Che fine ha fatto il merito? Uno dei sedici firmatari dell'appello "Scuola: un partito trasversale del merito e della responsabilità", da noi promosso nella primavera del 2008, fa il punto sugli obbiettivi di quell'iniziativa a oltre un anno e mezzo dalla sua presentazione. Proprio su questo punto ci aveva sollecitato nei giorni scorsi il collega Vincenzo Pascuzzi con un parere molto critico e un invito a esprimerci in merito. Ci riserviamo di farlo nei prossimi giorni.
di Giorgio Allulli, Premetto che la mia risposta viene scritta a titolo del tutto personale, non avendo collegamenti organici con il Gruppo di Firenze, del quale ho peraltro condiviso l’appello, perchè ritengo che promuovere tutti, senza verificare l’effettiva acquisizione delle conoscenze e competenze necessarie per progredire nello studio ed entrare nel mondo del lavoro, sia la peggiore truffa che si possa perpetrare proprio ai danni di coloro che non hanno altri mezzi per emergere che le loro capacità personali. Se uno studente proveniente da un ambiente “protetto” viene promosso senza avere una reale preparazione, la famiglia lo metterà comunque in grado di accedere ad una decorosa posizione nel mondo del lavoro. Se invece uno studente proveniente da una famiglia svantaggiata esce con una scarsa preparazione troverà sicuramente molti problemi ad inserirsi nel mercato del lavoro, anche a dispetto del diploma posseduto. Se, infine, manca una selezione basata sul merito l’unico criterio per l’affermazione sociale sarà quello del ceto familiare. Prova ne sia che l’Italia (v. Rapporto Fondazione Montezemolo) è il Paese con il più basso indice di mobilità sociale. In che modo è stato messo in pratica questo appello al merito, apparentemente condiviso dal Ministro? La mia impressione è che la preoccupazione prevalente del Ministro Gelmini sia stata quella di contenere le risorse pubbliche. Questo ovviamente non è di per se né pro né contro il merito, ma il modo in cui è stato fatto non ha tenuto conto delle caratteristiche e delle specificità delle diverse situazioni. Se si parla di merito bisogna anche avere la capacità di distinguere, di separare, di valutare le diverse situazioni sia quando si danno risorse aggiuntive, sia quando si tolgono. Ad esempio il mensile “Tuttoscuola” aveva messo in luce moltissimi squilibri territoriali sui quali si poteva intervenire per razionalizzare l’uso delle risorse, eliminando aree di privilegio e salvaguardando quelle di maggiore fabbisogno. Questo non mi sembra che sia stato fatto. Un forte accento è stato poi posto sui voti, e sul modo in cui determinano la carriera scolastica. Personalmente ritengo che sia giusto essere chiari e rigorosi nei criteri di promozione, ed evitare facili buonismi, però il ritorno al rigore non deve essere inteso come semplice movimento pendolare, del tipo “finalmente si torna a bocciare”. Il buonismo non nasceva solamente dal lassismo, ma era anche l’effetto, probabilmente semplicistico, della consapevolezza dell’insufficienza degli strumenti esistenti per valutare i ragazzi e per sostenere il loro percorso scolastico. L’indagine Pisa ci dice, ad esempio, che esiste una bassa relazione tra risultati dei test e voti di profitto; in alcune scuole si boccia molto, in altre meno. Al Sud si assegnano voti più alti che al Nord. Qual è il criterio in tutto questo? Nel momento in cui si vuole tornare a dare più importanza al voto (giusto) bisogna anche sostenere l’esercizio del voto per renderlo il più possibile strumento non casuale di giudizio. E questo non mi sembra che sia stato fatto; non è cosa che si possa fare in un giorno, od in un anno, mi rendo conto, ma non riesco a vedere neanche le premesse. Un sistema che vuole introdurre il merito non deve mirare solo all’anello più debole della catena, ai ragazzi, ma deve creare un ambiente condiviso di attenzione ai risultati, in cui tutti si assumano le proprie responsabilità, ed anche questo non solo manca ma neanche viene messo in moto. Manca ad esempio ancora una strategia relativa al Servizio nazionale di valutazione, al di fuori della distribuzione di test a campioni di studenti scelti all’interno di scuole volontarie; come dire siamo sempre all’anno zero. Non si parla di valutazione esterna degli istituti, di indicatori di performance, di riforma del corpo ispettivo, ecc. Sia chiaro, non voglio fare del benaltrismo. Da qualche parte bisogna anche cominciare, e potrebbe anche andare bene cominciare dai voti; tuttavia bisognerebbe nel frattempo mandare almeno alcuni segnali che mostrano che si vuole affrontare il problema in modo più ampio, e questi segnali ancora non li vedo. |