Chi parla male pensa male
«Generazione presente
indicativo»: di Maria Serena Palieri da l'Unità, 12.8.2010
12-08-2010 Maria
Giuliana Bigardi, direttrice dell’ufficio scolastico di Treviso, nei
giorni scorsi ha lanciato su queste pagine l’allarme-lingua: dal suo
osservatorio di Nord-Est il mondo giovanile appare in un drammatico
regresso, il cui sintomo è l’uso sempre più ristretto che gli
studenti fanno di tempi e modi verbali. Vado, non andrò, faccio, non
farei... Siamo alla «generazione presente indicativo»? E, se sì,
quali rischi questo comporta?
«Detto così» obietta De
Mauro, «ci mette fuori strada. Come nell’intera società italiana,
anche nel linguaggio vi sono e si scontrano tendenze
contraddittorie. E anche nel mondo giovanile. Mai in tremila anni
abbiamo condiviso in pari grado il riferirci a una stessa lingua. Le
generazioni giovani in realtà hanno toccato livelli di istruzione
ignoti a padri e nonni, le ragazze specialmente. Le prove oggettive
Invalsi accennano perfino a piccoli miglioramenti, poca cosa,
certamente, dinanzi alla massiccia persistente presenza di
insufficienze nel controllo di lettura e matematica. Ma la società
adulta (ormai lo sappiamo con dati oggettivi) ha livelli nettamente
peggiori, e gli insegnanti ne subiscono le conseguenze,ma stentano a
prenderne coscienza. La disattenzione della classe politica non li
aiuta».
«Sta diventando
patologico il dislivello italiano (adulto, anzitutto) tra esigenze
di conoscenza di realtà sociali e culturali di crescente complessità
e la generalizzazione del dominio di strumenti linguistici,
matematici, intellettuali che sarebbero necessari. Ho accennato a
dati oggettivi sui livelli di alfabetizzazione della società adulta.
L’ultima indagine comparativa internazionale colloca l’Italia al
penultimo posto tra i paesi esaminati, prima soltanto della Sierra
Leone. E conclude con un dato d’insieme di cui (sai dirmi perché?)
nessuno vuol parlare: solo il 20% degli adulti ha gli strumenti
linguistici (e matematici) per orientarsi nelle complessità di una
società moderna. L’uso linguistico comune non può non soffrirne. Le
eccellenti prestazioni linguistiche di alcuni saggisti e di molte
scrittrici e scrittori e di poeti interessanti come Mariani o
Montalto (ci sono anche loro, i poeti) o l’efficace chiarezza del
parlato televisivo di un Dorfles o degli Angela sono in
controtendenza».
«Accanto all’espansione
della scolarità di base - attenzione: espansione tra le giovani
generazioni - dagli anni Settanta in poi (ancora nel 1970 metà dei
ragazzi non raggiungeva la licenza media), già nei vent’anni
precedenti un ruolo formativo e linguistico decisivo aveva svolto la
televisione. Ma le pessime leggi dei primi Novanta, mela avvelenata
dell’ultimo centrosinistra, hanno spinto tutte le reti, anche
pubbliche, alla ricerca di pubblicità e pubblico e quindi
all’imbastardimento violento e ottundente dei contenuti, con effetti
devastanti su tutta la nostra cultura nel senso ampio di questo
termine».
«Da tre anni ogni
settimana per un settimanale faccio una schedina su quel che va
succedendo nei sistemi scolastici in giro per il mondo. E posso,
devo dirti che nessun paese del mondo, dall’Africa nera compresa
agli altri paesi europei, dal Venezuela alla Corea, ha una classe
politica e imprenditoriale (avevo sperato molto, ma invano, nella
signora Marcegaglia) così tetramente sorda alle esigenze di scuola,
università, ricerca come è sorda la nostra attuale. E siccome non
riusciamo a selezionare un diverso ceto dirigente portiamo tutti una
parte di responsabilità».
«Ma no, non corriamo.
Il presente indicativo lo privilegiava anche Giulio Cesare. Lasciate
ai linguisti e filologi l’accertamento di dati complicati, delicati.
In particolare il sistema verbale italiano è una brutta bestia e
perfino scrittori in auge (giornalisti, per la verità) ogni tanto
inciampano in qualche “pervenirono” (una bella forma analogica che
forse tra un secolo sarà norma, ma per ora no, non lo è)». «Aggiungiamo anche: in quanto nonno e nonno di ben tre nipotine. C’è una cosa che in molti (circa un quarto della popolazione) possiamo fare senza troppa spesa e impegno: dire in giro quanto è bello, quanto ci ha conquistato l’ultimo bel libro che abbiamo letto. Poi, procurarci buoni libri e leggerli e col tam tam propagandarli (si sa che è il mezzo accertatamente migliore, assai meglio di recensioni e pubblicità). Più impegno richiede convincere gli amministratori locali a fare qualche tavola rotonda in meno e sforzarsi di aprire e far funzionare una biblioteca di pubblica lettura in ogni paese e in ogni quartiere delle città. È ancor più difficile attrarre l’attenzione della classe politica sulle necessità di investimento per scuola, università, ricerca, biblioteche di conservazione e ricerca, teatri, sale di concerto, orchestre decenti. Da economisti e seri studiosi dello sviluppo apprendiamo che tutto questo paga, dove si ottiene,ma anche costa e impone un riassetto dell’intero bilancio statale. Non è questione di ministri dell’istruzione o cultura, è questione di capi del governo, come in Germania o Usa, Venezuela o Francia, è questione di radicale diversa progettazione dello sviluppo del nostro paese. Qui c’è, potrebbe esserci, gloria per tutti». |