Merito! Merito! Alalà! di Vincenzo Pascuzzi, 29.10.2009 Negli ambienti scolastici ricorre, da un po’ di tempo, il termine “merito”. Insistente, frequente, sottolineato. Sembra quasi sentire l’eco del grido …. Merito! Merito! Alalà! quale attuale parafrasi del dannunziano, e poi fascista, Eja, Eja, Alalà. Come il termine “comunista” (ma questo è solo un esempio per capire un espediente dialettico) risuona quale sicura, rapida e sbrigativa scorciatoia per (tentare di) addossare il torto ad altri, anche la parolina “merito” risuona quale sicura e rapida scorciatoia per (tentare di) avere per sé il consenso, per appropriarsi della ragione, per giustificare qualsiasi proprio annuncio, provvedimento, iniziativa, cantonata, rinvio, omissione e anche per affermare implicitamente di possederlo, il merito, e di saperlo quindi valutare negli altri. Altri termini, usati analogamente a merito, sono: responsabilità, rigore, razionalizzazione, competenza. Le espressioni tipiche usate sono: «la scuola del merito e della responsabilità», «riportiamo a scuola il merito e il rigore», «il partito del merito», «la scuola della competenza, del merito e della responsabilità», «si torna alla scuola della serietà, del merito e dell'educazione», «docenti, carriera per merito». Ma quale è, o potrebbe essere, la ragione che richiede il ricorso all’uso del termine “merito” e ai vantaggi dialettici connessi? All’origine di tutto c’è un problema reale e rilevante: gli insufficienti apprendimenti scolastici dei nostri studenti uniti spesso a comportamenti indisciplinati. I nostri governanti, che sono in imbarazzo e in difficoltà di fronte alle classifiche internazionali, vorrebbero migliorare la posizione della scuola italiana. Per farlo, occorrerebbero: serie analisi della situazione, individuazione delle cause, opportune scelte strategiche, programmi ripartiti nel tempo, finanziamenti adeguati. Insomma una riforma vera, valida e graduale della scuola, magari e meglio se condivisa fra destre e sinistre. Chiaramente ciò non è facile non solo da attuare ma forse anche da pensare e progettare. Allora si ripiega verso una cura di prevalente o sola immagine, di facciata, cosmetica. Ci si accontenta di imbellettare le apparenze invece di intervenire e incidere sulla sostanza. Per meglio spacciare questa pseudo-soluzione per soluzione vera, si modifica l’approccio al problema, se non il problema stesso. Si comincia col semplificare e mistificare le cause, ciò che è all’origine della situazione, e i responsabili. Ecco allora: i “guasti” del ’68 (40 anni fa!), il buonismo, il lassismo, la sinistra, la mancanza di rigore, di merito; i ragazzi che non studiano e i prof che non li bocciano abbastanza (così, per loro capriccio?!). Modificato il problema, spacciare la soluzione è poi semplice: indietro tutta, ingraniamo una robusta retromarcia, riportiamo i buoi nella stalla, mettiamo votacci, bocciamo di più. Così si rinuncia a cercare le cause vere, si fa una diagnosi che giustifichi la terapia disponibile (per qualcuno peraltro congeniale). I docenti non vengono coinvolti, nemmeno informati, ricevono solo ordini, idem per studenti e famiglie. Si prescinde dai cambiamenti intervenuti in oltre 40 anni, dall’aumento del numero degli studenti (alle medie superiori si è passati da 400.000 unità a 2.500.000, sei volte di più!), dai programmi scolastici datati, non si impostano interventi graduali e pluriennali, non si individuano indicatori di successo/insuccesso, si ignorano problemi quali la massiccia dispersione scolastica (pari al 20%), la burocrazia ipertrofica e asfissiante (carte e carte, circolari, relazioni, …), la sicurezza e l’idoneità degli edifici scolastici, l’aggiornamento dei docenti. Il tutto poi viene abbondantemente condito e insaporito con gli ingredienti imposti dal MEF che obbligano a tagli, tagli e tagli! Il merito (sempre lui) ricorre anche per quanto riguarda la situazione dei docenti e, in particolare, le loro retribuzioni. Che gli insegnanti siano malissimo retribuiti, lo sanno anche i sassi e questa è anche una causa, indiretta e minore (ma non tanto), dei mali della scuola. Se possono, i laureati migliori non fanno gli insegnanti. Essendo sotto-pagati, alcuni (chiamiamoli pure fannulloni, comunque non sono certamente la maggioranza) si impegnano al minimo, non sono incentivati ad aggiornarsi, a volte sono costretti a un secondo lavoro. La situazione retributiva è talmente grave e paradossale che Piero Citati, nel luglio 2007, proponeva: “raddoppiamo gli stipendi ai professori” in quanto ”gli insegnanti sono diventati una specie di sottoproletariato”. La provocazione riguardava la fattibilità economica non la giustezza dell’obbiettivo. Ci sono poi i precari cioè i supplenti, dei quali la scuola non può fare a meno ma mantiene (nel numero spaventoso di 100-200.000!!) sospesi in una situazione infame e immorale, sempre per motivi economici e di risparmio. Queste situazioni vengono tenute in caldo (in stand-by!) dal governo ipotizzando, per la prima, vaghe, bizzarre e bizantine selezioni in base al “merito” per poi ripartire - forse, solo ad alcuni e in futuro - una frazione dei risparmi ottenuti con la riduzione del personale (una sorta di cannibalismo) e, per la seconda, graduatorie in più provincie e strani accordi estorti a Regioni e sindacati per riciclare sotto altro nome l’indennità di disoccupazione. Così siamo arrivati alla critica situazione attuale abbondantemente descritta e denunciata più su internet – siti, blog, forum, liste - che sui media. Vedremo cosa succederà ancora. Intanto si continua a ripetere, e con enfasi, il solito slogan: Merito! Merito! Alalà! |