Universitari e l'inglese: La Stampa 16.11.2009 Vivono in una società globalizzata, hanno fatto anche più di una vacanza all’estero, ma non conoscono la lingua inglese ad un livello accettabile per gli standard richiesti dal mondo del lavoro. A rivelarlo è l’università telematica Unisu Niccolò Cusano a seguito di un’indagine che ha coinvolto gli universitari tra i 20 e i 30 anni. “Molti studenti italiani, così come gli spagnoli, si laureano con il massimo dei voti, ma non hanno una conoscenza sufficiente della lingua inglese. In una società come quella di oggi, in cui sempre di più sono necessari i contatti con l’estero, è impensabile inserirsi in un contesto lavorativo adeguato al livello di un laureato senza saper parlare e comprendere adeguatamente l’inglese” ha spiegato Stefano Bandecchi, amministratore delegato dell’Unisu. Secondo l’Unisu la maggior parte delle grandi aziende a caccia di laureati richiede almeno un livello buono di inglese, certificato da un titolo riconosciuto. Ma ovviamente attestati e qualificazioni non bastano, se ad essi non si accompagna un’effettiva capacità di utilizzare l’inglese durante l’attività lavorativa. “Molti universitari e neolaureati indicano sul curriculum di aver frequentato corsi di inglese e di aver approfondito la lingua per molti anni, durante il periodo degli studi. Dall’altra parte però i manager lamentano il fatto che poi il livello di inglese si rivela per lo più scolastico, se non addirittura maccheronico” precisa Bandecchi. È indispensabile mantenere viva la conoscenza della lingua attraverso la conversazione. E’ importante partecipare a scambi linguistici e dedicarsi all’ascolto dell’inglese con regolarità. Per chi ne ha la possibilità può essere utile seguire corsi specifici in presenza, per chi studia e lavora è possibile scegliere tra le tante risorse di formazione online. “Le regole grammaticali possono essere studiate anche individualmente, ma per quanto riguarda la conversazione è assolutamente necessario fare pratica. La capacità di esprimersi oralmente in un contesto internazionale è un’abilità sempre più richiesta ai giovani che vogliono intraprendere una carriera in azienda” ha spiegato Bandecchi. I selezionatori del personale danno molta importanza alle esperienze svolte all’estero che abbiano almeno la durata di 6 mesi, soprattutto in ambito di programmi comunitari. “Un periodo di permanenza in un paese anglofono può essere un bel biglietto da visita per l’ingresso del mondo del lavoro e certifica che il ragazzo sa effettivamente esprimersi. E inoltre testimonia la capacità di adattamento in un contesto culturale diverso e la flessibilità per ciò che riguarda la sede di lavoro” conclude Bandecchi. |