non sapremo mai con certezza quando si potrà (età) smettere di lavorare. A meno che di non raggiungere i fatidici 40 anni di contributi, infatti, il pensionamento dipenderà dalla probabilità di vita (ossia di morte). Un dato, statistico, che si chiama anche “speranza di vita” e misura la probabilità che un uomo o donna di 65 anni ha di campare ancora. Quando la probabilità cresce (quando cioè aumentano gli anni attesi di vita), l’età di pensionamento si allontana della stessa misura di incremento.

L’aspetto originale e rilevante di questa riforma è che presenta effetti ripetitivi nel tempo: come si trattasse di un continuo “tagliando” di manutenzione della macchina previdenziale. Infatti, ogni tre anni verrà verificata che variazione c’è stata (sul triennio) nella speranza di vita calcolata dall’Istat e, conseguentemente e automaticamente, verrà eseguito un aggiornamento dei requisiti di pensione. Così, quando dovesse risultare che gli italiani vivono di più bisognerà anche lavorare di più prima di andare in pensione: un “di più” pari all’aumento della speranza di vita. Il primo aggiornamento ci sarà il 1° gennaio 2015 e la maggiorazione non potrà superare i 3 mesi; se dovesse invece risultare una diminuzione della speranza di vita non sarà fatto alcun aggiornamento. Il nuovo meccanismo interessa tutti i requisiti di età per la pensione: vecchiaia, anzianità, settore privato e pubblico impiego. Non tocca invece il requisito unico di anzianità contributiva, fissato a 40 anni, che consente di andare in pensione a prescindere dall’età. Riguarderà pure le “quote”, che dal 2013 sono fissate a 97 (con età minima a 61 anni) per i lavoratori dipendenti e a 98 (con età minima a 62 anni) per i lavoratori autonomi. Il primo aggiornamento, come detto, avverrà nel 2015; il secondo il 1° gennaio 2019 (dopo quattro anni) e da tale data opererà la cadenza triennale (2019, 2022, 2025, e via dicendo).

Una riforma “zoppa”. Visti nel loro complesso, gli interventi di riforma sembrano gravare maggiormente sulle spalle di chi oggi è lavoratore: i giovani, dunque (quanto pesa sui pensionati? Niente). A loro infatti la riforma mostrerà appieno tutti gli effetti, che sono l’allontanamento dell’accesso al riposo e un assegno di pensione più basso. Proprio perché colpisce i giovani, con i risultati di allontanare e di diminuire la pensione, era forse il caso di accompagnare la riforma con misure che ne mitigassero gli effetti. In quest’ottica, il grande assente è dunque il capitolo della previdenza integrativa (i fondi pensione). Nessun intervento è stato messo in cantiere su questo fronte infatti; e probabilmente si è persa un’occasione per stimolare il risparmio previdenziale privato soprattutto se con la previsione di incentivi. Oggi più di ieri, e a maggior ragione dopo gli ultimi interventi di riforma, la strada di una previdenza integrativa (a quella pubblica) non è più solo necessario, ma è ormai indispensabile per “adeguare” il futuro assegno pensionistico delle giovani generazioni.

 

Passiamo a un altro tema. I furbetti dell’Inps hanno le ore contate. Dal prossimo anno l’istituto di previdenza adotterà il nuovo “avviso di addebito”, che dà tempo 60 giorni per regolarizzare la propria posizione debitoria (cioè i mancati pagamenti di contributi), pena l’espropriazione forzata. La novità è prevista nella manovra, assieme alla misura che scongiura l’aumento del costo del lavoro (sarebbe dovuto salire dello 0,09 per cento dal prossimo 1° gennaio) e al rinvio di cinque mesi dell’entrata in vigore delle misure per il rischio stress lavoro correlato (doveva scattare il 1° agosto ma slitta al 31 dicembre).

La nuova riscossione Inps. Dal 1° gennaio 2011 cambieranno le modalità di riscossione Inps. La nuova procedura prevede che, in caso di debiti contributivi per ritardati versamenti periodici o scaturenti da accertamenti, l’Inps emetta un “avviso di addebito” a fronte del quale il trasgressore avrà 60 giorni per regolarizzare (pagare). Spirato il termine scatterà l’espropriazione forzata con i poteri, le facoltà e le modalità che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo. Il nuovo sistema di riscossione si caratterizza proprio per la previsione di questo “avviso di addebito”, unico per tutti i debiti contributivi dell’istituto, e dotato di valore di titolo esecutivo. Diversamente dalla disciplina introdotta dal dl n. 78/2010, la versione riveduta dal maxiemendamento del governo non prevede più la doppia procedura con riferimento alle diverse tipologie del debito: debiti emersi da accertamenti e debiti da mancato pagamento alle scadenze di legge. Inoltre, diversamente dalla disciplina originaria, il maxiemendamento ha fissato un’unica tempistica di riscossione per tutte le tipologie di debiti contributivi. Il nuovo avviso, infatti, conterrà l’intimazione ad adempiere all’obbligo di pagamento entro il termine di 60 giorni (prima i termini previsti erano 90 giorni in caso di debiti contributivi a seguito di accertamento e 30 giorni negli altri casi), nonché l’indicazione che, in mancanza del pagamento, l’agente della riscossione procederà a espropriazione forzata con i poteri, facoltà e modalità che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo.

Scongiurato l’aumento del costo del lavoro. Scongiurato l’incremento del costo del lavoro per lavoratori dipendenti, autonomi e collaboratori. Non ci sarà l’aumento dello 0,09% dell’aliquota contributiva, previsto dal Protocollo sul Welfare 2007 del governo Prodi, a carico di lavoratori dipendenti, artigiani, commercianti, agricoli nonché degli iscritti alla gestione separata Inps (co.co.co., professionisti senza cassa, etc.). A pagare il mancato aumento del costo del lavoro saranno i patronati, con una riduzione dei finanziamenti per il triennio 2011/2013.  Il protocollo sul Welfare dell’estate del 2007, tra le altre novità, ha operato una rimodulazione delle aliquote contributive, specialmente di quelle previste a carico degli iscritti alla gestione separata dell’Inps. Il rincaro contributivo si è realizzato nel triennio 2008/2010, e al completamento mancava un ultimo passaggio programmato dal 1° gennaio 2011. Un passaggio che prevedeva l’ulteriore aumento dei contributi, a carico di tutti i lavoratori, sia di quelli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria e alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, sia di quelli iscritti alle gestioni pensionistiche dei lavoratori artigiani e commercianti, dei coltivatori diretti, coloni e mezzadri e di quelli iscritti alla gestione separata dell’Inps (co.co.co., professionisti senza cassa per esempio). L’aumento, previsto a regime (cioè valido per “sempre”), è pari allo 0,09%. Ma non ci sarà. E per eliminarlo, il maxiemendamento del governo ha previsto che per ciascuno degli esercizi finanziari 2011-2013 gli stanziamenti previsti per il finanziamento degli istituti di patronato vengano ridotti di 30 milioni di euro annui.

Prorogate le norme antistress sul lavoro. Altri cinque mesi di tempo per adeguare le misure di sicurezza contro lo stress sul lavoro. L’entrata in vigore delle disposizioni del Tu prevista per il 1° agosto, infatti, slitta al 31 dicembre. Sia per le pubbliche amministrazioni che per le aziende.

La gestione del rischio stress da lavoro-correlato ha fatto esordio nel Tu sicurezza, che lo esplicita con riferimento ai principi dell’accordo europeo 8 ottobre 2004. La valutazione del relativo rischio deve essere effettuata nel rispetto di specifiche indicazioni da elaborarsi a cura della Commissione consultiva permanente, e decorre dal 1° agosto 2010. Ma il termine, con l’approvazione della manovra correttiva, è slittato al 31 dicembre 2010.

Sempre in tema di sicurezza sul lavoro, inoltre, la manovra ha dato altri 12 mesi di tempo per “l’individuazione delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative”, che devono essere individuate con appositi decreti interministeriali. La norma interessa le forze armate e di polizia, i vigili del fuoco, i servizi di protezione civile, le strutture giudiziarie penitenziarie, le università, gli istituti di istruzione, l’arma dei carabinieri, le forze di polizia. Il termine prorogato (di un anno) era stabilito il 24 mesi dall’entrata in vigore del Tu (15 maggio 2008)