Quel disprezzo antico per la cultura

Sandro Veronesi, la Repubblica 14.9.2009

Ci sono due cose da dire dopo la piazzata di Renato Brunetta contro il "culturame parassita". La prima è di carattere generale, la seconda è peculiare del personaggio. In termini generali si deve osservare che, di pari passo con il disfacimento dell'immagine tranquillizzante che Berlusconi aveva costruito di sé, molti dei suoi feldmarescialli stanno gettando la maschera per rivelare la propria mentalità fascista. Può risultare sorprendente solo per coloro che hanno sottovalutato la resistibile ascesa al potere dell'attuale nomenklatura, ma il retaggio fascista continua ad alimentare buona parte della politica di governo, incardinato su due perni storici della demagogia populista: l'anticomunismo e lo sprezzo per la cultura. Come testimoniato dalla composizione dell'attuale governo, chiunque può far strada nella politica berlusconiana se si arrocca su uno di questi due baluardi – meglio ancora se su entrambi coniugati insieme. Non importa quanto deserto di titoli sia un curriculum, né conta la nullità del pensiero che si è in grado di ricamarci attorno: la professione di odio contro la cultura continua a pagare. Il ricorso al linguaggio sprezzante, dunque, quelle parole come "culturame", appunto, "parassiti", "disfattismo" eccetera, non è casuale: così come il capo sta apertamente rivelando (o non sta più riuscendo a celare) la propria vocazione alla tirannia, i suoi fedelissimi stanno abbandonando qualunque sforzo anche linguistico di mostrarsi democratici e moderati. Così, insieme alla caccia all'omosessuale (o dobbiamo chiamarlo pederasta?), alla "faccetta nera", al rom e al sindacalista, fatalmente si è aperta anche quella all'intellettuale. Quanto poco, in realtà, possano esser pericolosi gli intellettuali con un popolo che è riuscito a ignorare Pasolini e Don Milani, costoro non lo sanno; vivendo nel perenne complesso d'inferiorità tipico per l'appunto dei fascisti, essi si danno pena di attaccarli, e la cosa pericolosa ovviamente non è l'attacco personale (anzi, quello potrebbe essere perfino un bene, perché parecchi di loro continuavano a dormire), bensì il ripugnante assunto sulla groppa del quale l'attacco viene fatto galoppare verso l'opinione pubblica, per il quale la cultura è di per sé parassitaria, nociva e sovversiva.

La seconda cosa da dire, quella peculiare al personaggio, è che, per parlar semplice come piace a lui, e usare un'espressione cara alla mia povera mamma, ancora una volta Brunetta "ha dato la piega al kipfel": cioè, ancora una volta ha dato un contributo nullo alla sua armata, caricando a testa bassa dove già erano passati i carri armati. La sua esortazione a Bondi a tagliare i finanziamenti ai parassiti dello spettacolo, infatti, arriva quando questi finanziamenti, in un solo anno, sono già stati tagliati del 30% – ad opera non certo di Bondi, ovviamente, ma dell'unico ministro attivo di questo governo, cioè Tremonti. Ancora una volta, dunque, il ringhio di Brunetta va considerato come uno spruzzo di veleno ornamentale – una piantina carnivora sul davanzale –, a retroguardia di un'azione politica sempre più pericolosa, schizofrenica e liberticida che i grandi hanno avviato da un pezzo, mentre i piccini giocavano coi tornelli.