Come "trattare" i nativi digitali

di Stefano Stefanel, Pavone Risorse 25.9.2009

Ad un certo punto in La regina dei castelli di carta, terzo volume della Millenium Trilogy di Stieg Larsson si legge: “Lisbeth Salander uscì dalla chat e andò in Internet a cercare il server che le aveva indicato Plague. Impiegò le successive tre ore a esaminare cartella dopo cartella l’hard disk di Teleborian”. Una nuova popolazione si aggira tra di noi e questo ci sconcerta invece di interessarci. Sono i nativi digitali, coloro che appena nati si sono trovati immersi nelle possibilità di eseguire attività attraverso strumenti di tipo digitale (nati con la tastiera in mano). Nella loro breve vita i nativi digitali acquisiscono competenze di cittadinanza attraverso strumentazioni sempre nuove e con nuovi linguaggi, che noi non abbiamo conosciuto alla loro età. Attualmente rappresentano solo un gruppo, ma col passare del tempo tutta la società indigena italiana sarà nativa digitale. Accanto a loro convivono altre due popolazioni: gli immigrati digitali, cioè coloro che hanno appreso da adulti il web-world (“mondo dei computer”) e i fruitori digitali, cioè coloro che per necessità o per obbligo devono usare il web per cercare di facilitarsi la vita (ma in linea di massima ritengono gli venga complicata). Il luogo dell’incontro tra queste popolazioni dovrebbe essere la scuola, ma troppo spesso la scuola è solo il luogo dello scontro, se non della distanza. Sembra quasi che lo scontro di civiltà non ci sia solo tra religioni o etnie, ma anche tra la generazione dei garantiti e quella dei sotto garantiti.

 

CONOSCERE I NATIVI DIGITALI

Gli alunni delle nostre scuole dell’obbligo e non solo di quelle sono tutti nativi digitali e come tali le scuole dovrebbero cominciare a considerarli. La scuola dovrebbe riuscire a colmare alcune lacune di comprensione, pena la sua assoluta obsolescenza. Molto spesso si danno nomi diversi alla stessa cosa, a volte non ci si capisce quando si dice qualcosa. Credo sia necessario uniformare il lessico e comprendere alcune novità che trovano nella terminologia un punto di novità. Ma non tutti nella scuola la pensano come me e spesso sembra esserci un eccessivo distacco tra le esigenze dei nativi digitali e le potenzialità che la scuola è in grado di dare loro. Tra l’altro i nativi digitai stanno diventando un social network e i social network sono uno dei punti di massima criticità della nostra società. Il social network è un gruppo sociale, digitale o etnico che si è strutturato un suo sistema di vita autosufficiente e che dalla società acquisisce solo i servizi necessari. Ad esempio: se un ragazzino cinese che frequenta la scuola italiana a casa mangia cinese, parla cinese, legge cinese, segue le feste e le tradizioni cinesi, vede tv via cavo cinesi, ecc. sta in un social network, impermeabile ai nostri tentativi di integrazione. Il social network etnico è il più sviluppato, ma anche quelli di categoria o di classe si stanno affermando anche da noi. Per non parlare poi di quelli digitali, che si strutturano attraverso forme di comunicazione a distanza pubbliche, ma esclusive. Noi usiamo sempre il termine integrazione, ma questo è il contrario del social network. Con l’integrazione il soggetto contamina se stesso con la società in cui vive ed effettua uno scambio tra la sua perdita dell’identità iniziale e l’integrazione con quella attuale. Ma tende a sganciarsi dalla sua origine: se un musulmano si integra difficilmente rimane poligamo. Mentre in un social network il soggetto assorbe servizi ed opportunità per mantenersi ancorati a ciò che è.

Ha scritto Paolo Ferri dell’Università di Milano Bicocca: “Quando negli Anni Ottanta ci si recava nella Germania dell’Est, avevamo la sensazione di tornare indietro di trent’anni. È la stessa sensazione che hanno ogni giorno i nostri alunni quando entrano a scuola. Noi abbiamo di Londra l’idea che ce ne ha dato per anni Sandro Paternostro. Loro passeggiano nelle sue strade senza esserci mai fisicamente stati. Noi incontravamo gli amici al bar, loro vanno su Facebook”. I ragazzi vanno coinvolti modificando il modo di insegnare e “giocando” sul loro terreno. Bisogna tenere presente che le strumentazioni digitali stanno cambiando - e per certi versi lo hanno già fatto - i modi di apprendere che non passano più solo per la parola scritta. Ma le scuole non riescono facilmente a fare questo e spesso sono la metafora della Germania Est.

 

VALUTARE I NATIVI DIGITALI

I nativi digitali hanno diritto di essere valutati dalle scuole nella loro interezza. Le nuove norme sulla valutazione condensate nella legge 169/2008 e nel DPR 122/2009 emanati dal Ministro Gelmini prevedono medie matematiche e valutazioni collegiali. Per questo sarebbe fondamentale che fossero registrati non solo gli esiti dei prodotti (compiti, interrogazioni, prove strutturate, ecc.), ma anche gli step di processo (impegno, interesse, partecipazione, intuizione, capacità argomentative, accuratezza, puntualità, precisione, ecc.). La valutazione scolastica dunque dovrebbe prevedere accanto alla certificazione del prodotto anche quella del processo in modo che nulla rimanga nella testa del docente. La collegialità dovrebbe esplicarsi attraverso forme trasparenti e solo la documentazione completa può permettere di monitorare il processo di valutazione nei momenti necessari. Mentre al contrario in molte scuole prevale la media matematica conteggiata attraverso valutazioni date in modo arbitrario e un tentativo di chiudere i processi di apprendimento in una sorta di bolla di protezione che non interagisce col reale.

Inoltre per valutare correttamente il processo di apprendimento vanno tenuti distinti due termini che la scuola tende a confondere:

    •  Individualizzazione – E’ il modo migliore per sviluppare un programma. Tutti partecipano allo stesso tipo di scuola, ma vengono aiutati e valutati in base agli obiettivi fissati per loro. Gli obiettivi minimi stanno alla base dell’individualizzazione. Questo metodo di insegnamento è entrato in crisi quando gli obiettivi scolastici si sono scostati troppo da quelli sociali.

    •  Personalizzazione – E’ il modo più semplice ed efficace di declinare un curricolo. Personalizzare un apprendimento o un insegnamento significa creare un percorso irreversibile proprio della persona interessata. Attraverso la personalizzazione si possono raggiungere obiettivi simili (competenze, cittadinanza, ecc.) attraverso percorsi tra loro estremamente diversi.

Questa distinzione non è sempre molto chiara a molti docenti, che si sfiancano alla ricerca di modalità per coinvolgere ragazzi, che invece stanno altrove. I nativi digitali sono una popolazione con loro usi e costumi, non necessariamente interessati ai nostri. Sono una popolazione a cui noi proponiamo avvenire, ma  che vede intorno a sé precariato, a cui noi trasmettiamo molti saperi antichi che non esistono più, a cui noi dedichiamo la nostra attenzione che non sempre intercetta le loro necessità.

La straordinaria complessità del mondo interattivo con i suoi Facebook, Twitter, Messnger, You Tube, ecc, mostra al tempo stesso le potenzialità e pericoli di una società in cui i nativi digitali cercano certezze e trovano complessità. Noi adulti che dovremmo guidarli siamo più spaesati di loro e cerchiamo di sopperire alla nostra ignoranza con una dose di supponenza e di carta. Più i nativi digitali conoscono, più noi stampiamo faldoni di carta che nessuno legge e che nessuno analizza. Siamo all’implosione della comunicazione, ma abbiamo dei problemi a capire come si fa. E per questo i nostri figli e i nostri alunni hanno dubbi: sulla realtà e sulla nostra capacità di guidarla.

 

SORVEGLIARE E PUNIRE I NATIVI DIGITALI

I nativi digitali soprattutto minorenni vanno sorvegliati e puniti per i loro eccessi e per i loro comportamenti pericolosi, maleducati, teppistici. Resta il fatto che per sorvegliare bisogna conoscere perché altrimenti la punizione è solo repressiva e non tenta neppure il recupero sociale. Per reprimere anche i peggiori comportamenti e le più evidenti deviazioni bullistiche bisogna conoscere i codici attraverso cui si esprimono i ragazzi. Bisogna studiare i ragazzi per sorvegliarli e per capire quando vanno puniti. Chi conosce i nativi digitali ne intuisce gli usi e costumi e attraverso quelli ne percepisce le deviazioni teppistiche o bullistiche. Ma l’attenzione e l’ascolto sono la base attraverso cui partire e entro cui collocarsi. Affinché la sorveglianza sia efficace e la punizione giusta.

Ci sono i “Geek”, individui che usano gli strumenti digitali in tutte le loro possibilità, sono interessati da tutto, contaminati da fumetti, videogiochi, cultura, ecc. Sono riassunti nella frase di Barak Obama: “Sono cresciuto con Star Trek, io credo nella frontiera”. Hanno  soppiantato i “Nerd”,  individui che conoscono  il loro computer sia dentro che fuori. Niente di ciò che sa o può sapere il loro computer gli è sconosciuto. In via di evoluzione sono gli “Hacker”, la più celebre dei quali è Lisbeth Salander, l’eroina della Millenium Trilogy. Gli hacker sono capaci di violare i computer altrui inserendosi attraverso la rete. Di solito il loro interesse maggiore è la violazione delle protezione, non l’acquisizione dei contenuti violati.

Una volta si diceva: “una risata vi seppellirà”. Nessuno ci ha seppellito e noi non abbiamo seppellito nessuno. E non c’è neanche granché da ridere.