Competenze e riordino delle superiori:
una questione centrale
di Antonio Valentino, da
ScuolaOggi 30.11.2009
Come se ne
parla
Non so se il mondo della scuola si
stia interrogando, e se sì con quale impegno, sulla complicata
questione delle competenze che tutti i Regolamenti sulle innovazioni
d’ordinamento, degli ultimi due - tre anni, prevedono come parola
chiave e spesso magica.
Certo, se ne parla in giro. Le Riviste, ma anche le Case Editrici
“scolastiche” hanno, negli ultimi anni, dedicato all’argomento
parecchia attenzione.
Nelle scuole forse se ne parla un po’ meno. Laddove se ne parla, non
pochi sono i dubbi e le incertezze.
Si tratta indubbiamente di un tema complesso e non sempre aiuta
sapere che le “Raccomandazioni” - per un approccio per competenze
alle questioni curricolari e didattiche - arrivano dal Parlamento
europeo e dal Consiglio dell’Unione.
D’altra parte, non sappiamo neanche da
quanti Collegi delle superiori sono stati effettivamente presi in
considerazione, ai fini di una loro traduzione operativa, gli stessi
Allegati al Regolamento per l’innalzamento dell’obbligo di
istruzione (Governo Prodi). Che riguardano in modo specifico, come
si sa, gli assi culturali e le competenze chiave di cittadinanza
(elaborate sulla falsa riga delle Raccomandazioni dell’Unione).
E anche gli sfuggenti richiami, al riguardo, contenuti nei
Regolamenti di Riordino, stanno lì a dimostrare che quella delle
competenze chiave non è questione che riscuota molto successo
neanche negli ambienti ministeriali.
E tutto questo non mi sembra sensato.
Occorrerebbe in verità che il buon esempio venisse dall’alto, cioè
dalle sfere ministeriali; ma non pare che queste siano, diciamo
così, ben disposte verso tali questioni. Anche se, da parte di
dirigenti e ispettori, i riferimenti alle Raccomandazioni europee
abbondano; e il richiamo alla “trinità” di conoscenze - abilità -
competenze (per dirla con le parole sarcastiche di Giorgio Israel) è
praticamente d’obbligo nei loro interventi.
Penso comunque che la questione vada
affrontata pragmaticamente.
E la discussione, aperta con la stagione del riordino, e ancor
prima, può acquistare valore se diventa occasione per capire come
funzionano le nostre scuole e come possiamo farle funzionare meglio.
Maurizio Tiriticco, con la passione e
la cultura che lo contraddistinguono, richiama in proposito
soprattutto la ricerca educativa degli ultimi decenni, per motivare
la necessità di un approccio per competenze, visto come condizione
irrinunciabile, almeno nella secondaria di primo e secondo grado,
per contrastare i problemi e le difficoltà dell’oggi.
A differenza di Giorgio Israel, Tiriticco difende però, pur se con
alcune sottolineature critiche, le scelte europee in fatto di
educazione e competenze, considerandole - giustamente e
opportunamente (soprattutto quelle sulle Competenze Chiave per
l’educazione permanete e sul Quadro delle Qualifiche) - come il
portato di una ricerca educativa che viene da lontano (pedagogia
degli obiettivi di Bloom, studi di Gardner, Morin, Goleman e altri)
e i cui approdi offrono strumenti importanti per una idea di scuola
più efficace ed incisiva sulla preparazione dei nostri studenti.
Comunque anche Tiriticco teme che, senza interventi “competenti” e
responsabili da parte dell’Amministrazione, “le competenze rischiano
di diventare un circo Barnum” in cui si obbligano gli insegnanti a
fare i saltimbanchi.
Condivido il punto di vista e l’approccio dell’Ispettore.
Ritengo però che il punto di attacco, per essere più incisivo,
debba, in prima battuta, evitare guerre di religione tra i
“primatisti” delle conoscenze e quelli delle competenze; tra quelli
che pensano che la scuola italiana pratichi da sempre un approccio
per competenze e chi lo neghi alle radici.
Di guerre ce ne sono già troppe in giro e portano solo disastri.
Il tema delle competenze – penso -
potrà cominciare a interessare il mondo della scuola se si riesce a
dimostrare che possa rappresentare, in questa situazione di forte
crisi di identità e di risultati deludenti, una risposta meditata ad
alcune difficoltà del fare scuola e alle questioni del successo
formativo.
I
passaggi
Vedo questo come primo, fondamentale passaggio per un approccio
sensato al tema delle competenze: la consapevolezza - diffusa e
avvertita - che la preparazione che acquisiscono a scuola i nostri
studenti è, nella maggioranza dei casi, “formata” da conoscenze
• superficiali,
• poco durevoli, appiccicate,
legate sostanzialmente alle interrogazioni
• senza gambe (nel senso che non
sono conoscenze “chiave”)
• slegate da ogni criterio di
autonomia e responsabilità
• senza ricadute e senza utilizzo,
• senza storia (da dove nascono e
perché e come) e senza un futuro “consapevole” (perché studiarle).
Non so in che misura questa
percezione della formazione deludente dei nostri studenti sia
considerata un problema. Nel senso che sviluppa mobilitazione di
energie e orientamento propulsivo per affrontarlo e risolverlo.
Comunque, una maggiore consapevolezza al riguardo costituisce un
primo passaggio obbligato.
Il secondo passaggio poggia su una
convinzione “familiare” a docenti e dirigenti scolastici: la materia
prima della scuola sono i saperi.
E, con modalità coerenti con la consapevolezza del problema, tale
passaggio dovrebbe consistere nel lavorare effettivamente sui
saperi: recuperando cioè - con una intenzionalità marcata - le
dimensioni plurime delle discipline di studio e delle conoscenze
che ne stanno a fondamento (non solo
quindi concetti e nuclei fondanti, ma anche procedure, mezzi e
strumenti e applicazioni, oltre a metodo e linguaggio).
E finalizzare tale recupero alla
“costruzione” di conoscenze
- “chiave” (nel senso che “aprono” ad altre conoscenze, ad altri
apprendimenti)
- sensate
- spendibili
- durevoli.
Qual è allora l’aspetto importante,
significativo e in parte innovativo di un curricolo per competenze
e di una didattica con esso coerente?
Penso si possa dire, con buona approssimazione, che i risultati
ipotizzabili siano soprattutto questi:
- gettare luce su zone sottovalutate e spesso trascurate delle
attività di insegnamento (e costruzione di apprendimenti) e fare
emergere così il senso più proprio del fare scuola e quindi del
lavoro docente: costruire apprendimenti durevoli e sensati e
sviluppare con essi e su di essi abilità eventualmente trasferibili
ad altri campi, ad altri contesti;
- dare giusta visibilità e collocazione, nei processi formativi,
sia ad abilità (qui sinonimo di competenze) di tipo sociale
(comunicare in modo corretto ed efficace, lavorare con altri / in
gruppo) o metodologico (progettare, ricercare, imparare ad
apprendere); sia a comportamenti riconducibili alla sfera della
riflessività (autonomia, responsabilità …). Tutte abilità da
assumere come elementi importanti di una cittadinanza attiva; e
quindi da recuperare e sviluppare (che significa: capire,
progettare, perseguire, eccetera).
A questi ragionamenti si collegano conseguenti ridefinizioni di
voci/chiave del lessico scolastico, quali la programmazione
educativa, la didattica, la valutazione, l’idea di formazione e la
stessa idea di scuola. Ma di questo, si potrà parlare in una
prossima occasione.
Vanno aggiunte – o riprese con il dovuto rilievo -, a questo punto,
alcune cose di buon senso. Provo a sintetizzarle così:
• le fonti delle proposte e delle
“raccomandazioni” sulle cose di cui parliamo non sono vangelo;
• i saperi sono comunque la risorsa
prima del lavoro scolastico;
• le competenze non mancano certo
nella formazione dei nostri studenti. Le competenze non sono
invenzioni delle Raccomandazioni dell’UE. Vengono, come si dice, da
lontano e hanno attraversato da sempre la pratica didattica della
nostra scuola. Ma di certo non sono state quasi mai il punto di
attacco o il focus delle nostre programmazioni, né gli oggetti
valutativi prevalenti delle verifiche;
• le competenze in genere e quelle
“chiave” in particolare non sono mai isolabili. Sono spesso
correlate tra di loro. L’ “imparare a imparare” non può disgiungersi
dal “risolvere problemi” o “trovare collegamenti o relazioni” ecc.;
• la chiave di volta è, in ogni
caso, la centralità dell’apprendere attraverso il fare, l’operare e
il riflettere sulle cose che si fanno;
• la ricerca – azione sul proprio
lavoro è la competenza prima del buon insegnante. E il cuore del suo
mestiere è insegnare ad apprendere e ad appassionare gli studenti
alla propria disciplina.
Competenze e
cittadinanza
Per concludere, una ovvietà, comunque
da rimarcare: il senso di questi ragionamenti ha molto a che fare
col discorso delle politiche scolastiche e quindi della
riqualificazione della scuola pubblica come scuola di e per una
cittadinanza attiva.
Perciò mi sembra di vedere dietro di essi una possibile nuova
frontiera della formazione (nuova nel senso che appare nuova la
carica di intenzionalità che ci sta dietro): una strategia su cui
puntare per esiti di apprendimento
a. più qualificanti sotto il profilo dello sviluppo democratico e
dell’eguaglianza formativa delle giovani generazioni;
b. più raggiungibili, perché fanno riferimento a metodologie più
coinvolgenti (laboratorialità) e a traguardi più sensati (più legati
alla vita), anche se più complessi sotto il profilo didattico -
organizzativo.
Comunque può essere una bella sfida. O
no?