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Laurent Cantet:
"La scuola può vincere
la sfida all'integrazione"
Simonetta Robinoy, La Stampa 28.11.2009
ROMA
Laurent Cantet è bello e fascinoso. Se avesse desiderato un rapido
successo nel cinema e molto denaro avrebbe potuto fare l’attore.
Invece, con il suo sceneggiatore preferito Gilles Marchand, fa il
regista e pure il regista di film dal forte impegno sociale. Risorse
umane, premio César come miglior debutto del 1999, è sulla questione
sindacale delle 35 ore in fabbrica. A tempo pieno, Leone a Venezia,
racconta di un giovane dirigente che, vergognandosi di esser stato
licenziato, finge di mantenere il ruolo che non ha più. E
soprattutto La classe, che ha fatto riavere dopo 21 anni alla
Francia la Palma d’oro a Cannes, su un insegnante alle prese con un
gruppo di studenti di diverse etnie, nella periferia di Parigi. E
proprio il successo strepitoso ottenuto da La classe ha fermato per
molti mesi il lavoro di Cantet, spingendolo ad andare in giro per il
mondo a spiegare perché, se non funziona l’istruzione, la
globalizzazione corre il rischio di produrre disastri e fallimenti.
«E’ un film che hanno capito tutti: perfino a Taiwan la situazione
scolastica è la stessa. Tagli alla scuola. Stipendi magri agli
insegnanti. Inutile fatica per gli allievi. Titoli di studio
svalutati».
Ci sarà un seguito della «Classe»?
«Mi piacerebbe, ma il mio prossimo film sarà centrato
sull’immigrazione. Si dice che non ci sia più posto per gli
emigranti e che molti di loro dovrebbero tornare a casa. Ma se si
praticano queste politiche, credo che la situazione diventerà
esplosiva. Come si fa a immaginare di fermare l’emigrazione
dall’Africa? Se questa gente è pronta a morire in mare pur di
raggiungere l’Europa, qualunque pena uno possa loro infliggere sarà
sempre minore della morte cui vanno incontro. La vera sfida è
l’integrazione e per questo la scuola è fondamentale».
Quello occidentale è un mondo dove la cultura
conta sempre meno e sempre più conta la ricchezza.
«E infatti non a caso oltre al tema della scuola mi interessa molto
anche la crisi della stampa. Libération, forse, chiuderà. Le Monde è
in grave difficoltà. I conti dell’editoria non tornano. La stampa è
debole, perde potere. Ma i francesi pare non se ne accorgano. Non
capiscono che il governo, senza una stampa libera, potrà esercitare
su di loro un controllo sempre più forte».
Lei è contrario alla politica di Sarkozy?
«Non a lui personalmente. Al fatto che difende i più forti a scapito
dei deboli. Ma quando penso ai miei film metto da parte qualunque
ideologia. Il problema dell’integrazione viene dalla semplice
osservazione delle dinamiche umane».
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