SCUOLA

Riforma dei licei: nei regolamenti
la chiave per l'autonomia didattica

Fabrizio Foschi, il Sussidiario 13.11.2009

La riforma della scuola secondaria di secondo grado sembra avviata, una buona volta, su un binario che si annuncia scorrevole. Per quanto l’itinerario al termine del quale gli attuali tre regolamenti che presiedono al riassetto del sistema d’istruzione (riguardanti i nuovi istituti tecnici, i nuovi istituti professionali e i nuovi licei) non sia ancora completato (mancano i pareri delle commissioni parlamentari e quello del Consiglio di Stato) dopo lo sblocco avvenuto in Conferenza Stato-Regioni, che il parere necessario l’ha espresso, seppure articolato e comunque non vincolante, grosse insidie non se ne presagiscono.

Ora le scuole sanno che il termine per le iscrizioni alle classi prime del prossimo anno scolastico 2010-2011 (quello in cui partirà la riforma) è spostato al 27 febbraio. Da qui a quella data dovrebbero essere messe in atto da parte dell’amministrazione centrale misure di informazione e aggiornamento sul riordino del sistema.

Vale la pena chiedersi quali siano i punti di forza di una manovra in parte di ritocco, in parte di revisione piuttosto profonda dell’esistente.

Al di là di ciò che potrà essere divulgato, magari in forma un po’ schematica, e di ciò che sarà effettivamente recepito dalla base, ci pare che al punto di incrocio delle due coordinate apparentemente antitetiche su cui si muove la riforma (razionalizzazione delle risorse ed innalzamento della qualità dell’offerta formativa) si collochi ancora una volta l’autonomia scolastica, intesa come autonomia didattica e organizzativa, posto che quella finanziaria per il nostro Paese è ancora un’Araba Fenice.

Le scuole superiori dovranno muoversi, e i loro dirigenti attivarsi, e i loro insegnanti rimettere mano al senso più profondo della professione che implica la lettura delle esigenze dei loro studenti e la capacità di implicarsi nelle risposte.

Questa constatazione deriva dal confronto fra le ultime versioni dei Regolamenti di cui s’è avuta notizia, stante che la redazione ufficiale non è stata ancora resa pubblica (sì invece sintesi e anticipazioni a cura del Miur).

Bene: nel Regolamento concernente la sistemazione dei licei, per cui gli attuali 396 indirizzi sperimentali e 51 progetti assistiti dal Ministero, dovrebbero confluire nei sei modelli fondamentali (artistico, classico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico e delle scienze umane), si legge (ultima versione del 2 luglio 2009) che «nell’ambito delle dotazioni organiche del personale docente che annualmente vengono definite con il decreto interministeriale […] viene previsto un contingente di organico da assegnare alle singole istituzioni scolastiche e/o disponibile attraverso gli accordi di rete […] con il quale le istituzioni scolastiche medesime possono potenziare gli insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti e/o attivare ulteriori insegnamenti» (art. 10, comma 3).

Sembrano bizantinismi, ma in realtà le parole pesano. Dire che «viene previsto un contingente di organico da assegnare» e dire che «il contingente di organico viene assegnato» non è la stessa cosa. Di mezzo si pone la possibilità delle scuole autonome di prevedere e richiedere un certo tipo di organico funzionale al piano dell’offerta formativa che annualmente è proposto alle famiglie e che rappresenta il profilo del singolo istituto.

All’organico funzionale si riferiva, tra l’altro, il DM n.71/1999 che esplicitamente collegava l’organico all’autonomia.

I tempi sono profondamente cambiati e la determinazione degli organici deve oggi fare i conti con la riduzione delle dotazioni su base nazionale. Questo tuttavia non implica che, pur entro le attuali ristrettezze, non si possa, mediante compensazioni e accordi di rete tra scuole, richiedere e fare di tutto per ottenere un organico di istituto adeguato ai percorsi che la scuola si prefigge.

Le condizioni perché questo possa accadere, almeno nei licei (i tecnici e i professionali presentano un quadro più rigido) sono due.

La prima è la comprensione da parte delle scuole delle quote di flessibilità che sono loro rimesse sul monte ore complessivo dell’orario delle discipline: a seconda dei casi, fino al 35% nei tecnici, fino al 40% nei professionali, fino al 30% nei licei. Sono quote che servono per disegnare opzioni all’interno degli indirizzi e dei quadri orario che sono stabiliti centralmente e non sono modificabili nella loro consistenza ultima. Da questo punto di vista, con la riforma alle porte, pare urgente l’attivazione di un piano di formazione a cui le associazioni professionali possono contribuire con il loro patrimonio di esperienze, data la lentezza cronica della macchina centrale a muoversi.

La seconda riguarda proprio i passaggi che i regolamenti stanno compiendo prima di giungere al varo finale e rivestire la forma del Dpr. È utile che la formulazione che abbiamo citato resti e che anzi si faccia di tutto per chiarirla con simulazioni e il ricorso ad esempi di flessibilità che già sono stati realizzati da scuole che non hanno atteso chissà quale palingenesi per muoversi.

In tutte e due i casi è in questione un metodo di lavoro che non può prescindere da una concezione che si possiede del proprio lavoro e della dignità della persona che lo compie: insegnante, esperto o funzionario ministeriale che sia.