“Tetto” a scuola per i figli degli immigrati:
Mai più del 30% di "non italiani" per ogni
classe: da blitz, 11.11.2009 Uno, un’ italiano. Due, un altro italiano. E via così fino a sette. Dopo averne contati sette di alunni italiani dall’anno prossimo il dirigente scolastico o l’insegnante potranno mettere in classe i figli degli immigrati: mai più di tre su dieci. «Altrimenti, se si supera questa percentuale, la classe diventa un ghetto». Parole e annuncio di Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione. Il “tetto” alla presenza in una sola classe di alunni di altra nazionalità ed etnia non è quindi più solo un’ipotesi, è programma esplicito di governo. La questione indubbiamente esiste, non sono poche le scuole italiane dove i genitori italiani cercano di non iscrivere i figli per quella che considerano una presenza “eccessiva” di figli di immigrati. La soluzione adottata, quella del “tetto” appunto, è come un coltello a doppia lama, dipende da come lo si usa, può tagliare e sciogliere un nodo o ferire diritti e valori. Se serve ad impedire che vi siano classi e scuole, differenziali e differenziate, dove si ficcano e depositano più o meno a forza i figli degli immigrati, allora ben venga. Metterà in questo caso fine all’incipiente mal costume civile di considerare “nociva” la convivenza tra il proprio italico pupo e quello con un colore un po’ diverso della pelle. E farà giustizia di una panzana finto pedagogica di molto successo: quella che vuole le classi miste tra figli di italiani e non come classi in forzato e conseguente ritardo di apprendimento. Non è vero, anzi è falso che i “non italiani” siano una zavorra per lo svolgimento del programma. E’ una delle tante vesti con cui si traveste la xenofobia, in questo caso genitoriale. Quindi, i “tre su dieci e non più di tre” farà bene ai tre e anche ai sette. Se invece la regola del “tre su dieci e mai più di tre” si trasformerà in espediente per favorire la “fuga” dei genitori italiani da classi dove vi siano figli di immigrati, se “quei tre” saranno sentiti, vissuti e smistati come il segno di una “sezione” scolastica di quelle non appetibili da mamma e papà italiani, allora si farà del male, civile e morale, ai tre e ai sette. I figli degli immigrati che vanno a scuola sono più di mezzo milione e presto saranno un milione. Disseminarli nelle classi si può fare, a condizione di non metterli in una “lista d’attesa” che li qualifichi e in fondo li bolli come diversi. Come si fa? Spiegando che la regola è: classi sempre miste ma mai troppo miste. Il “mai” si regge solo se c’è il “sempre”. |