L'onorevole Cota alle crociate

Dedalus, da ScuolaOggi 15.11.2009

Dopo le prevedibili reazioni della CEI alla sentenza della Corte di Strasburgo sui crocefissi in classe e le dichiarazioni indignate del Card. Bagnasco è ora la volta, ultimo o quasi in ordine di tempo, di Roberto Cota, segretario piemontese della Lega Nord. La Lega Nord ha installato, tra sabato e domenica, 170 gazebo in tutto il Piemonte per raccogliere firme in difesa del crocefisso in classe.

L’onorevole Roberto Cota (che è anche il probabile candidato alle prossime elezioni regionali), ha detto che "questa iniziativa ha un significato politico forte, che vedrà un grande sforzo da parte della nostra militanza. Vogliamo difendere il crocifisso che non è il simbolo di una religione qualunque ma di una religione, quella cattolica, che è maggioritaria nel nostro Paese''. Cota ha poi duramente attaccato la sentenza della Corte di Strasburgo: "Il crocifisso è il simbolo della nostra identità, delle nostre radici che vanno difese. Non possiamo permettere a due burocrati che stanno in Europa di sradicarle". 

Ma come?! - ci chiediamo - tutta la difesa fin qui impostata non si basava sul fatto che il crocefisso più che un simbolo religioso era un fatto culturale, un patrimonio della tradizione del nostro paese? Da Adornato al card.Bagnasco alla stessa Gelmini, tutti a ripetere che "la presenza del crocefisso non significa adesione al cattolicesimo, è un simbolo della nostra tradizione" (Gelmini). Esattamente la tesi che la sentenza della Corte europea ha messo in discussione sostenendo invece che il simbolo del crocefisso ha indubbiamente una pluralità di significati ma che, tra questi, la connotazione religiosa è predominante.

Corrado Augias ha ricordato nella sua rubrica su Repubblica che sulla questione c’era già stata una sentenza della Corte di Cassazione (n.439 del 1.3.2000) che andava nella stessa direzione indicata dai giudici europei. La Sezione IV valutava allora che la presenza del crocefisso, elemento distintivo di una religione, violava l’art.3 comma 1 del testo costituzionale.   "Neppure è sostenibile -  sosteneva la Corte - la giustificazione collegata al valore simbolico di un'intera civiltà o della coscienza collettiva e, quindi, secondo un parere del Consiglio di Stato (n.63 del 27.4.1988), "universale, indipendente da una specifica confessione religiosa".

Giustificare la presenza di quel simbolo - scrive Augias - depotenziandolo, riducendolo al ricordo di una tradizione, di una cultura è un éscamotage quasi blasfemo. "Il crocefisso è il segno tragico di una grande religione o è un cadavere appeso a un patibolo".

Ma ci ha pensato l’on. Cota a sgombrare il campo da equivoci e a togliere di mezzo i veli. Quale fatto culturale! Il crocefisso è il simbolo di una religione e non di una qualunque, ma della religione cattolica, che è maggioritaria nel nostro paese! E così partiamo, lancia in resta, per le crociate del duemila. E guai a chi contesta il richiamo a questo principio identitario, indiscutibile e assoluto, ben rappresentato dal simbolo del crocefisso.

Peccato che tutto questo vada contro la Costituzione della Repubblica italiana (che non è ancora quella padana!). E peccato che contrasti con i più elementari principi di laicità dello Stato, secondo cui lo Stato liberale è agnostico (indifferente) rispetto al problema religioso, è neutro rispetto ai valori. Lo Stato liberale, come ricorda Francesca Rigotti (filosofia politica, Università di Lugano) sull’Unità, non ha una chiesa ufficiale ma rispetta le varie chiese presenti (tutte, senza distinzione). E’ laico perché ragiona fuori dall’ipotesi di Dio, etsi deus non daretur, come se Dio non esistesse (come titolava un numero di Micromega di qualche tempo fa).

Ma chi gliele va a spiegare queste cose all’on. Cota? I difensori della cristianità, le armate padano-celtiche sono già in marcia contro gli infedeli, naturalmente sotto il simbolo della croce. E naturalmente sotto le elezioni.

Dedalus