SCUOLA

Bertagna: precari e ricorsi al TAR,
ecco le “piaghe” che affliggono l’istruzione

Giuseppe Bertagna, il Sussidiario 12.11.2009

Abbiamo sempre più pochi giovani. Una società in svanimento, la nostra, da questo punto di vista. Dovrebbero essere il bene più prezioso da curare. I docenti, la scuola, i tecnici, i politici, i sindacati, i giudici amministrativi e civili, i mass media dovrebbero testimoniare di non usare mai i giovani per illustrare se stessi e i propri interessi, in maniera autoreferenziale, ma per il contrario: mettere i loro ambiti di competenza al servizio dei giovani per far loro guadagnare in qualità quanto purtroppo continuano a perdere in quantità. E diventare testimoni credibili di questa inversione. Senza indulgenze buoniste. Ma anche senza fughe difensive, di solito autoritarie. Solo qualche commentatore narcisista sul piano personale ed epistemologico può giudicare la richiesta di questa inversione «pedagogismo». Il «pedagogismo», cioè la cattiva pedagogia, purtroppo, quella che usa la scuola per scopi prioritari che sono sempre altri dal far imparare bene, come si deve, i giovani, senza affliggerli e svalutarli, c’è oggi. E non si vedono all’orizzonte segni strategici, e non predicatori o demagogici, di una sua scomparsa. Da questo punto di vista la vicenda del solito Tar Lazio e dei precari, di cui peraltro giustamente si parla, è emblematica. Insegna, infatti, almeno tre cose.

La prima è che ormai la scuola è governata, a tutti i livelli, da quello nazionale a quello regionale e locale, per lo più dalla deterrenza sindacal-giudiziaria. La deterrenza politica è in terza fila, ben dopo quella mass mediatica (un titolo di giornale ha più effetti di qualsiasi legge). Non parliamo della deterrenza pedagogicamente deontologica.

La seconda è che la burocrazia ministeriale, e la politica che l’ascolta fidandosi delle sue competenze tecniche, non è all’altezza delle sue altissime funzioni. Come gli eserciti dell’antichità, la burocrazia ministeriale gestisce, come è noto, la scuola apparato con i sindacati di notte e finge di distinguersene nel ruolo di giorno. Del resto, l’unico modo per far funzionare il carrozzone scolastico ingessato da 80 anni di statalismo corporativo. Una norma come quella che ha dato adito al contenzioso in oggetto è incredibile che non sia scaturita da questi incontri di backstage tra ministero e sindacati. Dunque qualcuno ha tecnicamente e sindacalmente sbagliato, sottovalutando la normativa che regge la scuola apparato. Sarebbe un grandissimo esempio di educazione civica per i giovani che si troveranno a dover subire le conseguenze educative e culturali di queste decisioni giudiziarie e per l’intera società che chi ha sbagliato confessasse il proprio errore e pagasse di tasca sua. Confessare il proprio errore potrebbe anche significare dichiarare che non si può più pensare che la scuola sia un’istituzione educativa e culturale che mette al centro delle proprie preoccupazioni gli allievi continuando a governarle e a gestirla nel modo con cui la si governa e la si gestisce da decenni. Se poi qualcuno, responsabili ministeriali e sindacali della norma che ha originato il contenzioso, si dimettesse pure darebbe il segno più evidente del cambio di passo che sarebbe necessario.

L’ultimo insegnamento è che aveva ragione don Sturzo. Solo al fascismo e allo statalismo che l’ha continuato sotto un apparente segno democratico e progressista poteva venire in mente di costruire un apparato scolastico di quasi un milione e duecentomila dipendenti, con «trasferimenti» che tra personale di ruolo e precari, docenti e non docenti coinvolgono ogni anno quasi la metà del personale, con una normativa che tradotta in chilometri sarebbe più lunga dell’equatore se misurata in fogli e della distanza tra terra e luna se misurata in righe, con un modello organizzativo parallelamente amministrativo e sindacale di natura centralistica che definire taylorista ancorché in epoca post fordista sarebbe un gran complimento, con un linguaggio che resta sostanzialmente di natura militare (circolari, decreti, comandi, provvedimenti disciplinari, consegne, classi, leve, superiore gerarchico, solve et repete ecc.). La cura di Sturzo ci vuole. Ed è sempre più urgente. Anche 80 anni dopo la sua formulazione: norme generali nazionali, regionalismo, libertà di scuole e di insegnamento, autonomia delle istituzioni scolastiche (anche nel reclutamento), responsabilità di ogni attore nel rendicontare il proprio lavoro e nel pagarne gli errori