Insegnare, una nobile arte
I miei colleghi se lo ricordino

di Carlo Bernardini, l'Unità 10.11.2009

Ho sempre pensato che insegnare sia una "nobile arte": per il talento, la competenza e l'affabilità che ho visto già nei migliori maestri delle scuole primarie, per l'autorevolezza, la saggezza, la cultura e la disponibilità cheho visto nei migliori professori secondari e, soprattutto, universitari che ho incontrato. Sono un fisico, ormai a riposo, mail ricordo della qualità didattica di Enrico Persico, Gilberto Bernardini (omonimia occasionale), Bruno Touschek e Edoardo Amaldi non mi lascerà mai. Al momento di ritirarmi, la rinuncia al "far lezione" e dialogare con gli studenti mi è costata come la perdita di una persona amata. Pure, la passione per la didattica è meno diffusa di quanto si possa immaginare. All' università, spesso passa in seconda linea rispetto alla ricerca: Touschek diceva efficacemente che "con la ricerca ci facciamo un bell'autoritratto" per i posteri; ma "con la didattica ci guadagnamo il pane". Alcuni illustri accademici però considerano l'insegnamento un obbligo dispersivo e non un impegno interattivo con i giovani a cui si rivolgono; finiscono con il fare conferenze più che lezioni, trascorrendo quanto meno tempo possibile nelle Facoltà per il timore di essere disturbati.

Ho provato a spiegare questo increscioso difetto delle facoltà più frequentate, in un pamphlet dal titolo "Il cervello del paese" uscito nel2008 per Mondadori-Sapienza, ma i colleghi hanno storto il naso come li stessi prendendo in giro: "voi fisici" - hanno detto - siete quattro gatti e i vostri studenti sono pochi e fortemente motivati. Chi mai prenderebbe una laurea in fisica se non lo volesse con tutta l'anima? Invece, nelle nostre Facoltà, una moltitudine va alla caccia di un attestato che generalmente non merita per deliberata mancanza di interesse culturale”. Ma insegnare senza porsi l'obiettivo di suscitarlo, quell'interesse, mi sembra quasi contro natura, caso in cui questa definizione mi appare appropriata. Comunque, disperdere nell'ambiente professori universitari pensionati ancora in grado di essere utili mi è sembrato uno spreco. Perciò, ho sollecitato (attraverso il sito www.agorà, in rete) i miei colleghi in rottamazione come me a rendersi disponibili come consulenti didattici per le scuole, almeno a livello regionale per non dover viaggiare troppo, per invito ma senza compenso alcuno, per assicurarsi solo il piacere di aiutare la formazione in servizio, nella loro sede. Il regime in cui stiamo vivendo, la "democrazia maggioritaria" come è efficacemente chiamata, è molto plasmato sugli interessi privati degli individui e si preoccupa poco della qualità razionale dei "servitori dello Stato" (i civil servants delle democrazie avanzate anglosassoni in cui il concetto è assai più familiare). Ogni sforzo perché il pensiero sia efficiente e consapevole è annoverato tra le spese e non tra gli investimenti. Se questa rotta non si inverte, soccomberemo alla avanzata senza precedenti dei paesi asiatici che hanno capito che la "conoscenza della realtà" è la chiave di volta della vivibilità del futuro.

Non importa allevare solo geni, per contribuire: basta già dare a tutti la capacità di capire ciò che fanno gli altri, i paesi ricchi che investono cifre che da noi sarebbero da capogiro; cioè basta farsi apprezzare da tutti come professori capaci e impegnati. La fortuna strepitosa del Giappone dopo la guerra è nata così e il Giappone è arrivato nientemeno che al secondo posto dopo gli Stati Uniti. Ma sono i dirigenti politici a dover capire per primi che da questo "investimento" dipenderà la qualità del futuro del paese. La politica italiana sembra lontana da questo obiettivo: cincischia con razzismi, fondamentalismi, interessi privati, cataclismi malavitosi, progetti faraonici di facciata e vari tipi di illegalità. Fa impressione sentir parlare del delitto di evasione fiscale come se fosse quello di parcheggiare in seconda fila; fa impressione sentir parlare di "diritto alla vita" e poi respingere i clandestini; fa impressione spendere per insegnamenti di religione cattolica e poi non curarsi del capitale perso per la "fuga" verso destini migliori dei nostri allievi; e così via. Insisto, insegnare è sempre più un'arte nobile che merita il massimo riconoscimento e non l'emarginazione dei servizi di routine: ma deve essere molto di più di una battaglia contro il precariato, deve essere un problema della coscienza collettiva che, sotto questi riguardi, si rivela, appunto, incosciente.