L’intervista del ministro Gelmini a Tuttoscuola/2 da Tuttoscuola, 5 settembre 2009 Nell'intervista rilasciata al direttore di Tuttoscuola Giovanni Vinciguerra, il ministro dell'istruzione spiega perché e attraverso quali modalità intende introdurre il merito nella scuola. Finora nell'azione del Governo per la scuola si sono visti soprattutto i tagli e sacrifici. Ora però ci si aspetta che il Paese investa sulla scuola, affinché essa possa dare risultati migliori. Come? "Le rispondo con due parole. Qualità e merito: sono le stelle polari che intendo seguire per rendere più competitivo il sistema. Lo stiamo già facendo nel settore dell'università, e lo faremo anche nella scuola". Merito è sicuramente una bella parola, ma è anche un concetto difficile da calare nella pratica. Ci faccia degli esempi concreti di come lo declina. "Bisogna introdurre forti dosi di meritocrazia a tutti i livelli. In primo luogo occorre premiare gli studenti che raggiungono i risultati migliori. Premiare il loro talento soprattutto in termini di opportunità per il loro futuro. Penso ad esempio a forme che consentano loro di iscriversi in futuro alle università e ai corsi migliori. In secondo luogo incentivare le scuole meglio organizzate e che migliorano di più i livelli di apprendimento dei propri studenti, tenendo conto dei punti di partenza. Daremo loro più risorse e mezzi per offrire un servizio sempre migliore". E per il personale della scuola vale lo stesso criterio? "Certamente. Occorre valorizzare i docenti e i dirigenti che si impegnano di più. Non si può contare solo sulla buona volontà, o sullo spirito missionario delle persone. Non è la condizione che favorisce i migliori esiti complessivi. Non lo è in nessun ambiente lavorativo o di relazione, non può esserlo neanche nella scuola. La motivazione delle persone è una componente fondamentale in tutte le attività, ed essa non può esserci senza il riconoscimento degli sforzi fatti e degli obiettivi raggiunti. Va creato il contesto nel quale tutti gli attori della comunità educativa siano posti nelle condizioni di dare il meglio e di sentirsi incoraggiati e stimolati a farlo, in un'ottica non di individualismo competitivo ma di miglioramento continuo della professionalità. E' questo che si è perso nella scuola italiana. E allora bisogna impegnarsi in questa direzione, più e prima che nelle riforme ordinamentali". Questo significa differenziare i trattamenti, dare a qualcuno di più, ma anche a qualcun altro di meno. Non c'è mai riuscito nessuno in Italia, almeno nel settore della scuola. "Non vogliamo togliere nulla a nessuno, sia chiaro, vogliamo dare di più a chi fa di più e meglio. La scuola italiana è fiaccata da decenni di assenza totale di incentivi e di stimoli. Inoltre manca totalmente una cultura di misurazione e valutazione dei risultati. Non si può incolpare di questo chi lavora nella scuola. Ma non ci si può rassegnare all'immobilismo. Io non intendo farlo, anche se non sarà un processo breve né facile". E' convinta che ci siano le condizioni per raggiungere questo obiettivo? "Sì. Bisogna capire però, dentro la scuola - a partire da chi ha ruoli di rappresentanza e responsabilità - e fuori la scuola, tra le famiglie, nella società civile, che un sistema di istruzione più competitivo è nell'interesse strategico di tutta la collettività, e quindi anche delle singole parti che oggi sono più resistenti al cambiamento. Non conviene a nessuno che serpeggi la demotivazione, e nessuno può più difendere privilegi, spesso declinati in termini di minor carico di lavoro a fronte di basse retribuzioni (e quindi tendenti ad abbassare la qualità del servizio), che oggi sono insostenibili e inaccettabili. Per fare tutto ciò occorre disporre di un adeguato sistema di valutazione, e all'Invalsi stanno lavorando alacremente su questo e molte energie e risorse investiremo su questo fronte". L'intervista integrale è pubblicata nel numero di settembre del mensile Tuttoscuola.
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